• 4 Luglio 2024 12:21

Corriere NET

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Alla scoperta di come cambia il mondo del lavoro

Lug 2, 2024

AGI – Tra intelligenza artificiale e sviluppo di nuovi rapporti di subordinazione, basti pensare al mondo della gig-economy, senza contare l’effetto dirompente che ambientalismo e femminismo stanno avendo sulla percezione delle gerarchie e sull’esercizio della leadership, verrebbe da chiedersi se la speculazione e l’indagine sociale hanno ancora un senso per decifrare un mondo del lavoro in continua evoluzione.

 

Ne abbiamo parlato con Adriano Solidoro, professore di Information Systems for Knowledge Management, presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e organizzatore insieme ai professori Barbara Quacquarelli e Francesco Paoletti, della 40esima edizione dei Colloquium.

La conferenza, promossa da Egos – European Group for Organisational Studies, dal 4 al 6 luglio, porterà a Milano più di 3.000 ricercatori di scienze sociali provenienti da oltre 100 Paesi per discutere proprio del futuro del mondo del lavoro in un periodo tanto complesso.

 

A Milano saranno presentati oltre 1.000 risultati di ricerca, ma la domanda è una: le scienze sociali hanno ancora senso per comprendere l’attuale mondo del lavoro?

 

Gli Studi Organizzativi, che fanno parte delle scienze sociali, si propongono come disciplina per l’elaborazione originale e di dibattito interdisciplinare delle diverse scienze che studiano tradizionalmente le organizzazioni (economia, sociologia, management, antropologia, etc.). Oltre all’elaborazione teorica tipica della ricerca di base, gli studi organizzativi offrono strumenti e metodi a imprenditori, dirigenti, funzionari, professionisti per lo sviluppo e la competitività delle imprese grandi, medie e piccole, delle reti di imprese, dei sistemi di economia regionale, delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, delle organizzazioni no-profit. Dunque, la domanda dovrebbe essere: come fare affinché la conoscenza accademica sia meglio percepita e integrata nei sistemi produttivi delle imprese private e nel modo di operare delle istituzioni pubbliche?

 

Quali sono, oggi, le sfide della ricerca per interpretare il mondo del lavoro?

 

Una delle sfide è quella di comprendere meglio il senso che il lavoro ha per le persone e in che modo le organizzazioni possono partecipare alla ricerca di questo senso. L’espressione “purpose” – scopo – negli ultimi anni, è stata molto utilizzata dalla letteratura divulgativa e, così, anche il concetto di tempo ha rappresentato una tematica molto attuale nella ricerca. Il futuro del lavoro e il suo significato saranno modellati dai bisogni intrinseci, dalla motivazione delle persone e da fattori esterni cruciali come le pratiche delle risorse umane, la leadership, la valorizzazione delle differenze – non solo di genere, ma anche di provenienza sociale ed economica, di lavoro, di stili di lavoro – della co-progettazione di ruoli, mansioni e processi, in modo che anche le persone possano partecipare, almeno in parte, alla presa di decisioni e alla definizione delle strategie. 

 

Quali sono i cambiamenti che devono essere (e sono stati) maggiormente indagati?

 

Il futuro del lavoro sta evolvendo in tempo reale mentre le organizzazioni affrontano cambiamenti profondi in tempi più stretti. Le aziende stanno vivendo fattori di criticità nella catena di approvvigionamento, minacce alla sicurezza, inflazione, segnali economici incerti e aspettative crescenti dei clienti, tutto ciò con un mercato del lavoro non sempre sufficientemente dinamico. Queste trasformazioni accelerate pongono una maggiore pressione su una forza lavoro che vive e lavora con carichi senza precedenti da più di due anni. La salute mentale è messa alla prova, e ciò è diventato un problema piuttosto generalizzato, si veda per esempio come l’espressione burnout sia diventata di uso comune. Allo stesso tempo, c’è maggior domanda di sperimentazione riguardo alle modalità di lavoro, si veda per esempio la richiesta flessibilità di orari e di luogo di lavoro e la maggiore attenzione ai valori e alle priorità personali.

 

Rispetto alla penetrazione dell’IA, quali sono le posizioni più interessanti?

