di DocManhattan
The Last Guardianè il gioco che non doveva esistere, quello perduto lungo il tortuosissimo sentiero di nove anni di sviluppo costellati da mille problemi, durante i quali è sembrato più volte che la nuova creatura di Fumito Ueda, il seguito spirituale dei bellissimi Ico e Shadow of the Colossus, usciti due console Sony fa (PS2), fosse destinato a non vedere mai la luce. A svanire nel vaporware, fra tanti sogni digitali infranti. E invece, una vita digitale e mezzo dopo, eccolo qua, su PS4. Si stenta quasi a crederci, ma The Last Guardian esiste, c’è. Ok, ma è bello come si sperava?
Il trailer di lancio di The Last Guardian, mostrato al PlayStation Experience nel week-end.
C’è questo ragazzino, con le braccia coperte da strani tatuaggi, che si risveglia in una sorta di prigione. Accanto a lui c’è “la bestia”, come viene chiamata nel gioco: Trico, un animale fantastico a metà tra il gatto gigante e un uccello. Trico è in catene, con delle lance spezzate che gli lacerano la carne e gli rendono comprensibilmente pessimo l’umore. Il fatto che si tratti di una “bestia mangiauomini” non aiuta il ragazzino senza nome a vincere la timidezza, diremo. Problema: il ragazzino ha bisogno di Trico per uscire da lì. E viceversa. Se hai giocato Ico ai tempi, o più di recente alla sua versione HD, l’inizio di The Last Guardian regala una sensazione estremamente familiare. Una serie di ambienti in cui devi trovare non solo una via d’uscita per te, ma anche come far venir via da lì il gattone gigante che ti segue. E qui sta tutto il bello di The Last Guardian e, allo stesso tempo, l’origine dei suoi problemi.
The Last Guardian, come un film natalizio degli anni 80, è tutto incentrato sul rapporto che si sviluppa tra il giovane protagonista e Trico. Sulla fiducia reciproca che pian piano cresce tra i due, sul fatto che il gattone alato ti porterà via da luoghi da cui non riusciresti a uscire e ti salverà da minacce che non sei in grado di affrontare, in cambio di qualche barile di cibo trovato in giro, di un grattino (no, davvero!) e dell’occasionale spulciata da altre lance piantate nei fianchi. Il fatto, però, è che Trico si comporta DAVVERO come un gatto, nel senso che in molti casi se ne frega di quello che cerchi di fargli fare, non importa quanto ti sgoli o ti sbracci per farglielo fare.
Nonostante i comandi giusti per ciascuna azione vengano mostrati continuamente a schermo, non è mai chiarissimo a cosa servano alcuni di essi. Il risultato è che ti troverai a perdere un sacco di tempo per far capire al cucciolodigattogrifone che deve piazzarsi in un certo punto per farti da scala, per poter utilizzare la sua coda come una fune, per saltare un baratro o altro. E fin qui, magari, è tutto voluto. È il coprotagonista indipendente, che ama anche fare di testa sua, di cui Fumito Ueda parlava nei mesi scorsi. Poi però ci sono le altre volte, quelle in cui le cose non vanno come devono, in cui i comportamenti di Trico sembrano semplicemente pensati per farti perdere tempo e innervosirti, o frutto di una calibrazione delle situazioni non perfetta, per così dire. Quando non è la tecnica a mettersici di mezzo.
Il ragazzo, infatti, si muove come ti aspetteresti faccia un suo coetaneo in quella pericolosissima situazione, cioè male. Inciampa, ruzzola, si aggrappa alle penne di Trico e si gira dal lato sbagliato quando prova a raggiungerne la testa, e così via. Mettiamoci i piuttosto frequenti incartamenti della telecamera, poco dinamica negli spazi stretti (eufemismone), e alcuni rallentamenti del frame rate, e The Last Guardian rischia di far materializzare in un attimo i peggiori timori della vigilia: quelli che lo vedevano come un titolo fuori tempo massimo, un gioco per PS3 di molti anni fa, con tutti i problemi connessi nel tirarlo fuori oggi. Un attesissimo, dorato fondo del barile videoludico. Eppure, in fondo a questa recensione, trovi un 8. Perché? Perché pur con tutti i suoi difetti, The Last Guardian ha quello che a molti titoli di oggi manca: la magia.
Saranno le musiche struggenti, sarà quel clima tipico dei giochi di Ueda, molto affine per vari aspetti a quello dei film dello Studio Ghibli di Miyazaki. Quel tono da fiaba senza tempo, raccontata senza il bisogno di parole. Il level design di The Last Guardian è un altro dei suoi grandi pregi: la struttura, la gigantesca torre dai ponti infiniti esplorata dall’assortito duo, è un tutto unico di grande bellezza, che regala degli scorci e delle scene in cui – lì sì – capisci che senza una PS4 sotto al cofano certe cose sarebbero rimaste solo sulla carta. E che certe sensazioni riesce a regalartele solo un gioco imperfetto rimasto nel limbo per una vita digitale e mezzo.
Voto: 8/10
Tener fede alle aspettative stratosferiche, maturate in tutti questi anni di attesa, era praticamente impossibile. The Last Guardian non è un gioco perfetto, e alcuni incaponimenti del suo bestiale coprotagonista (voluti e meno voluti) metteranno a dura prova i tuoi nervi, ma è anche un gioco di una poesia incredibile, capace di spedirti con tutte le scarpe in un mondo fantasy dove, in mezzo alla violenza e alla malvagità degli uomini, la parola viene lasciata alle emozioni. E un ragazzino può prendersi come animaletto domestico un mostro gigante mangiauomini, senza che nessuno a casa abbia da ridire.
The Last Guardian (esclusiva PS4) uscirà qui in Europa dopodomani, il 7 dicembre. Nessun cucciolodigattogrifone è stato maltrattato durante il test.