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Al Milano Whisky Festival arrivano lo Shochu e l’Awamori

Nov 30, 2023

AGI – Dal 2 al 4 dicembre si terrà a Milano, presso il palazzo delle Stelline, il Milano Whisky Festival, con esposizioni e assaggi di prodotti da tutto il mondo. Giappone compreso. Il whisky giapponese perché uno dei più apprezzati e costosi al mondo. Solo che, non tutto il whisky giapponese che troviamo sul mercato è giapponese o addirittura è whisky.

Ci sono in circolazione, secondo il sito nomunication.jp che dal 2018 segue la questione, circa 52 etichette -o marchi- di whisky giapponese, 4 etichette di prodotti dichiaratamente internazionali ma imbottigliati in Giappone e circa 54 falsi: whisky prodotti altrove e venduti come giapponesi. Inoltre, esistono 13 tra shochu e awamori etichettati come whisky.

Ma cosa sono esattamente lo shochu e l’awamori?  

Se in Giappone si distilla whisky di malto dai primi anni del XX secolo, i portoghesi, ci riferiscono dell’abitudine di consumare una acquavite chiamata shochu già nel 1546. L’awamori, invece, è prodotto a Ryukyu, l’odierna Okinawa, da almeno 700 anni. Da qui, con ogni probabilità, arriverà a Kyushu, l’isola meridionale dell’arcipelago nipponico, dove ancora oggi operano 259 delle 380 distillerie di shochu.

L’awamori, secondo mollti, è a sua volta figlio dell’arak di Giava: un distillato di canna da zucchero da cui gli olandesi deriveranno il rum antillano. Mentre l’awamori è ancora oggi prodotto unicamente con riso di varietà indica coltivato in Tailandia, lo shochu può essere ottenuto distillando una cinquantina di materie prime. In purezza o in combinazione tra loro. Tuttavia circa il 95% dello shochu giapponese, è ottenuto da orzo, patate dolci o riso.

 

Premesso che il whisky è definito dal regolamento UE 2019 numero 787 come il risultato della distillazione di un mosto di cereali, ne consegue che questi due prodotti possono avere in comune almeno due materie prime: orzo e riso. I cereali, contrariamente alla frutta, non contengono zuccheri suscettibili di fermentazione in presenza di lieviti ma bensì amidi. Questi dovranno essere prima trasformati in zuccheri semplici e poi fermentati.

Un processo processo denominato saccarificazione. Ed è qui che shochu e awamori da una parte e whisky dall’altra differiscono. Nel mondo occidentale, si saccarifica con il malto, ossia provocando una germinazione controllata del seme che attraverso un processo enzimatico, quindi interno all’organismo vegetale, trasforma l’amido in zucchero.

Nel mondo orientale si impiega un agente esterno: un fungo, noto in giapponese come Koji (aspergillus oryzae), che aggredisce i semi dei cereali provocandone la muffitura che ha come conseguenza la trasformazione dell’amido in zuccheri semplici. Una differenza che indice profondamente sui prodotti finiti. Infatti, se l’orzo maltato riesce a produrre mosti fermentati che difficilmente superano i 7 gradi alcolici, il koji è molto più efficace nella produzione di zucchero e quindi di alcol: 18 -20 gradi nel caso dell’orzo e addirittura 20-22 nel caso del riso.

La conseguenza di tutto ciò è che se il basso tenore alcolico del malto d’orzo fermentato, ossia una birra, impone almeno due distillazioni per raggiungere 40 gradi alcolici, lo shochu e l’awamori, ci arrivano dopo un solo passaggio in alambicco. Poiché ogni distillazione in alambicco purifica il prodotto riducendolo sempre più ad alcol etilico e acqua, ossia una vodka, ne consegue che shochu e awamori sono i distillati che più conservano le caratteristiche organolettiche delle materie prime. Hanno un gusto proprio. 

Pertanto, non serviranno né lunghi invecchiamenti in botte come per whisky, brandy o calvados né successive distillazioni con essenze botaniche aromatiche come per il gin.

Lo shochu è l’awamori bastano a se stessi

Abbiamo parlato di whisky giapponese. Sul mercato se ne trovano molti ottenuti da cereali trasformati in Giappone. Se ne trovano altri da cereali distillati altrove e quindi invecchiati o semplicemente imbottigliati in Giappone. Infine, se ne trovano alcuni denominati “Ryukyu whisky”. Questi prodotti altro non sono se non awamori invecchiato in legno invece che nelle tradizionali anfore smaltate.

Se da un lato, questi prodotti ci raccontano come sarebbe il whisky se lo avessero inventato i giapponesi invece degli scozzesi, dall’altro sono una operazione discutibile perché l’awamori, non è maltato e pertanto non può dirsi whisky.

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