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Cacciatori di galassie, il telescopio da solo non basta più

Dic 6, 2016

Il 5 dicembre 2016 ho avuto una di quelle esperienze per cui chi si occupa di Scienza per lavoro può ritenersi un privilegiato: assistere a un seminario di Alex Szalay. Forse poco noto al grande pubblico, Alexander Szalay è una sorta di “superstar” della comunità astronomica e scientifica in senso lato. Di origini ungheresi, ma trapiantato da molti anni negli USA, è Professore presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia della Johns Hopkins University di Baltimora. Probabilmente si tratta di uno dei pochi veri geni attualmente viventi ed è il padre della Sloan Digital Sky Survey (SDSS).

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Alexander Szalay

La SDSS è stata la prima grande survey digitale che ha trasportato l’Astronomia nel regno dei Big Data. Si tratta della più dettagliata mappatura dell’Universo mai realizzata finora, che in 15 anni di osservazioni e 13 data release ha messo a disposizione dei ricercatori un database sconfinato (diverse centinaia di terabyte) di stelle, galassie, quasar e molti altri oggetti di alto interesse scientifico. Una quantità di dati tale che a tutt’oggi rimane la più utilizzata base di conoscenza per un gran numero di pubblicazioni e di progetti di ricerca in campo astronomico.

Alex Szalay ha contribuito, in particolar modo, alla realizzazione di questo enorme archivio (in collaborazione con il compianto Jim Gray di Microsoft Research), e insieme hanno definito la cosiddetta data-driven science come il quarto paradigma della ricerca scientifica, dopo esperimento, teoria e simulazione.

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Nel seminario tenuto oggi presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies (HITS) il Professor Szalay ha ripercorso questo processo in base al quale molte discipline scientifiche stanno vivendo un rapido cambiamento dovuto alla mole di dati a disposizione dei ricercatori. La trasformazione è radicale, per cui non si pensa più a una Scienza basata sulla formulazione di ipotesi da verificare, bensì a un tipo di ricerca che punti ad analizzare i dati a disposizione, cercando direttamente al loro interno leggi e relazioni che portino eventualmente alla scoperta di nuovi fenomeni.

Un approccio diametralmente opposto dunque, ma l’unico possibile, dato lo scenario che va configurandosi. Scenario in cui, analizzando di pari passo la crescita di informazione a disposizione e lo sviluppo delle tecnologie informatiche, sia hardware che software, non sarà più sufficiente un approccio basata sulla “forza bruta”, computazionalmente parlando, ma occorrerà sviluppare nuove e più intelligenti tecniche di approccio alla gestione e analisi dei dati.

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Voorwerp, foto dell’Hubble Space Telescope

Notevole può essere anche il contributo degli appassionati e comuni cittadini, i cosiddetti citizen scientists, che tramite il web e piattaforme realizzate in maniera opportuna, possono dare un contributo importante; basti pensare al progetto Galaxy Zoo, nel quale, tramite un percorso guidato, chiunque è chiamato a classificare galassie attraverso le immagini della SDSS. Il tutto avviene come un gioco, e si è rivelato estremamente efficiente, consentendo agli essere umani di guardare immagini che altrimenti nessuno avrebbe mai osservato direttamente. Tramite questo sistema sono già state effettuate alcune clamorose scoperte, come nel caso della nube peculiare chiamata Voorwerp.

Sicuramente l’Astronomia è stata capofila in questa rivoluzione, in quanto Scienza per forza di cose non sperimentale e “riproducibile”, ma bensì basata essenzialmente sull’osservazione e l’analisi statistica. Ma tutto ciò ha ampie ripercussioni, faceva notare il Professor Szalay, in tutti i campi del sapere scientifico, anche quelli più direttamente legati al nostro vivere quotidiano. Ad esempio notevoli applicazioni si stanno verificando in medicina, nelle tecnologie di riconoscimento del cancro.

Per questi motivi, ha infine concluso lo scienziato, anche il percorso di formazione delle nuove generazioni richiede di essere profondamente ripensato. Non sarà più pensabile infatti, in un prossimo futuro, che un astronomo, un biologo, un chimico, ma anche un medico ricercatore, non abbiano anche solide conoscenze di informatica e statistica.

Come diceva Carl Sagan: “Da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere scoperto!”

Antonio D’Isanto è dottorando in astronomia presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l’applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.

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