AGI – Dopo l‘acquisizione di Twitter da parte del multimilionario ideatore di Tesla, PayPal, SpaceX e di innumerevoli altre avventure imprenditoriali, in molti si sono chiesti il senso del suo messaggio. Brande in ufficio, licenziamenti di massa, minacce di provvedimenti in caso non fosse garantito un “duro impegno” lavorativo. Una rivoluzione che a molti ha suonato come già vista. A maggior ragione dopo che la pandemia ha stravolto i ritmi di vita dei lavoratori di tutti il mondo, che hanno inizialmente “subito”, più tardi, “scoperto” il lavoro agile e un modo del tutto diverso di conciliare i tempi di lavoro e quelli della vita.
Il concetto di workaholism, letteralmente “dipendenza dal lavoro”, è stato introdotto dallo psicologo americano Wayne Edward Oates nel 1971 e si riferiva, appunto, ad un fenomeno tipico di quegli anni ma ancora oggi presente in alcune comunità (non va dimenticato il caso di un giornalista giapponese, morto nel 2017 per insufficienza cardiaca, dopo 159 ore di straordinario in un mese).
Oggi i ricercatori si chiedono sempre più spesso se abbia senso nella gestione di un’azienda buona o etica elogiare lo stacanovismo
Secondo Silvia Bellezza, professore associato di marketing alla Columbia Business School di New York, “in passato, una vistosa astensione dal lavoro trasmetteva prestigio, ma uno stile di vita sovraccarico di lavoro e occupato è diventato progressivamente uno status symbol e un distintivo d’onore”. Dopo il Covid19 tutto è cambiato però e “molti professionisti, soprattutto quelli più giovani, hanno iniziato a mettere in discussione lo stile di vita stacanovista precedente alla pandemia e a ritagliarsi più tempo libero”.
Non è un caso che la stessa Cina, da sempre indicata come esempio per spirito di sacrificio e dedizione al lavoro, ha visto nascere nel 2021 il movimento “tang ping” (letteralmente “sdraiarsi”) come simbolo di protesta contro un mercato del lavoro ipercompetitivo e altre pressioni sociali affrontate dai millennial e dalla Generazione Z cinesi.
Secondo James Muldoon, capo dell’osservatorio Autonomy dedicato ai cambiamenti del mondo del lavoro la stessa idea dei guru dell’auto-aiuto, degli influencer e degli amministratori delegati, secondo cui il duro lavoro e l’autosostentamento sono i soli responsabili del loro successo, è profondamente fuorviante.
“L’intera cultura del dire ‘non stai lavorando abbastanza’ maschera le disuguaglianze di opportunità che le persone hanno”, afferma Muldoon.
Una cosa è certa: quell’approccio sfidante (arrogante?) usato da Elon Muk per gestire l’affaire Twitter non sembra almeno per ora aver giovato molto. E se l’ennesima vittima del Covid19 fosse proprio quella idea di iperproduttività che ha garantito il successo a imprenditori come Elon Musk?