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Stile Pininfarina, le riflessioni sul Talk Show a Torino

Dic 6, 2016
Stile Pininfarina, le riflessioni sul Talk Show a Torino

Qualche settimana fa Luca Gastaldi è riuscito a inanellare un autentico quanto raro cameo per gli appassionati del car design: un talk show live dal semplice titolo “Stile Pininfarina”, incorniciato nel concept store iQOS Embassy Torino di via Porta Palatina 23b.

Un’altra freccia scagliata dal dinamico e raffinato autore-giornalista del mondo dell’auto storica e di design.

Fabio Filippini – Chief Designer Pininfarina – e Fabrizio Valenti, operosa matita della carrozzeria, guideranno la serata raccontando storia e attività del prestigioso marchio.

Per chi è affascinato e cultore del car-design la serata si rivelerà struggente, scosso tra l’empatia con la bellezza evocata e la durezza dei tempi che attraversiamo.

Entriamo allora in questo accattivante e tagliente salotto d’altri tempi, proiettato nel futuro e con i piedi per terra.

La iQOS Embassy di Torino è un ambiente diviso tra il gusto della location, lo stimolo dei pezzi della storia del design moderno di gran pregio esposti e la ricerca scientifica di Philip Morris per un fumare meno nocivo e più buono per i cultori dell’insano vizio.

Pochi passi e la serata potrebbe già esser conclusa con soddisfazione: un incontro specialissimo avviene nel piccolo cortile del palazzo in cui è parcheggiata la Cisitalia 202.

È Claudia Cardinale, non perché si parli di passato ma perché il famoso di oggi non esula mai dal volgare purtroppo. Non quella volta.

Understatement dunque, dove troveremo donne bellissime lontane dalle copertine patinate e disegnatori che resistono con perseveranza agli stravolgimenti di settore da cui sono sconvolti ove l’architettura vuole essere trasformata in mera moda viscerale.

Siamo nell’Italia dello Stile, l’Italia del design, del buon cibo, della cultura e dell’arte. Già, l‘Italia dello Stile che non ha più un marchio che non sia straniero, che non ha più un carrozziere, che vede l’olio d’oliva minacciato dalle normative europee, la miglior università piazzata duecentesima nel ranking mondiale ed i palazzi antichi che crollano sotto il peso dell’incuria, dell’Imu e delle solite aberranti norme restrittive degli uffici tecnici.

Ecco perché siamo in un salotto, un salottino protetto e magnifico dove si parla ancora sottovoce e per alzata di mano. Fabio Filippini è il responsabile dello stile della Pininfarina, un ruolo glorioso, importante e performante. Giunge dal mondo Renault, un marchio in cui la creatività è da sempre il punto forte, magari per farsi perdonare in passato le bronzine fuse premature che affossarono creazioni ardite come Avantime.

Al suo fianco Fabrizio Valenti, energica mano presente ad esempio in tante delle ultime realizzazioni Ferrari.

Luca Gastaldi ha ideato e condotto la serata, con il suo spirito attento, giovanile e preparatissimo in materia. Non ha ottant’anni e nemmeno sessanta; l’automobilismo sa essere anche giovane per fortuna.

Fermiamoci alla Cisitalaia: definita scultura al Moma di New York dove è esposta, è la summa di Pininfarina, sebbene paradossalmente concepita dall’Ingegner Savonuzzi: innovazione, lungimiranza, concretezza e armonia. Se è vero che Pinin Farina non ne fu l’ideatore è altrettanto vero che fu colui che tramite i suoi accorgimenti la rese unica. La linea di quest’auto è eccellente per l’equilibrio di proporzioni che la pervade: sono perfette. Ha una completezza formale priva di stranezze e sa trasmettere il suo significato tramite l’armonia e la discrezione. Il suo messaggio è di grandiosità, equilibrio e grande dinamismo.

Guardiamola da vicino: il cofano non risulta un obbligato perimetro di tagli tra i lamierati ma è un elemento della carrozzeria con la sua personalità, tagliato a cuore in prossimità del parabrezza da cui si tiene distante ripercorrendone il profilo.

Il paraurti è strepitoso: all’epoca della cromatura imperante, le lame orizzontali del paraurti sono in tinta con la carrozzeria. Questo dettaglio rende già unica quest’auto in cui tutto è posizionato come fosse un archetipo e non l’oggetto stesso.

