Le case crollano: e quegli stessi edifici che erano stati danneggiati il 6 febbraio, dopo il violentissimo sisma che ha colpto il confine tra il sud della Turchia e il nordovest della Siria, stanno venendo giù in queste ore. Ieri sera alle 20.04 ora locale, come dichiarato da Afad (l’Autorità per la gestione delle emergenze turca), una nuova scossa di terremoto di magnitudo 6.4 ha colpito quello stesso confine, ma questa volta più vicino alla città turca di Antakya, nella provincia di Hatay, nel distretto di Defne. Ancora più al limite della frontiera con la Siria, in prossimità di Idlib, la regione controllata dai ribelli del regime del dittatore siriano Bashar el Assad. Prima quella da 6.4, poi una serie di altre scosse: un’altra da 5.8 – nel distretto di Samandağ della provincia di Hatay -, poi 5.2 e 5.2, e ancora altre 30 scosse di assestamento minori.
Le vittime confermate dalle autorità turche per quest’ultimo sisma sono sei. Mentre, secondo quanto detto dal ministro della Salute turco, Fahrettin Koca, 294 persone sono state ferite, 18 in modo grave. Dall’altra parte, in Siria, 470 persone sarebbero in ospedale, ferite dai crolli delle abitazioni già danneggiate dal primo terremoto. Nel regime di Bashar el Assad la situazione resta grave: gli aiuti, limitati dai pochi valichi di frontiera aperti faticano ad arrivare, e i continui blocchi al confine rendono impossibile per i soccorritori d’emergenza dare una mano nel salvataggio delle persone sepolte dalle macerie. Queste ultime scosse sono state avvertite anche in Egitto, Libano, Iraq, Palestina e Giordania.
La comunità internazionale cerca di destinare fondi all’aiuto umanitario: il segretario di stato statunitense Antony Blinken, in visita in Turchia proprio ieri, ha annunciato 100 milioni di dollari destinati al sostegno della popolazione colpita. E anche dalle Nazioni Unite si è predisposto un fondo per le emergenze: 50 milioni di dollari per la primissima risposta. Ma in Siria, il sistema degli aiuti umanitari è minacciato dalla volontà del regime di arricchirsi. Mentre in Turchia la popolazione comincia a esprimere rabbia per le politiche edilizie del presidente Recep Tayyp Erdogan, che hanno minato negli anni le misure di sicurezza delle abitazioni (e che potrebbero compromettere la rielezione di Erdogan nel voto che si dovrebbe tenere la prossima estate).
Intanto, dal 6 febbraio, il numero dei morti ha superato la soglia di 44 mila e la terra continua a tremare: le scosse d’assestamento in queste ultime due settimane sono state più di 6 mila.
Foto di Can Ozer, AP Photo, via LaPresse