Questo è il primo di una serie di contenuti relativi a problemi e soluzioni per la colonizzazione di Marte. Esploreremo argomenti quali il viaggio, le abitazioni, le fonti di sostentamento, la produzione di materiali in loco e molto altro.
Quando si parla della colonizzazione di Marte l’argomento del dibattito riguarda quasi sempre i mezzi per il viaggio, le abitazioni e il reperimento dei generi di prima necessità. Questo perché siamo abituati a ragionare in funzione delle nostre esigenze “da terrestri”. Nel caso di un viaggio nello Spazio tuttavia c’è un problema che sovrasta gli altri: le radiazioni. Interessano sia la fase di viaggio, sia quella locale una volta atterrati, e bisogna tenerne conto nella costruzione di qualsiasi manufatto destinato a Marte, dalle astronavi alle tute spaziali, passando per le abitazioni, i mezzi di trasporto di terra e via dicendo. Ecco perché con questa serie di articoli partiamo proprio da qui.
Il problema delle radiazioni
Marte non ha una magnetosfera protettiva come quella della Terra. Gli scienziati ritengono che un tempo il Pianeta Rosso avesse un campo magnetico, ma che circa 4,2 miliardi di anni fa sia cessato – forse a causa di un impatto con un enorme oggetto, forse per via del raffreddamento rapido nel suo nucleo.
Sta di fatto che l’atmosfera di Marte è stata lentamente spazzata via dal vento solare, e ora la superficie di Marte è esposta a livelli molto più elevati di radiazione rispetto alla Terra. La mancanza di un campo magnetico ha due effetti nefasti: il primo è che non attenua l’esposizione del pianeta ai raggi cosmici e al vento solare, l’altro è che riceve occasionali ondate di intense radiazioni scatenate dalle forti eruzioni solari.
Ma prima ancora di arrivare su Marte gli astronauti dovranno affrontare il problema delle radiazioni durante il viaggio. Infatti se gli astronauti sulla ISS sono protetti dal campo magnetico terrestre, quelli che saliranno a bordo della navicella spaziale diretta su Marte non lo saranno.
Gli studi sul campo: Curiosity
La NASA sta studiando da tempo questo aspetto, e anche se non c’è ancora una soluzione non manca una certezza: l’ambiente in cui alloggerà l’equipaggio durante il viaggio dovrà essere adeguatamente schermato. Uno dei tanti allarmi è arrivato dall’analisi dei dati registrati dal rilevatore di radiazioni (Radiation Assessment Detector, RAD) installato sul rover Curiosity, che durante il suo viaggio interplanetario (otto mesi di viaggio verso Marte e 300 giorni di permanenza sul Pianeta): il livello delle radiazioni che ha registrato è superiore ai limiti accettabili per la vita.
Le particelle dannose che sono penetrate nel vano cargo in particolare sono state due: una, nota come Solar Energetic Particle (SEP), che viene rilasciata durante potenti eruzioni solari. Per proteggersi secondo Zeitlin potrebbe essere sufficiente costruire veicoli spaziali con una schermatura in alluminio e predisporre all’interno speciali “rifugi” in cui gli astronauti possano rinchiudersi quando ne viene rilevata la presenza.
Il vero problema riguarda l’altro tipo di particella rilevata da Curiosity: i raggi cosmici galattici (GCR), che riescono a penetrare anche il più duro dei metalli. Possono rompersi in schegge atomiche così piccole da passare attraverso molti tipi di schermatura, e possono produrre una dose dannosa di radiazioni. Secondo Mark Looper, ricercatore all’Aerospace Corporation che ha studiato a fondo le radiazioni spaziali, gli atomi di idrogeno o il polietilene potrebbero essere difese efficaci. Il punto è che si tratta di soluzioni difficili da applicare e altamente costose, anche se alla fine potrebbero essere l’unica via d’uscita.
Per quanto riguarda Curiosity, stando ai dati di RAD è stato esposto a una media di 1,8 milliSievert di GCR al giorno durante il suo viaggio verso Marte. L’esposizione alle radiazioni è misurata in unità di Sievert (Sv) o milliSievert (un millesimo Sv). Solo il 5 percento della dose di radiazioni è stata associata alle particelle solari – per via di un ciclo solare relativamente tranquillo durante il viaggio e della schermatura fornita dalla sonda. “In termini di dose accumulata, è come fare una TAC total body una volta ogni cinque o sei giorni” ha spiegato Cary Zeitlin. Però è da tenere in conto che le radiazioni su Marte sono dinamiche, quindi le misurazioni di Curiosity non sono da leggersi in modo definitivo.