La salutiamo e andiamo al piano superiore dove Filippini ci racconterà della Pininfarina. Ci mostra le auto create attraverso i decenni dalla carrozzeria torinese frenando a fatica la passione suscitata da queste creazioni sublimi. Ascoltando sovrappongo alla proiezione in corso come un frame o un emozione il taglio della portiera della 202. E’ perfetto, soprattutto verso la ruota posteriore. Quest’immagine sintetizza diversi minuti della lezione di Filippini.

Si illustrano gli anni ’30…gioco a immaginare dei passi che si muovono in cortile. Qualcuno si ferma vicino alla Cisitalia e poi i passi svaniscono. Non è opera sua, ma a questo personaggio misterioso che aleggiava sempre vicino all’innovazione si devono i primi passi della gran parte delle carrozzerie italiane tra cui anche la Pininfarina. Nemmeno questa volta qualcuno lo cita. I passi svaniscono, era il Conte Revelli de Beaumont che, oltre ad aver pressoché inventato molti dei canoni della carrozzeria italiana, prosegue ad esser relegato in un oblio senza senso.

Ora l’atmosfera si fa toccante ma rischia di divenire un racconto della storia più nota del design: Aurelia e Giulia Spyder, Maserati A6GCS, Lancia Florida II. Non ci stancheremo mai di vederle e di sentire i racconti su di loro. La loro bellezza diventa struggente e a guardare cosa affolla i parcheggi moderni ci si sente di colpo poveri.

La Berlina Aerodinamica: digressione sull’importante progenitrice

La raffinatezza arriva a consolarci e Filippini cita la Pininfarina Berlina Aerodinamica per poter parlare finalmente anche dell’era moderna della carrozzeria, che tanto ha da dire e molto da migliorare. Il progetto è la pietra miliare della berlina aerodinamica moderna ed è realizzato – fatto ancor più interessante – in due declinazioni Bmc 1800 ammiraglia e Bmc 1100 più piccola.

BMC Pininfarina 1800 in alto e 1100 sotto; in basso Gs e CX, così vicine così lontane

Ecco il primo progetto di Paolo Martin in cui è già visibile la modifica di Renzo Carli, consistente nella riga dritta sovrascritta della linea di cintura ed il tentativo di applicare delle prese d’aria laterali, così anomale su di una berlina. La modifica più che di Carli, che se ne fece portavoce, fu di Leonardo Fioravanti. Paolo Martin ci spiega meglio questi passaggi e ci illustra il progetto della Bmc attraverso dei modelli – riprodotti con le sue mani ex novo – dove si vedono dapprima linee dinamiche ma morbide, che divengono tese dopo l’intervento di Carli. Interessante vedere che sul secondo progetto siano tracciate due linee in variante per la portiera posteriore: la prima viene scelta analogamente sulla Citroen CX, la seconda, quella più arretrata, ricorda quella della Citroen C6.

In alto il primo progetto, in basso il secondo

Una storia esplosiva

Quest’auto racchiude i conflitti tipici che porta ogni cambiamento sostanziale e apre contesti che a volte hanno rasentato la polemica. Ad esempio quest’auto viene spesso tuttora attribuita a Leonardo Fioravanti sebbene sia di Paolo Martin, si dice che ispirò l’Alfasud che invece nacque dagli studi di tutt’altra natura che eseguì Rudolph Hruska e si racconta che fu copiata dalla Citroen anche se non è dimostrato. Allo stesso tempo c’è del vero anche nel contrario di quanto appena affermato.

Ciò che è certo è che il progetto è al 100% Pininfarina, con la sua scientificità, discrezione ed innovazione.

Diamo la nostra versione

Per sbrogliare i nodi di un gomitolo si devono dilatare tutte le asole senza tirare i fili: facciamo così anche noi nel caso Bmc:

La Storia

In Pininfarina, a metà del 1967, Franco Martinengo incarica Paolo Martin di disegnare una berlina aerodinamica di grande effetto, da presentare all’imminente Salone di Torino. Renzo Carli interviene però sul progetto e ne chiede dei cambiamenti sostanziali. Nulla di strano, Carli è solito intervenire sui disegni degli stilisti Pininfarina ma in questo caso pare che le modifiche siano in realtà da attribuire al giovane Leonardo Fioravanti appena sbarcato in Pininfarina.

