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A chi andrà la rete di Tim? Tutti i nodi da sciogliere

Ago 29, 2023

AGI – Il dossier relativo alla rete di Tim, dopo che il governo nella prima riunione dopo la pausa estiva ha autorizzato il ministero dell’Economia a entrare nell’offerta per Netco, sembra sempre più avviato su un percorso concreto che davvero potrebbe portare alla dismissione di un asset realmente strategico, per la società ovviamente ma anche per l’interesse nazionale.

Le decisioni adottate dal Cdm il 28 agosto “alzano notevolmente le chance di realizzazione dell’operazione, dato il chiaro e forte supporto politico ai massimi livelli da parte del governo”, certificano gli esperti di Equita.

L’esecutivo ha deliberato un Dpcm e un decreto legge che, in sostanza, autorizzano il Mef a entrare nell’offerta per Netco con una quota compresa tra il 15% e il 20% e individuano le risorse necessarie all’investimento assegnando fino a 2,2 miliardi di euro.

L’importo “è coerente con le valutazioni circolate relative a 20 miliardi di enterprise value della rete, dei quali 9 miliardi di debito e 11 miliardi di equity”, fanno notare gli analisti di Equita. Al termine della riunione, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, hanno quindi ribadito il pieno supporto del governo all’intera operazione che punta a garantire il controllo statale della rete, salvaguardando i livelli occupazionali e gli interessi di tutti gli stakeholder.

Cosa è la rete

Tim detiene e gestisce una rete di accesso primaria, in rame e fibra ottica, che serve i cabinet (quegli armadietti che si vedono sui marciapiedi delle nostre città) nonché i collegamenti ultra-broadband (cioé con accesso a internet con velocità superiori a 30 Mbps) dei clienti finali.

Poi possiede la cosiddetta rete di accesso secondaria, anch’essa sia in rame sia in fibra ottica, che dai cabinet arriva nelle singole case degli italiani. La rete primaria è detenuta interamente e direttamente da Tim, mentre la secondaria è posseduta indirettamente dalla principale compagnia telefonica del Paese tramite Fibercop, il cui capitale è nelle mani di Tim per il 58%, il 37,5% è di Kkr (tramite la società Teemo) e il restante 4,5% da Fastweb.

In vendita è una quota di maggioranza della costituenda società di Tim chiamata Netco, di cui faranno parte la rete primaria, la rete secondaria (Fibercop) e probabilmente Sparkle, un vero e proprio ‘gioiellino’ che possiede e gestisce una rete in fibra di circa 550 mila chilometri che contribuisce a garantire i collegamenti internet tra Europa, Africa, Americhe e Asia.

Perché Tim è pronta a cedere la rete?

Tim è pronta a cedere il controllo di Netco – oltre che per dedicarsi ai servizi ‘core’ di telefonia e internet e a quelli più ‘evoluti’ come i Cloud, Data Center, distribuzione di contenuti (piattaforma TimVision) – soprattutto per abbattere il ‘famigerato’ debito che grava come un macigno su ogni piano di sviluppo sin dalla privatizzazione degli anni ’90.

Un “fardello” che con l’incremento attuale dei tassi di interesse appare sempre di più difficile gestione. Tim ha chiuso il 2022 con un indebitamento finanziario netto after lease pari a 20 miliardi di euro, in aumento di 2,4 miliardi di euro rispetto al 31 dicembre 2021.

L’indebitamento finanziario netto rettificato era pari a fine dicembre scorso a 25,4 miliardi, in aumento di 3,2 miliardi rispetto alla stessa data dell’anno precedente. È necessario “cercare di ridurre in maniera sostanziale il nostro indebitamento se vogliamo operare in maniera eccellente” e per riuscirci “ci dovranno essere operazioni straordinarie”, ha affermato in più occasioni l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Labriola, per il quale Tim è “un’azienda industrialmente sana” che però soffre per “il fardello del debito” che deve ormai “essere risolto strutturalmente”.

La regia del governo

Tim è storicamente un’azienda che tocca da vicino le sfere della politica e l’attenzione dei vari governi, e l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ovviamente non può fare eccezione. Del resto parliamo di un asset strategico, per business e sviluppo sociale, della nazione. La circolazione dei dati sensibili e le infrastrutture di telecomunicazione ricadono nel regime dei poteri speciali, ovvero del golden power, lo strumento normativo che consente al governo di uno Stato di bloccare o porre specifiche condizioni a determinate operazioni finanziarie che vadano a intaccare gli interessi nazionali.

