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A Roma si rischia la vita anche ad attraversare sulle strisce

Ott 20, 2023

A Roma tre persone sono morte investite da altrettanti automobilisti negli ultimi tre giorni. Gabriele Sangineto aveva 21 anni, è stato travolto sulle strisce pedonali di fronte alla stazione di Labaro, sulla via Flaminia, periferia nord, appena fuori dal Grande raccordo anulare. Laura Pessina aveva 58 anni, era venuta a Roma da Brugherio, in Brianza, insieme al marito e alla suocera. È stata travolta sulle strisce pedonali di via del Teatro di Marcello, pieno centro, sotto il Campidoglio. Orazio Frezza, pensionato di 78 anni, era da poco uscito di casa con il cane al guinzaglio, anche lui stava attraversando le strisce su via Latino Silvio, non lontano dalla stazione Tiburtina. 

Sono trentatré i morti nella Capitale da inizio anno. Trentatré persone investite e uccise sulle strade da automobilisti sono un’enormità. Ciò che stupisce e fa rabbrividire è che se da un lato istituzioni e stampa sostengono che è qualcosa di inaccettabile, nella realtà dei fatti domina una sorta di rassegnazione.

Ci si aspetterebbe che una simile strage diventasse il primo argomento di dibattito, dai tavolini dei bar fino ai banchi di Palazzo Senatorio. Invece sembra che, in fondo, non si possa fare altro che accettarla. Tutto va avanti come sempre, per le strade della Capitale ci sono le solite code, le solite infrazioni, il solito nervosismo. E al solo sentir parlare di interventi per migliorare la sicurezza stradale – pedonalizzazioni, sensi unici, zone 30, autovelox – scattano proteste, incitamenti alla rivolta e alla trasgressione. Chi introduce l’argomento delle città 30 viene trattato da eretico.

La macchina è vissuta, a Roma, come un diritto inalienabile. I discorsi sono sempre gli stessi da anni: come ci si può muovere in una città tentacolare ma nella quale ci sono solo tre linee di metropolitana e che per di più non raggiungono molte zone densamente popolate? Come ci si può affidare ai mezzi pubblici se tram e autobus passano poco e sono sempre in ritardo? Come si può prendere la bicicletta se non c’è una rete ciclabile adeguata? E per di più in una città costruita su sette colli?

Qualche obiezione è sensata, qualcuna meno. Le linee della metro sono poche, vero, i bus sono pochi, vero, e spesso affollati e in ritardo. Ma c’è ritardo anche perché il traffico è molto e le infrazioni nelle soste sono elevate. 

Bisogna tenere a mente che ogni mille abitanti a Roma ci sono ben 623 vetture. In un’automobile durante le ore diurne ci sono in media 1,2 persone (la stima l’ha fatta Nomisma nel 2021). E poi c’è il corollario tutto romano al teorema, romanissimo, dell’automobile come diritto inalienabile: una parte dei cittadini ritiene infatti suo diritto pure parcheggiare, anche dove il posteggio non è permesso. La doppia fila a Roma è diffusissima in ogni zona della città. Negli ultimi anni si sta sdoganando pure la terza fila. Lasciare la macchina nelle zone di fermata degli autobus è considerato normale. Chiamare la polizia locale per chiedere il loro intervento e la rimozione delle automobili in sosta vietata è a volte del tutto inutile. La risposta è sempre la stessa: siamo sotto organico, non abbiamo le risorse per intervenire. Anche perché molti poliziotti locali sono costretti a presidiare gli incroci più trafficati della Capitale per evitare che il traffico si congestioni del tutto.

Il piano per una massiccia pedonalizzazione del centro storico, per il rafforzamento del sistema di corsie preferenziali di autobus e taxi, e la creazione di una rete di sensi unici con lo scopo di far diminuire il traffico veicolare nelle zone più problematiche del tessuto urbano e permettere allo stesso tempo di migliorare l’efficenza del servizio pubblico è ormai un’anticaglia che risale alla metà degli anni Novanta del secolo scorso. È stato ritoccato alla metà degli anni Zero del Duemila. Al momento non si sa in quale cassetto sia disperso.

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