Paolo Martin interpreta secondo il suo tratto questi ordini dall’alto e applica gli stilemi della sua Dino Parigi Coupè alla berlina aerodinamica. Martin esegue il progetto con molte interferenze e lo guida per questo con alcune sue perplessità: le modifiche richieste al frontale faticano a dimostrarsi vincenti e anche quelle definitive non sono da capogiro. La decisione di dare una linea di cintura tesa alla fiancata stravolge poi il progetto originale di cui resta solo la sagoma: il primo prototipo di Martin era una show-car, per accedere alla quale si apriva addirittura la carrozzeria in due gusci. Allora perché queste modifiche “normalizzanti” in contrasto con il primo input di Martinengo? Semplice, ora serve una pre-serie destinata al mercato: il progetto Berlina Aerodinamica verrà proposto al marchio British Motor Company, il nuovo tappeto sorto in Inghilterra sotto il quale nascondere tutti i dissesti e debiti delle diverse marche nazionali, in cui oltremanica si riponevano però speranze di rivincita.

Il progetto continua ad evolversi e si arriva in poco tempo a proporre addirittura due varianti della stessa auto, una di piccole dimensioni e l’altra ben più grande, pronte per il mercato. L’idea è innovativa e possiamo dire che come strategia caratterizzò poi quelle di Mercedes e BMW soprattutto negli anni ’80 e ’90 dove la stessa sagoma di auto viene riproposta pedissequamente tra piccola, media e grande. La differenza è che Pininfarina applicò una teoria aerodinamica su piccola e grande scala, non fece il medesimo oggetto in scala differente, ben diverso!

Verso la produzione di serie

Queste due auto così innovative davvero parevano la carta giusta per rilanciare l’automobile inglese ormai in “avvitamento”. Ma l’occasione non venne gestita e il progetto non decollò lasciandosi invece mostrare al salone di Torino: nulla di peggio poteva esser fatto. Il ghiotto piatto di innovazioni resta alla mercé dei marchi di mezza Europa che letteralmente sbranarono il progetto e ciascuno ne fece propria una parte. Pininfarina soffrì certamente a causa della scelta dei vertici di Bmc e venne per certi versi trascinata in basso.

Analogie francesi con troppe coincidenze:

Citroen, ufficialmente priva di contatti con Pininfarina, propone la sua prima berlina aerodinamica circa un anno dopo la presentazione della Bmc e declina la stessa berlina in piccola, la Gs, e grande, la Cx (qualche anno dopo). Le vetture si assomigliano in modo strabiliante e solo la fisionomia personale e originale della bella Cx (messa comunque in vendita nel ’74) stempra i toni di questa diatriba italo-francese.

Chiediamo di persona a Paolo Martin se ci fu una fuga di notizie: Paolo ci sorride con uno sguardo volto a sdrammatizzare ed incita alla calma: ci racconta che all’epoca si disegnava a ritmo impetuoso e non si sapeva nemmeno che ore fossero. L’ambiente era semplice, non c’erano “trame di palazzo”. Il disegno buono era da inseguire con frenesia e non c’era tempo per altro. Quasi sicuramente la Cx nacque su un binario parallelo, senza alcun plagio dato che tutti studiavano lo stessa teoria aerodinamica di Wunnibald Kamm, ed è questo a sfatare gran parte dei soliti miti sul plagio.

Piacque ai francesi l’idea delle due declinazioni? Evidentemente sì, fu la chiave per Citroen di non proporre solo utilitaria – 2cv – e ammiraglia – DS – ma di inserirvi di mezzo un’auto media, la GS, simile all’ammiraglia. Dunque plagio? Ni…

DS e Bmc: dal 1955 al 1967

Citroen è la padrona assoluta del canone “due volumi” grazie alla DS, l’auto più aerodinamica del mondo sul mercato dell’epoca. La carrozzeria aerodinamica è per forza a due volumi secondo le teorie dell’epoca, e per di più a “coda tronca”: per realizzare il seguito di Ds è d’obbligo mantenerne questo format, da quest’ultima sdoganato e divenuto distintivo di fabbrica Citroen.

Tuttora non si tollerano Citroen 3 volumi.

Diciamo di più:

Il designer di Gs e Cx, Robert Opron, era l’assistente di Bertoni e l’esperienza aerodinamica della DS arriva sul mercato nel ’55: la sua linea si presenta con un frontale a freccia che si allunga notevolmente oltre la ruota anteriore, sottomotore calandrato e linea di fiancata ad ala con la linea della coda che si solleva. Allora sono questi dettami Ds ad essere ripresi integralmente dalla Bmc? No: infatti la prima bozza di Martin è molto morbida e non ricorda nessun marchio né modello. La Bmc definitiva, il secondo progetto, è figlia poi di un Coupè, la Dino Parigi, che non centra nulla con una berlina come la Ds appunto.

