E’ tornato a casa Emanuele Morganti. La bara bianca con il corpo del ventenne ucciso ad Alatri in una notte di follia davanti a una discoteca, è stata riportata a Tecchiena e dopo una sosta di dieci minuti, è stata portata a spalla fino alla chiesa, per circa 300 metri. Gli amici si sono dati il cambio per trasportare il feretro seguito da un lungo corteo di persone in lacrime. Nella chiesa è stata allestita la camera ardente e alle 15 vi si svolgeranno i funerali per dare l’ultimo saluto al ragazzo, morto al policlinico Umberto I di Roma dopo essere stato picchiato brutalmente dal branco all’uscita del Mirò.
Palloncini bianchi e striscioni lungo tutto il percorso che va da casa Morganti alla chiesa. Tanti i ricordi, “Emanuele aveva sempre il sorriso, era solare e soprattutto era un bravo ragazzo”, racconta una cugina della nonna, tra le lacrime. Una vicina lo ricorda quando era piccolo e fino a pochi giorni fa, “davvero una bella persona che aiutava molto la madre che da anni combatte con una malattia”. “Emanuele non ha incontrato nessun buon samaritano” dice con un filo di voce proprio la signora Lucia, prendendo come esempio la parabola del Vangelo. La mamma ed il papà di Lele, il signor Giuseppe ieri hanno incontrato il vescovo della Diocesi di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa che alle 15 di oggi celebrerà il funerale nella chiesa di Tecchiena – Castello.
Sono tanti gli striscioni appesi attorno alla chiesa: ‘Nessuno muore mai completamente… rimarrai sempre vivo dentro di noi!’, ‘Vorrei solo averti di nuovo accanto, stringerti e dirti che la vita è un po’ meno complicata se ci sei tu con mè con la foto di Emanuele e di un suo amico. In un altro striscione, ancora una foto di Emanuele sorridente e accanto la scritta ‘Il perdono lasciamolo a Dio… Per Emanuele solo giustizia’.
“Emanuele picchiato prima dentro al bar “ Torna a parlare la fidanzata di Emanuele “È stato picchiato prima all’interno – racconta Ketty al tempo – Perché credevano fosse lui a importunare la barista. Lo hanno trascinato in un angolo. Non vedevo niente. Solo tanta confusione. Poi sono riuscita a guadagnare l’uscita e ho visto Emanuele che era scortato da quattro persone. Aveva la maglietta strappata, il sangue vicino la bocca e lui agitato che diceva: ‘Ma non sono io ad aver dato fastidio. Non sono io. Perché mi cacciate? Non è giusto'”. “Tutto ha avuto inizio mentre stavamo vicino al bancone del bar mentre eravamo in attesa delle nostre ordinazioni”, racconta. “Accanto a me, ad Emanuele, a Marco e Riccardo, nostri amici, c’era un giovane visibilmente ubriaco che discuteva con la barista. Poi ha iniziato a colpire Emanuele a colpi di spalla. Il mio fidanzato ha sopportato per un poco ma poi ha reagito e gli ha detto di smetterla. Questo per tutta risposta gli ha lanciato sulla testa un portatovaglioli. In un istante è scoppiato il putiferio. Non dovevano fare questo. Dovevano tutelarlo e non ucciderlo”.
Le indagini Emanuele sarebbe stato ucciso da un’arma impropria forse un manganello, che non è tra quelle sinora individuate dagli investigatori, impugnata e utilizzata da un soggetto al momento ignoto. E’ il dato che emerge tra le prime risposte giunte dall’autopsia. Il professor Saverio Potenza ha appurato che a provocare l’emorragia cerebrale risultata fatale a Emanuele è stato un colpo, forse due, sferrati con violenza alla testa del ragazzo quando era già a terra. Lesioni che gli inquirenti hanno sospettato potessero essere compatibili anche con la caduta del ventenne dopo il pugno da dietro che gli sarebbe stato sferrato dall’arrestato Mario Castagnacci, che lo aveva fatto finire contro il montante di un’auto in sosta. Castagnacci e Palmisani, i due accusati dell’omicidio intanto restano in carcere. Interrogati nel carcere di Regina Coeli, a Roma, dal gip Anna Maria Gavoni, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Il giudice per le indagini preliminari ha quindi convalidato i fermi e disposto per Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, 26 e 19 anni, la misura della custodia cautelare in carcere, trasmettendo poi gli atti per competenza al Tribunale di Frosinone, che dovrebbe ora disporre un nuovo interrogatorio
da parte del gip del luogo.L’omaggio del calcio Dieci secondi di silenzio in campo a Cesena prima dell’inizio della partita Cesena-Frosinone. E poi ancora, cori da parte di entrambe le tifoserie che chiedevano “giustizia per Emanuele”. Uno striscione calato appena l’arbitro ha fischiato l’inizio dell’incontro e applausi. Una serata di emozioni quella di ieri sera, al comunale di Cesena, dove si è ricordato Emanuele