Nello specifico, l’obiettivo dell’attuale esecutivo è stato più volte esplicitato dai membri del governo, a partire dal ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso: lo scopo del governo “è la realizzazione non di una rete unica, ma di una rete nazionale a controllo pubblico che copra al più presto tutti gli ambiti del nostro territorio, soprattutto quelli più svantaggiati”.

Quindi, oltre alla garanzia di assicurarsi un controllo pubblico per evitare che la rete vada in mani private potenzialmente interessate al controllo dei dati personali per motivazioni ‘particolari’, il governo vuole garantire che le connessioni più performanti arrivino anche nelle aree del Paese dove questi investimenti non risultano remunerativi, come per esempio nei piccoli comuni, nelle zone montane, nelle isole minori, zone d’Italia dove comunque vive una percentuale significativa della popolazione e che tramite infrastrutture avanzate possono essere in grado di ripopolarsi e svilupparsi economicamente.

L’interesse di Kkr

Kkr e’ un fondo statunitense fondato nel 1976 a New York da Jerome Kohlberg Jr. e dai cugini Hwenry e George R. Roberts. Amministra più di 400 miliardi di dollari tramite una ‘squadra’ composta da quasi 1.700 impiegati e consulenti e oltre 550 analisti capaci di pilotare e consigliare investimenti da una rete dislocata in 20 città di 16 diverse nazioni di 4 continenti. In questi anni Kkr ha effettuato investimenti in oltre 160 società che spaziano dai settori delle infrastrutture (uno dei più gettonati dal fondo) all’energia, dal real estate al credito.

Già nel novembre del 2021 aveva manifestato interesse per Tim con un’offerta per rilevare l’intero gruppo. Un interesse che fu rispedito al mittente, mentre adesso l’offerta, ritoccata verso l’alto negli ultimi mesi, ha l’appoggio del governo italiano. Il 10 agosto scorso è stato sottoscritto un memorandum tra il Mef e Kkr, che entro il 30 settembre è chiamato a presentare un’offerta vincolante per l’acquisto della rete della compagnia telefonica. L’intesa prevede che se l’accordo tra Tim e Kkr andasse a buon fine, il Tesoro potrebbe rilevare fino al 20% della Netco.

Cosa aspettarsi da Vivendi

Sull’intero processo non potrà non essere sentita la ‘voce’ di Vivendi. Il colosso francese dei media è il primo azionista di Tim con circa il 24% del capitale e ha sempre detto di valutare la rete di Tim circa 31 miliardi di euro. La società della famiglia Bollorè ha manifestato il proprio gradimento all’ingresso del Mef in Netco e un incontro con il governo potrebbe tenersi a settembre.

L’obiettivo e’ sgombrare il campo da ogni possibile ‘sorpresa’, visto che Vivendi ha un potere di veto decisivo nel caso che l’operazione passi per ‘le forche caudine’ dell’assemblea che dovrebbe approvare il progetto verso la fine dell’anno.

Il ruolo di Cdp

La Cassa Depositi e Prestiti si trova nella singolare posizione di venditore e potenziale acquirente di Netco. Cdp, infatti, è il secondo socio di Tim con il 9,9% circa del capital e detiene il 60% di Open Fiber, la società fondata per cablare il Paese con una rete alternativa a quella di Tim ma che nel corso degli anni non sta raggiungendo i propri target. L’altro 40% è detenuto dal fondo australiano Macquaire. Fallita la prospettiva di un’offerta per Netco in tandem con i soci australiani, Cdp potrebbe entrare nel progetto acquisendo una quota tra il 3% e il 5% di Netco.

Al progetto, inoltre, dovrebbe partecipare anche F2i con una quota fino al 15%, in modo da garantire in trasparenza al controllo pubblico una quota pari a circa il 35% dell’asset, con il restante 65% in capo a Kkr. Solo in un secondo momento verrà eventualmente affrontato il tema se il riassetto possa portare o meno all’integrazione con la rete di Open Fiber per arrivare a un’infrastruttura unica. Un aspetto su cui sono emersi da subito a Bruxelles diversi dubbi in materia di Antitrust. 

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