Inciso fuori tema: la successiva Alfasud è l’auto che più assomigliò a questo primo disegno di Martin per Pininfarina, ma sempre senza centrare nulla con questo progetto perché segue un percorso diversissimo: in molti riconducono invece l’Alfasud alla Bmc, citando però il secondo progetto di Martin, quello modificato dai dettami Carli-Fioravanti: che caos!

Non fosse un tema così delicato, la discussione somiglierebbe molto a quella riguardo all’inventore della bomba atomica, se i tedeschi o gli americani o gli italiani con gli americani, sull’esperienza tedesca. Un rebus da ricondurre alla simultaneità “empatica” della ricerca, tipica dall’800 in poi, come ne è esempio la storia della fotografia.

Curiosità

Forse per rintuzzare questo dibattito passionale Citroen dopo decenni, presentando il canto del cigno della sua storia di berline “figlie della Ds”, realizza la sua ultima ammiraglia, la “C6”, come catastrofica sintesi stilistica tra la Bmc di cui in questo caso certamente ricopia integralmente la cabina dal parabrezza alla vetrata di fiancata, e allude alla Cx per sagoma e dettagli come il vetro posteriore introflesso e l’inaffidabilità. Come mai? Non c’è un perché, e la C6 scomparve coi suoi semiassi subito rotti e gli interni mutuati dalla C5.

Conclusioni

La Bmc e il suo dibattito offrono un’interessantissima cartolina sul fervore creativo che si muove vorticoso e germinativo nell’ambito del car-design: un fiume in piena di idee dove vince solo chi sa coordinarle con maestria e completezza. Gli altri, se son meno forti, fanno la figura dei gregari e la cattiveria porta inutilmente e senza motivo a tacciarli di plagio. Certo, qualcuno sul fondo a volte con le sue chele può rubare un’idea, ma fa parte del gioco anche se sleale.

La Carrozzeria:

Altra differenza in questi casi emerge ovviamente tra la figura del creativo e la realtà più complessa della Carrozzeria, nel nostro caso la Pininfarina: abbiamo voluto citare il nome dei singoli designer per passione della storia e dei loro artefici, ma comunque sia è fondamentale, giusto e preciso indicare sempre a monte il nome della Carrozzeria quando c’è. Franco Scaglione rimase isolato perché senza struttura attorno ai suoi meravigliosi progetti (vedi Lamborghini 3500). Pininfarina ha saputo dotarsi di persone in grado di completare il suo messaggio, la sua filosofia e i sui piani aziendali. Alla direzione dell’azienda è assegnata la responsabilità della strategia, ruolo spesso molto più delicato e rischioso di quello del designer stesso, il vero lavoro in base alle cui decisioni si stabilisce la sopravvivenza o meno dell’intera azienda. La stessa Carrozzeria crea poi la sua immagine e la sua idea di futuro, fondamentale per gli stilisti, che consegna nelle mani dei creativi che ritiene essere più consoni. Il generale e i suoi soldati in sintesi. E nel raccontare la Bmc si può intuire da un lato il fervore creativo del mondo legato ai disegnatori, dall’altro l’enorme apprensione e l’azzardo che i vertici Pininfarina hanno dovuto affrontare nel lavorare per un cliente tanto incerto. Per renderci conto, illustrate le intricatissime vicende sorte attorno alla modernità del messaggio di questa Berlina Aerodinamica, ecco per cosa optò di produrre invece la Bmc.

Un’auto che non ha una linea ma è un grottesco connubio tra stilemi di una serie di auto vecchie, dalle Toyota alla Peugeot 404. Non piacerebbe nemmeno ai disegnatori di Peppa Pig per il loro fumetto, ma fu scelta al posto della Berlina Aerodinamica.

Il seguito della Bmc

Fatto è che la Berlina Aerodinamica generò un vero filone di auto “aerodinamiche” e fallendo come Bmc vide nascere come sue costole le Citroen citate per medesima declinazione grande e piccola, allo stesso modo Lancia Beta e Gamma (questa figlia di Fioravanti), Ford Sierra, fino alla Rover SD1 3500, per proseguire al giorno d’oggi per mano tedesca. Dopo anni di esperimenti sconcertanti come le prime serie di VW Passat e Audi 100 due volumi infatti, progredendo per le già più armoniose linee discrete delle instancabili Opel Rekord e Vectra, i marchi tedeschi iniziano al giorno d’oggi a “centrare” stilisticamente il segmento “due volumi” con la BMW Gt 3. Audi A5 e A7, sgraziate ma meglio dell’amorfa BMW Gt 5, riconoscono comunque anche loro nella 2 volumi la formula di sopravvivenza della berlina medio alta elegante, altrimenti sbaragliata dalle sempre più performanti e mutevoli SUV e Station Wagon a cabina alta, eredi delle ormai scomparse monovolume. A cinquant’anni di distanza dall’idea di Pininfarina si affronta oggi il tema come grande opportunità.

