Una delle maggiori calamità naturali dell’ultimo secolo si è abbattuta vent’anni fa, il 26 dicembre 2004, nella regione di Banda Aceh, in Indonesia: un sisma con epicentro nel mare al largo di Sumatra ha provocato il crollo di numerosi edifici sulla terraferma ed è stato seguito, dopo una ventina di minuti, da uno tsunami che ha colpito le coste dell’Indonesia settentrionale, con onde alte fino a trenta metri, come un palazzo di dieci piani, che, alla massima velocità, hanno raggiunto gli 800 chilometri orari, liberando un’energia equivalente a 23 mila volte la potenza della bomba atomica di Hiroshima sganciata dagli americani nell’agosto del 1945 durante la Seconda guerra mondiale. Successivamente il maremoto ha impervesato in tutto l’Oceano Indiano. Inizialmente si è abbattuto sulle coste settentrionali di Sumatra e, in un secondo momenoto, su quelle della Thailandia, dell’India, dello Sri Lanka, delle Maldive, fino ad arrivare a oltre 5 mila chilometri alle Isole Mauritius, in Somalia dopo oltre sei ore e in Sudafrica dopo dieci.
Il bilancio finale fu drammatico: oltre 250 mila tra vittime e dispersi in molti paesi asiatici e perfino sulle coste africane. Nella sola Thailandia sono morte più di 5 mila persone, metà delle quali turisti stranieri, e altre 3 mila risultano tuttora disperse. Oggi a Banda Aceh la capitale della provincia più settentrionale dell’Indonesia c’è una tomba comune dove sono sepolte più di 14 mila vittime non identificate. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il terremoto aveva una magnitudo 9.2, al terzo posto tra i più grandi mai registrati in epoca strumentale (dagli inizi del Novecento) dopo quello di magnitudo 9.5 avvenuto in Cile nel 1960 e quello di magnitudo 9.2 che ha colpito l’Alaska quattro anni dopo. Nelle settimane successive, gli studi rivelarono le caratteristiche eccezionali di questo sisma: mai prima di allora gli strumenti avevano registrato la rottura di una faglia lunga più di 1000 km, lunghezza paragonabile alle dimensioni dell’intera penisola italiana.
A posteriori fa riflettere il fatto che i paesi colpiti dallo tsunami non possedevano un sistema in grado di avvisare la popolazione dell’arrivo delle onde distruttive e indurla a spostarsi verso l’interno. Da allora, circa 1.400 stazioni di rilevamento in tutto il mondo hanno ridotto i tempi di allerta dopo la formazione di uno tsunami a soli pochi minuti. A vent’anni dall’immane tragedia le principali celebrazioni si sono tenute nel piccolo villaggio di pescatori di Ban Nam Khem, in Indonesia, dove lo tsunami uccise oltre 8 mila persone. Dopo la ricostruzione del paese, è stato eretto anche uno spazio per ricordare il disastro naturale: lo Tsunami memorial park.
Banda Aceh (LaPresse)