Il detto vuole che Roma non fu costruita in un giorno. E soprattutto, fra le righe, si intuisce che non si costruì da sola, ma piuttosto fu il frutto del lavoro incessante di tanti. Similmente, l’Unione Europea è il frutto di un lavoro costante e sostenuto nel tempo, spesso dietro le quinte di grandi summit, da parte di persone che credono profondamente al progetto europeo. Venerdì 28 maggio, Henrik Enderlein, a tutti gli effetti un intellettuale organico dell’Europa, si è spento a soli 46 anni a Berlino, dopo 3 anni di dura lotta contro un tumore.
Pur essendo un brillante ricercatore, Enderlein ha sempre inteso il suo ruolo come quello di un intellettuale in prima linea. Studia economia e politica alla prestigiosa scuola francese Sciences Po, prima di attraversare l’Atlantico per andare a specializzarsi alla Columbia University di New York. Dopo aver scritto una tesi di dottorato sulla moneta unica all’istituto Max Plank di Colonia, lascia temporaneamente il mondo accademico per toccare con mano la costruzione dell’euro e si unisce nel 2001 alla Banca Centrale Europea, che in quei tempi muoveva i suoi primi passi. Diventa poi professore e contribuisce a fondare la Hertie School nel 2005, la prima università tedesca di politiche pubbliche, dedicata a formare la classe dirigente tedesca, europea, ed internazionale. Di questa università diventerà poi il Presidente nel 2018, prima di dover lasciare la carica per motivi di salute. Fa però a tempo a reimmaginare completamente l’assetto della scuola: crea centri innovativi per l’applicazione dei Big Data e Intelligenza Artificiale alle politiche pubbliche, o per la Sostenibilità Ambientale. Con capacità visionaria, individua un antico edificio di Berlino, che a inizio 1900 aveva ospitato i laboratori del Nobel Robert Koch, come nuova sede per l’università, che nel frattempo sta più che raddoppiando le sue dimensioni.
Enderlein è infaticabile. Affianca queste attività accademiche alla creazione e direzione del Jaques Delors Institute di Berlino, istituto satellite dell’omonimo centro di Parigi. Ed è qui che si vede la vera vocazione di Henrik, convinto che il progetto europeo possa avanzare solo se c’è stretta intesa e unione di vedute tra i due paesi che meglio conosce: Francia e Germania. Si parla spesso in maniera astratta di come l’Unione Europea riesca ad avanzare solo quando si mette in moto il cosiddetto “motore franco-tedesco”. La verità è che il “motore” è composto di persone, e Henrik era una di queste, eterno costruttore di ponti tra nazioni. Nel 2014 fa squadra con il famoso economista francese Jean Pisani-Ferry, che diventerà poi la mente del programma per la campagna elettorale del Presidente Emmanuel Macron, e redige un rapporto sulle riforme che Francia e Germania dovrebbero mettere in campo. Macron stesso è stretto da un’amicizia con Enderlein, che ne intuisce da subito il talento, e lo invita a insegnare alla Hertie School, ruolo che Macron accetta ma che non farà in tempo ad iniziare perché nel frattempo verrà nominato Ministro dell’Economia.
Le attenzioni di Enderlein non si fermano però al di là delle Alpi. Pur non parlando la lingua, si interessa molto dell’Italia, dove passerà anche un anno sabbatico a Fiesole all’Istituto Universitario Europeo nel 2017. Non perde occasione per chiedere aiuto nel decifrare gli sviluppi politici italiani. Stringe nel frattempo una amicizia con Enrico Letta che, lasciata l’Italia, era diventato Presidente dell’Istituto Jacques Delors di Parigi. Per quanto gravitasse evidentemente nell’area social democratica, e fosse consigliere di importanti ministri tedeschi come Sigmar Gabriel, Henrik era voce ascoltata da tutte le parti politiche. Forse anche per via della sua spiccata capacità oratoria, e una tendenza a spacchettare i problemi complessi per renderli affrontabili ed evidenti a tutti. Epico resterà un suo intervento al Bundestag nel pieno della crisi dell’eurozona, dove presentò una lista in 12 punti per riportare la quiete nei paesi della moneta unica.
A inizio pandemia, dalle colonne della rivista Der Spiegel, Enderlein si pronuncia subito a favore di una risposta europea congiunta alla crisi economica dovuta al Covid-19 e ammonisce la Germania che rischiava di non cogliere che la storia si stava scrivendo in quel preciso momento. È per questo un bellissimo tributo alla sua vita che nel giorno in cui Enderlein si è spento tutti i parlamenti nazionali dei 27 abbiano terminato di ratificare il Recovery Plan, dando avvio ufficiale a quello che in molti vedono come un momento “hamiltoniano” di cambio di passo per l’Unione Europea.
Il titolo potente dell’articolo di Enderlein su Der Spiegel era “Jeder stirbt für sich allein”, e cioè ognuno muore da solo. Henrik però se ne va oggi accompagnato dalle tante voci europee che hanno espresso un commosso cordoglio, da Christine Lagarde al ministro francese Bruno Le Maire, dal ministro tedesco Altmeier, alla ministra spagnola Arancha Gonzales. A queste si uniscono le voci dei tanti, tantissimi studenti a cui ha impartito una grande lezione di vita, e per i quali servirà da modello indimenticabile. Grazie di tutto, caro Henrik.