A Pininfarina la gloria ma non solo:

Una carrozzeria nata per le fuoriserie, perché agli albori dell’auto lo erano quasi tutte, riesce a trasformarsi in un industria di eccellenza del design che sa fare proiezioni sull’evoluzione dell’automobile e ne cerca gli ingredienti per vestire il nuovo progetto di riferimento con un lessico in grado di far cambiare la mentalità comune. Pininfarina fugge sempre gli elementi di rottura e anche nella Ferrari Modulo, prototipo estremo, l’eleganza e l’armonia sono il primo chiaro messaggio. La cabina in quest’auto scorre e vi si entra più o meno normalmente, senza compiere “stranezze”. Gli specchi retrovisori della Modulo erano stati pensati da Martin con una sorta di periscopio che proietta le immagini nel cruscotto: non è forse l’antesignano del monitor con le videocamere? Questo è saper vedere il futuro 50 anni prima, senza fare gesti bizzarri: qui sta la capacità e la sopravvivenza di Pininfarina.

Arriviamo agli anni ’70

Sono gli anni della segreta trama della destabilizzazione e dei terribili attentati che martoriarono il paese. Il bene di lusso viene sempre più additato negativamente e la crisi generata dai disordini porta a cattive scelte di marketing alcune case automobilistiche. Si vedono due marchi celeberrimi che falliscono in un solo progetto dalla qualità ingiustificabile, Citroen e Maserati con la “Quattroporte” a trazione anteriore. L’Alfa Romeo è letteralmente sotto attacco ed il progetto Alfasud – anch’essa due volumi – viene boicottato e rovinato da mani che arrivano ad essere oscure e molto in alto addirittura nella politica. Bisarche di Alfa appena prodotte vengono incendiate da fantomatici contestatori. Bmc fallisce, Volkswagen invece che fallire chiama Giorgetto Giugiaro ed è subito storia. Questo momento in Italia è ben raccontato dall’avvizzire del design dal passaggio dalla mitica “500” alla successiva triste “126”: due piccole auto che rappresentano la decadenza dalla “vitalità” post-bellica allo “scontento imposto” degli anni ’70.

L’esempio rende alla perfezione anche il quadro sociale e industriale dove scompare la figura dell’artigiano dignitoso e povero, trasformata in operaio più dinamico ma scontento e rabbioso. Dal patron illuminato di industria – per tutti Adriano Olivetti – inizia a dilagare l’industriale avvezzo solo a “coltivare il proprio orticello”, come disse proprio uno di questi esempi negativi. Mentre il Ragazzo della via Gluck tornava a casa ci fu la panacea: la crisi petrolifera, imprevista causa di tutti i mali dell’automobile. Invece la crisi era di valori e Pininfarina entra in una burrasca di cui non vede ancora la fine. Deve individuare subito la fisionomia dei nuovi clienti e non è facile: Rolls Royce diventa il simbolo del “vecchio” o del “nuovo”, a seconda che sia della Regina Elisabetta o di John Lennon: Pininfarina realizza la più bella Rolls Royce coupé di sempre, riuscendo con la “Camargue”, altro colpo di matita di Martin, a dare per la prima volta modernità al marchio, mantenendo i canoni di timeless beauty di cui Pininfarina è maestra assoluta.

Aldo Brovarone disegna per il marchio la Lancia Gamma Coupé. Uno dei più bei coupé di sempre a nostro avviso, tra le più belle Lancia. Non ebbe successo, strozzata tra l’inaffidabilità del 2000 cc e le tasse del 2500, ma soprattutto dalla lungimiranza di Pininfarina sul caos dell’epoca: la Gamma Coupé ha una proporzione perfetta al giorno d’oggi.

Ferrari affida a Bertone un nuovo lavoro, disegnare la “Ferrarina” da proporre come nuovo marchio giovane “Dino”. Nasce la Dino 308 GT4, per sondare la possibilità di fare una Ferrari economica e 2+2. Sono i segni di volontà di innovazione ma anche della crisi economica che sta piegando alcune realtà artigianali italiane, cresciute ad un livello tale da sorpassare le realtà industriali nel know-how, ma prive di capitali sufficienti a poter produrre le loro stesse creazioni.