Studi a lungo termine hanno dimostrato che l’esposizione alle radiazioni aumenta il rischio di contrarre il cancro nel corso della vita di una persona. In particolare, l’esposizione ad una dose di 1 Sv, accumulata nel corso del tempo, è associata a un aumento del 5 per cento del rischio di sviluppare forme di cancro fatali.
Se al posto del rover fossero stati a bordo degli astronauti avrebbero un aumentato rischio a lungo termine di contrarre il cancro, oltre a effetti collaterali a breve termine non trascurabili, come “un maggiore rischio di malattie cardiovascolari, l’induzione di cataratta e la possibilità di danni al sistema nervoso centrale” aveva spiegato Cary Zeitlin, uno degli scienziati del Southwest Research Institute che si è occupato dello studio sui dati di Curiosity.
Si è inoltre calcolato che gli astronauti durante l’esplorazione sulla superficie di Marte accumulerebbero circa 0,64 millisievert di radiazioni al giorno. La dose durante il viaggio verso Marte sarebbe invece di quasi tre volte superiore: 1,84 millisievert al giorno. Per dare un riferimento, l’Agenzia Spaziale Europea in genere limita la quantità complessiva di radiazioni a cui un astronauta può essere sottoposto in tutta la sua a carriera a 1 Sievert, valore che si stima comporti un aumento del 5 percento del rischio di contrarre un cancro.
Nonostante questi numeri Don Hassler del Southwest Research Institute, che si occupa del RAD e che ha firmato uno studio pubblicato a maggio 2013 su Science, sostiene che questi valori possano essere gestibili. In che modo non è ancora chiaro, dato che per esempio gli standard NASA attuali tollerano un rischio massimo di contrarre il cancro da parte degli astronauti del 3 percento.
Tuttavia questo ostacolo non pone la parola fine alle possibilità di avventurarsi fino a Marte: la NASA sta lavorando con l’Istituto delle Accademie Nazionali di Medicina per valutare i limiti adeguati per una missione nello spazio profondo, come un viaggio su Marte, e sono allo studio materiali e soluzioni adeguati per le schermature.
Altri studi: Mars Odissey
La sonda 2001 Mars Odyssey della NASA è stata equipaggiata con lo strumento Mars Radiation Environment Experiment (MARIE), progettato per lo studio della radiazione ambientale attorno a Marte. Dato che Marte ha un’atmosfera molto sottile, si calcola che le radiazioni rilevate da Mars Odyssey possano essere approssimativamente simili a quelle sulla superficie.
In 18 mesi di rilevamenti Mars Odyssey ha rilevato livelli di radiazione 2,5 volte superiori a quelle a cui sono stati sottoposti gli astronauti sulla ISS – 22 milliRAD al giorno, 8000 milliRAD (8 RAD) all’anno. Il RAD (Radiation Absorbed Dose) è un’unità di misura della dose assorbita di radiazioni. La navicella spaziale ha anche rilevato 2 eventi solari che hanno alzato i livelli di radioni a circa 2.000 milliRAD in un giorno, e altri due che hanno portato il livello a circa 100 milliRAD.
Per confronto, gli individui che vivono nelle nazioni più sviluppate sono mediamente esposti a 0.62 RAD di radiazioni all’anno. Studi hanno dimostrato che il corpo umano può sopportare una dose fino a 200 RAD senza danni permanenti, segue che l’esposizione prolungata ai livelli rilevati su Marte potrebbe portare a problemi di salute quali un aumento del rischio di cancro, danni genetici, e persino la morte.
È per questo motivo che la NASA e le altre agenzie spaziali finora hanno rispettato la rigorosa politica ALARA (As-Low-As-Reasonable-Achievable) nel corso della pianificazione delle missioni.
