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Il referendum dei mercati: pressione sulle banche, ma Draghi può chiudere lo spread

Dic 3, 2016

MILANO – Una occasione di dare maggiore stabilità che si è trasformata in una pagella diretta sul premier Matteo Renzi, con effetti destabilizzanti. E’ questo, a scorrere i report delle principali banche d’affari e case d’investimento, il giudizio percepito nelle trading room e nelle stanze degli analisti italiani ed esteri. Quanto alle previsioni, la sensazione più quotata – in base ai sondaggi dei giorni scorsi – è che possa verificarsi vittoria del “no” che non conduce ad elezioni anticipate, bensì a un nuovo governo di natura tecnica, con la possibilità di vedere lo stesso Renzi in sella.

In un esercizio che ormai sembra ripetersi uguale a se stesso, gli esperti dei mercati riciclano le categorie già utilizzate per la Brexit sulla situazione italiana, a dimostrazione di quanto i due referendum siano affiancati come “momenti chiave” dell’anno (insieme all’elezione di Trump): sono diventati “termometri dell’avanzata dei populismi”, di cui tutti gli investitori si dicono impauriti. Ecco allora che a spaventare maggiormente è un “hard No” (copyright del Credit Suisse), un “no” alla riforma duro come “hard” – e quindi più traumatica per i mercati – rischia di essere l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.



La rassegna delle opinioni degli osservatori parte da un assunto: la permanenza nell’euro dell’Italia – sulla quale ancora ogni tanto s’interrogano – non è in discussione. In secondo luogo, la complessità dello scenario è tale da confondere le acque: le elezioni anticipate sarebbero un punto di caduta per un “no” fragoroso, ma potrebbero anche diventare la tentazione di un premier Renzi rafforzato da un “sì” inatteso. Il M5S sarebbe il vincitore se arrivasse uno schiaffo alla riforma dagli italiani, ma mantenendo lo status quo potrebbe in realtà giocarsi la carta di una legge elettorale favorevole, rimandando il “colpo grosso” al 2018 in un eventuale ballottaggio con il Pd. Insomma, da diverse caselle di partenza il gioco dell’oca dei previsori porta talvolta a identiche caselle d’arrivo, per strade diverse.

Guardando al solo mercato, a cominciare da Goldman Sachs per passare da Citi, le banche fanno più paura dello spread. E sulla performance economica del Paese, aggiunge Ubs, non si attendono scossoni immediati: determinante sarà piuttosto la composizione del nuovo governo e la capacità di portare avanti le riforme, che danno i loro frutti solo nel lungo periodo.

Banche sotto pressione. Il calendario beffardo ha accoppiato la consultazione con il pieno svolgimento della ricapitalizzazione del Monte dei Paschi, cui dovrà far seguito quella di Unicredit e la sistemazione delle Popolari venete. Per Citi un governo indebolito è la maggior preoccupazione, perché non potrebbe prevenire un calo della fiducia verso il sistema del credito, per quanto il ministro Pier Carlo Padoan si consumi nel ripetere che non ci sono debolezze di sistema. Da Intermonte Advisory ribaltano la prospettiva di osservazione, e anzi ritengono che qualora gli aumenti di capitale andassero tranquillamente in porto sarebbero un catalizzatore per far migliorare il modo in cui gli investitori guardano le nostre banche, “i cui fondamentali in realtà sono leggermente migliorati grazie al rialzo dei tassi”. D’altra parte, annota Ubs, il valore relativo che il mercato dà all’Italia Spa è già vicino ai livelli delle crisi del 2009 e del 2012 e allora un esito favorevole dal referendum potrebbe innescare un recupero azionario.

Diverso il discoso sui titoli di Stato. Philippe Waechter di Natixis ricorda che l’ampliarsi dello spread con la Spagna (di circa 50 punti base negli ultimi tempi) “evidenzia il premio al rischio che gli investitori associano” al voto. Un premio che rischia di esser troppo alto in assenza di crisi post-urne, ma troppo basso se la crisi effettivamente si verificasse. “In ogni caso, la Bce dovrà impegnarsi fortemente per stabilizzare i mercati”. Che i muscoli di Mario Draghi siano sufficientemente strutturati per reggere l’urto è una condizione diffusa; la Bce potrà prolungare il Qe – come si aspetta il mercato – già nella riunione del prossimo giovedì. Wisdom Tree vede una reazione composita da Ue e Banca centrale a una possibile tempesta politica in Italia. Proprio per preservare la stabilità, “l’Ue darà probabilmente il via libera alla legge di bilancio di Renzi e a ulteriori misure di stimolo fiscale introdotte da chiunque presieda il prossimo governo”. Da non escludere anche un allentamento dei vincoli del bail-in. “I Btp scontano già una vittoria del ‘no’ e, a prescindere dall’esito del voto, beneficeranno a nostro avviso dell’ulteriore sostegno della Bce”, aggiungono in linea da Fidelity International.

Tutto tranquillo, dunque? Un po’ di tensione è lecito aspettarsela e Darren Williams di AB-AllianceBernstein dà i numeri precisi: “In caso di vittoria del ‘sì’, prevediamo un restringimento dello spread Italia-Spagna a 15-25 punti base. Se vincesse il ‘no’ lo spread potrebbe allargarsi inizialmente (probabilmente a 75 punti base) e tornare nel range compreso tra 35 e 50 punti base se le elezioni anticipate saranno evitate. Nel caso meno probabile di elezioni anticipate per la vittoria del ‘no’, lo spread potrebbe allargarsi in modo significativo (vale a dire 100 punti base o più), sebbene in questo scenario ci attenderemmo anche un indebolimento nel resto dei paesi della periferia”. E’ la paura che la febbre si trasformi in contagio, che questa Europa ancora convalescente non può permettersi di affrontare.

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