Di nuovo con vent’anni di anticipo…

Sempre Ferrari, produttore artigianale, deve rinunciare al progetto di una sua prima quattro porte, sebbene Pininfarina avesse curato al dettaglio la bella Pinin II, a matita dell’ingegner Fumia.

Tanto in alto si era arrivati: era pronto un prodotto fatto a mano degno di una produzione industriale. Che non c’era. A fronte delle berline a quattro porte tedesche, prodotti industriali di gran qualità e affidabilità, ci si dovette fermare. Il tecnologico vinse sul bello. Fu saggio così, in alternativa si sarebbe dovuto chiedere un appoggio esterno interessato a collaborare al nuovo prodotto di classe. Ma in Italia non c’era.

Oggi abbiamo la “Quattroporte”, la “Rapide”, e perfino la “Panamera”, goffa fuori e bella dentro. Allora invece l’industria chiuse o dovette chiudere di nuovo la porta all’ingegno del carrozziere torinese, che ci aveva visto giusto nel prodotto e nello stile, come suo solito. La consolazione tardiva e un po’ tiepida giunge vent’anni dopo a marchio Maserati, con la “Quattroporte”, ovviamente di Pininfarina.

La parola Quartz

Nell’avvicinarsi ad un prodotto su larga scala, se Luraghi aveva ben visto nei canoni dell’Alfasud l’antidoto per far sopravvivere l’Alfa al mutare dei tempi (intento devastato da una valletta di corruzioni e tristi storie), Pininfarina dimostra la sua eccellenza non solo del settore del lusso italiano ormai in crisi, ma affronta con maestria anche il segmento medio di mercato presentando l’Audi Quartz al principio degli anni ’80. L’auto contiene grandi innovazioni che Pininfarina sa affidare già ingegnerizzate alla grande industria. Quartz lascia entusiasti i visitatori del salone di Ginevra e Audi usa il progetto per rivoluzionare il corso del suo design che, da mesto e canonico diviene dinamico e vincente.Pininfarina riesce dunque a trasferire il suo know-how anche nell’ambito delle grandi produzioni di serie oltre che nelle piccole produzioni di lusso.

Negli anni Ottanta dilaga una sorta di quiete intellettuale priva di grandi innovazioni stilistiche, mentre a livello industriale assistiamo a grossi cambiamenti: se da un lato si affidano auto di serie modeste da far trasformare in cabrio a Pininfarina nella speranza di impreziosirle – bella e di successo la Peugeot 205 Cabrio – d’altro canto si iniziano a prediligere i centri stile sorti all’interno delle case produttrici.

L ‘idea ha due motivazioni principali: l’ingegnerizzazione e robotizzazione raggiunta dalla progettazione delle parti strutturali dell’auto rende queste pressoché immodificabili. Peccato? No, finalmente si inizia a sopravvivere agli incidenti stradali. In secondo luogo il “Centro Stile” interno è più razionale e costa meno: le esperienze americane lo avevano dimostrato già dagli anni ’30.

Verrebbe da dire che resta poco da fare alle firme del design, se non ricoprire mestamente telai ormai completi. Pininfarina, grazie alla sua abilità, dimostra il contrario e propone Alfa Romeo 164 su telaio Fiat T4 (Chroma, Thema e SAAB 9000) e prosegue con Alfa Spider e Gtv su telaio Fiat Tipo. Non fosse per la scarsa qualità costruttiva o dei modesti interni di Spider non disegnati da Pininfarina, queste auto oggi farebbero storia ed ebbero grande successo. Ma allora, se Pininfarina con le Alfa ha saputo dimostrare pienamente di saper raccogliere la sfida sempre, cosa succede oggi che non vediamo più la mitica “F” nemmeno ai piedi della ruota anteriore Ferrari? E’ il giusto riconoscimento a chi ha rinnovato la storia delle super-car con la stupenda 458 Italia, riportando la linea dell’auto sportiva da aggressiva a leggera, subito imitata da Lotus, McLaren ed altre? Anche qui andremo presto ad indagare. I motivi saranno più semplici di quello che sembrano.

Il giorno d’oggi

Filippini ci mostra delle concept ricche di tecnologia e padronanza del progetto, la saggezza di Pininfarina. Ci dimostra che Pininfarina non ha minimamente posato la matita ma anzi si occupa addirittura di architettura, navi, treni, aerei e oggettistica.