Possibili soluzioni
A questo punto è chiaro che l’esplorazione umana di Marte dovrà fare i conti con i livelli di radiazione sia in viaggio sia sulla superficie, e che qualsiasi tentativo di colonizzare il Pianeta Rosso dovrà essere subordinato all’implementazione di soluzioni atte a garantire che l’esposizione alle radiazioni sia ridotta al minimo. Finora sono state proposte diverse soluzioni sia a breve termine sia lungo termine.
Per esempio la NASA ha spedito nello Spazio più satelliti che studiano il Sole, l’ambiente spaziale in tutto il Sistema Solare, e dotati di strumenti per il monitoraggio dei raggi cosmici galattici (GCR). La speranza è quella di raccogliere informazioni sufficienti per capire meglio la radiazione solare e quella cosmica.
Inoltre sono allo studio soluzioni per sviluppare una migliore schermatura sia per gli astronauti sia per gli strumenti elettronici.
Nel 2014 la NASA ha lanciato il concorso Reducing Galactic Cosmic Rays Challenge, che ha assegnato 12.000 dollari di premi alle idee per ridurre l’esposizione degli astronauti ai raggi cosmici galattici. A luglio dello stesso anno ha assegnato un ulteriore premio alle idee che prevedevano una protezione attiva e passiva.
Per i soggiorni a lunga durata ci sono già state diverse idee in passato. Per esempio quella di Robert Zubrin e David Baker, che nel 1990 proposero il progetto Mars Direct in cui gli habitat erano costruiti direttamente nel terreno per sfruttare una naturale schermatura dalle radiazioni. Se non avete problemi con l’inglese potrebbe interessarvi il fatto che Zubrin ha ampliato la sua idea nel libro The Case for Mars: The Plan to Settle the Red Planet and Why We Must. Nel corso del tempo non sono mancate nemmeno idee per costruire habitat fuori terra con moduli gonfiabili racchiusi in materiali ricavati dal suolo marziano. Ma di questo argomento parleremo diffusamente in una delle prossime puntate.
Passando oltre, sono arrivate idee anche da parte di Mars One, l’organizzazione non-profit che si è posta l’obiettivo di colonizzare Marte nei prossimi decenni. Per affrontare il problema della radiazione ha proposto di prevedere, oltre alle schermature per i veicoli spaziali e le abitazioni, anche rifugi antiradiazioni in cui far riparare i coloni nel caso di un brillamento solare. Consisterebbe banalmente in un serbatoio di acqua con uno spazio vuoto all’interno.
Forse la proposta più radicale per ridurre l’esposizione alle radiazioni nocive su Marte è quella volta a riattivare il nucleo del pianeta per ripristinare la sua magnetosfera. Un’operazione che renderebbe necessario liquefare il nucleo esterno del pianeta e sfruttare il conseguente effetto di convenzione e la rotazione planetaria per creare un effetto dinamo e originare così un campo magnetico.
Secondo Sam Factor, laureato al Dipartimento di Astronomia dell’Università del Texas, ci sarebbero due modi per ottenere questo risultato. Il primo sarebbe quello di far esplodere una serie di testate termonucleari vicino nucleo del pianeta; il secondo richiederebbe il rilascio di una potente scarica elettrica attraverso il pianeta.
A questa idea si aggiunge uno studio del 2008 condotto dai ricercatori del National Institute for Fusion Science (NIFS) giapponese, che affrontava la possibilità di creare un campo magnetico artificiale intorno alla Terra. Dopo aver considerato misurazioni continue che indicavano un calo del 10% di intensità negli ultimi 150 anni, hanno sostenuto che usando una serie di anelli superconduttori attorno al pianeta avrebbero potuto compensare le perdite future. Con alcune modifiche questo sistema potrebbe essere adattato per Marte, creando un campo magnetico artificiale che possa contribuire a proteggere la superficie da alcune delle radiazioni nocive che riceve regolarmente.
Ovviamente tutte quelle esposte sono solo supposizioni e ipotesi la cui fattibilità ed efficacia è tutta da dimostrare al di là della teoria. Prima di poter scrivere l’ultima parola su questi argomenti serviranno anni, e probabilmente ci saranno molte atre scoperte e teorie che sbocceranno nel frattempo. Speriamo solo che qualsiasi sia la soluzione che si deciderà di adottare, sarà efficace per la tutela degli astronauti.