 

Lo sviluppo dell’IA solleva domande profonde. Forse la più pressante, però, riguarda una questione relativamente semplice. Cosa significa questo per l’economia? Molti hanno grandi aspettative. Nuove ricerche di Goldman Sachs  suggeriscono che l’adozione diffusa dell’IA potrebbe alla fine portare a un aumento del 7% o quasi 7 trilioni di dollari del PIL globale annuale in un periodo di dieci anni. Studi accademici indicano un aumento di tre punti percentuali nella crescita annuale della produttività del lavoro nelle aziende che adottano la tecnologia, il che rappresenterebbe un enorme incremento dei redittiti nel corso di molti anni. Ma come si possono realizzare queste aspettative? Vedo ancora la diffusa illusione che la tecnologia possa determinare da sola questo avanzamento per l’economia, ma la tecnologia, anche la più avanzata e innovativa, deve essere sempre abilitata da un contesto. E questo contesto sono organizzazioni che hanno capacità di innovare prodotti, servizi, strategia e processi, ciò richiede competenza delle persone e visione da parte della leadership.

 

Il femminismo può lavorare sulle disuguaglianze nel mondo del lavoro?

 

Uno sguardo femminista sul futuro del lavoro aiuta a usufruire di una prospettica critica. Aiuta a mettere le persone al centro, al di là del loro genere, attingendo alle esperienze, aspirazioni e realtà del femminismo che non è certo solo speculazione teorica. Partire dalla prospettiva dell’attivismo ci costringe dunque a lavorare per ottenere approfondimenti concreti da prospettive accademiche, ma anche legali e di sviluppo e di progettazione che possano aiutarci a pensare a futuri inclusivi e possibilmente a creare infrastrutture di lavoro digitale, sociali e di gestione più giuste e positive.

 

All’Egos di Milano, saranno presentate ricerche che hanno una prospettiva o un oggetto di indagine fino a oggi ancora inesplorati?

 

La teoria queer è stata utilizzata come risorsa concettuale per studiare le esperienze lavorative delle minoranze omo/bisessuali e/o trans, spesso concentrandosi su come l’eteronormatività modella la costituzione delle sessualità e dei generi. La teoria queer è stata una via importante per mettere in discussione ciò che è “normale” e normativo nelle organizzazioni e mettere sotto uno sguardo critico gli aspetti eteronormativi della vita quotidiana. Storicamente i queer hanno organizzato e continuano a organizzare spazi alternativi più sicuri e più coraggiosi per l’identificazione dove si è sia più liberi dall’omo-, bi- e transfobia e, allo stesso tempo, più liberi di essere se stessi, esprimendo le proprie identità sessuali e di genere con meno paura di rischi, pericoli, danni, controversie o altre difficoltà. Definire il queer diventa però problematico perché per qualcosa o qualcuno essere queer significa resistere, o almeno sfidare, il processo di categorizzazione e le proposizioni di significato su cui si basa una definizione.

 

E rispetto alla penetrazione della tecnologia nelle organizzazioni?

 

Altro filone interessante è quello degli studi su come l’ignoranza governi il mondo, per cui si cerca di investigare come l’ignoranza sia modellata attraverso strutture tecnologiche e pratiche di potere. Con l’aumento della “tecnologia intelligente”, persone e organizzazioni sono sempre più connesse e hanno una vasta conoscenza a portata di mano. Allo stesso tempo, assistiamo a un aumento delle “fake news” e delle contro-narrazioni che vengono presentate per nascondere la verità. In effetti, è stato sottolineato che l’enorme volume di “conoscenza” che ora è disponibile per noi tramite la tecnologia rende la vita più trasparente, ma anche più opaca, poiché non siamo in grado di elaborare tutti i dati disponibili e dobbiamo scegliere cosa ignorare. Mentre individui e organizzazioni si dirigono verso un futuro incerto, la conoscenza e l’ignoranza tracciano il loro cammino in egual misura. Come useranno le organizzazioni del futuro l’ignoranza a loro vantaggio? Può essere fatto in modi etici?

 

L’Italia a che punto è? Possiamo fare confronti con altri paesi?

 

Certamente in Italia è ancora troppo diffusa un’idea di leadership autocratica, per cui chi ha il potere crede di saperne sempre di più e ascolta poco le idee di chi gli sta intorno. Se in passato era uno stile molto diffuso, oggi le persone fanno fatica ad avere stima e rispetto nei confronti del leader autocratico. Inoltre, ci sono ancora troppe poche donne in posizione di leadership, e per i più giovani i percorsi di carriera sono spesso troppo lunghi e incerti. Ma allo stesso tempo sono molto diffuse, professionalità e alte competenze e creatività. Diciamo che la differenza significativa sta fra grandi aziende e medio-piccole e tra chi fa innovazione guardando all’esterno della propria organizzazione e alla ricerca e chi invece ha un atteggiamento conservatore.

 

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