Progetto di Aecom e Pininfarina, vincitore del concorso per il nuovo aeroporto di Istanbul

La Berlina Aerodinamica oggi, con tanto di evidenti citazioni. Vorremmo accarezzarla. L’apertura delle portiere riprende esattamente lo schema di Martin, in cui si apriva invece tutta la carrozzeria.

BMW Gran Lusso Coupé

Accenna, ma avvertiamo che il terreno è delicato, a collaborazioni per fissare i canoni di nuove auto. Non riusciamo ancora ad intendere il “bazar” dello stile: ipotizziamo che le case costruttrici, forti dei loro “centri-stile” che mischiano personalità, idee e marchi gettandoli a random in un’unica anonima betoniera, in realtà chiedano layout di nuovi modelli alle firme come Pininfarina. Tassativo è che non compaia il nome del designer perché i brand, ormai sempre più virtuali, non siano offuscati da una firma troppo reale. Si aggiunga che il cliente compra ma produrre il bello si teme sempre che costi. Una filosofia inaccettabile che si basa sul ricatto dell’obbligatorietà di acquisto.

Meno male che BMW ha richiesto a Pininfarina la concept Gran Lusso Coupé, con tanto di “F” sul parafango: un’auto che finalmente per essere bellissima non deve “rompere col passato”, “essere rivoluzionaria” o altri slogan da pubblicità di quarta segata, dal ’55 in poi.

L’estetica ha un canone senza dubbio un d’altri tempi, senza lasciar grandi spazi alla creatività. La proporzione invece è da vera Gran Turismo e finalmente pone lontana da ambiti troppo trasversali una BMW coupé di grosse dimensioni. Dalla 635 in poi infatti serie 6 e 8 non si rilevarono mai nè troppo eleganti né corsaiole, ed invecchiarono subito.

Pininfarina, risposta esatta dunque.

Gli interni hanno particolarità uniche, come i rivestimenti in legno ottenuto dal riuso delle “Bricole” della Laguna di Venezia e gli inserti sono di un legno rinvenuto in Nuova Zelanda immerso nel fango, piuttosto stagionato, di 24.000 anni fa. Dettagli che non riguardano certo il design ma che denotano padronanza notevole nell’offrire finiture d’eccellenza.

L’uomo di Pininfarina

Saper scegliere il direttore stile appropriato è da sempre la scommessa che Pininfarina come altri deve vincere e peculiarità di questa carrozzeria è sempre stata l’interazione esistita tra i vertici e i creativi. Renzo Carli come abbiamo detto metteva direttamente mano ai disegni con grande competenza ed entusiasmo. I suoi designer come Aldo Brovarone, Paolo Martin, Leonardo Fioravanti, ed altri non sono solo “matite” ma autentiche ere della Pininfarina. La Modulo di Martin riuscì a rispondere in modo strabiliante alle provocazioni coeve del design mentre Lamborghini incantava il mondo con la sua Miura, ponendo Ferrari sulla cresta dell’onda. Non è per nulla chiaro quante siano le creature di Fioravanti, dati i suoi numerosi progetti. Tom Tjaarda con la sua eleganza e la sua maestria diede internazionalità, unica e vincente all’anima di Pininfarina. Le innovative Pinin, Quartz, 164, Spider e Gtv sono tutte creazioni dell’Ing. Fumia: la scelta del responsabile stile dunque è da sempre fondamentale strategia di successo per Pininfarina.

Tempi difficili

Se i centri stile delle case costruttrici minano la crescita di Pininfarina e ne sviliscono il lavoro, negli anni ’90 un’altra rivoluzione imposta dall’alto oscuro fa tremare la solidità dell’assetto della carrozzeria italiana: il direttore stile viene sostituito di fatto da una figura che, sebbene fregiata dello stesso titolo, è di fatto una sorta di responsabile che sta’ tra il direttore marketing ed il manager. Questo si traduce nella sostituzione dei creativi con dei manager atti a sviluppare “il prodotto sicuro”, più vicino all’economia che allo stile perché sul mercato non si può sbagliare. Il fatto è dovuto al costo ormai esorbitante rappresentato dal progettare un nuovo modello: se una volta si poteva contare sull’instancabilità di disegnatori, modellisti, battilastra e altre incredibili professioni, oggi le omologazioni e le performance raggiunte dalle auto impongono progetti estremamente complessi e costosi. Non bastano i creativi a garantire per la riuscita di una novità. Vocine antipatiche malignano poi che certe poltrone diventino particolarmente comode e molta politica va a sostituire lo sporco dei modellisti e dei disegni negli uffici. Ci si chiede come mai infatti abbiano visto la luce insuccessi preannunciati del calibro di Lancia Thesis e K coupè, Thema II, Renault Vel Satis, Citroen C6, Mercedes R, curiose versioni della Mini ed altri clamorosi flop commerciali recentissimi.

Nasce dunque il designer senza matita. Un paradosso che mina alla base il tipo di prodotto stesso che il mercato anziché richiedere subisce. Si viene invasi da disegni basati sul “colpo d’occhio stupefacente” che riesca a scioccare e a non annoiare almeno fino alla fine del leasing. Per chiarirci paragoneremo Lancia Delta Integrale e Lancia delta II HF, su pianale Fiat Tipo o il ritorno delle cromature appiccicate a caso per nobilitare l’anonimia di svariate auto con del brillante non-sense. Se la Jaguar Xf di qualche anno fa non avesse avuto la grossolana cromatura che univa i fari posteriori, da dietro non si sarebbe capito che si trattava di un prodotto del giaguaro.

Questa crisi di valori del mondo dell’automobile sbaraglia tutte le carrozzerie italiane. Solo Giugaro riesce a traghettare i dipendenti del suo gioiello Italdesign nelle mani di Piech, prima che questo venisse a sua volta sostituito da figure che ora avviciniamo cronologicamente al diesel-gate.

Ma troveremo un po’ di soddisfazione?

L’automobile è migliorata e continua a farlo, resta accesa quando piove, di notte abbiamo magnifici fanali, è silenziosa e molto più sicura. Soffre però terribilmente di anonimia e questa sera ci stiamo chiedendo se lo stile trova ancora un posto tra le maglie del mercato che va di moda oggi: purtroppo è solo la bellezza che riesce a sollevare da terra i sensi dell’uomo, non la tecnologia e Pininfarina è qui a rassicurarci del fatto che le idee creative sono più forti delle mode.

Ma chi gestisce le mode è spesso più scaltro delle idee e nel mentre si issa la bandiera indiana in quel di Cambiano, come già avvenuto a Coventry.

Autonoma o no?

A fine serata si apre un po’ di dibattito che va in una direzione a nostro avviso fuori tema. Mentre la matita più famosa del car design mondiale ci intrattiene in salotto, dal pubblico parte una diatriba sulla guida automatica: l’accesa discussione si impernia su quale sarà il sistema di domani, automatico o no e quale sia il migliore. Ma non si parlava di stile? Cosa c’entra la tecnica? Altro fatto spiacevole: si allude alle ipotetiche auto pubbliche urbane teleguidate come se necessariamente dovranno essere scatole-vettori prive di stile. La comparsa di una delle prime Google-car simile ad una brutta Isetta ha sdoganato l’accettazione che l’auto pubblica a guida remota non debba essere aggraziata ma una “scatola” per muovere soggetti fiscali da-ad.

Come si fa ad accettare una simile carenza di autostima nel paese della 500? Non era forse piccola, essenziale e povera? Era forse brutta? La prima smart, nonostante l’errata campagna pubblicitaria la rese antipatica a moltissime persone, aveva un grande stile. Nessuno dei presenti sembra rifiutare l’idea delle “scatolette urbane” sebbene tutti siamo qui per parlare di stile. Cosa ci sta’accadendo? Che sia diventato il cliente stesso il primo nemico del design?

No, tornano in mente le parole di Tjaarda: l’auto è un prodotto industriale che deve funzionare al meglio, proporzionato nel miglior modo possibile. Chi ha queste prerogative alzi la mano, sappiamo che ci sono.

Segnali di fumo

La serata è stata fondamentale: ci ha detto che Pininfarina esiste ancora e prosegue il suo percorso. E’ un comunicato ufficiale, espresso in forma inedita e volto a chiudere comunque con un certo passato. Ciononostante i nostri toni non sono i più allegri a causa dell’acquisizione straniera, è evidente.

Nulla contro i salvatori, ma tutto contro i motivi che hanno reso necessario il salvataggio, ci fanno tristezza. Ma Filippini ci convince e ci sentiamo di voler credere ad un nuovo corso positivo di Pininfarina. Qualcuno ce l’ha fatta, i Giugiaro sono tornati a Torino, Franco Maria Ricci è tornato padrone della sua creatura, come lo stesso fu per Barilla tempo addietro. Auguriamo lo stesso anche a Pininfarina e poniamo le nostre speranze nelle mani dei suoi creativi che hanno sempre saputo più dei manager trovare l’idea giusta che trasformasse il loro disegno in un grande successo, capace di far sopravvivere e progredire questo mito dello stile.

Tai Sammartini

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