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Io sono leggenda, recensione: le origini de La notte dei morti viventi

Apr 11, 2020

Will Smith è l’ultimo uomo rimasto al mondo (o quasi), uno degli ultimi fortini del genere umano rimasto inespugnato e lontano dal virus che ha dilaniato l’esistenza umana, ancora in grado di calpestare il suolo di un pianeta ormai in silenzio. Siamo nel 2012, anno del plot de Io sono Leggenda, ma dobbiamo tornare indietro nei nostri ricordi a Occhi bianchi sul pianeta Terra, film di Boris Sagal, per avere un vero e proprio recupero di quanto è stato scritto nel 1954, anno in cui ha visto i natali la versione originale dell’omonimo romanzo di Richard Matheson.

Un classico che fatica a rimanere lontano dagli scaffali di lettori avidi di storie horror e fantascientifiche, nonché degli amanti del buon cinema che ha fatto la storia. Forse non tutti sapranno che dagli scritti di oltre sessant’anni or sono hanno preso vita i copioni e le sceneggiature di film come La notte dei morti viventi o appunto il lungometraggio omonimo con protagonista Will Smith, ma come spesso accade, le pagine di un libro si discostano da quello che viene dato in pasto alle pellicole. E c’è sempre un motivo, più o meno valido.

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Ognuno sta solo sul cuor della terra

In un mondo abitato da un solo uomo ci deve essere parecchio silenzio. Insomma, potremmo fare quello che ci garba, sentirci padroni di ogni cosa e re di ogni luogo. Qualche presagio piuttosto prevedibile ci suggerisce che la realtà per Robert Neville sia un tantino diversa, più difficile da sopportare e con fardelli nell’animo di una pesantezza che solo chi soffre di solitudine e non lo tollera, ne conosce la cifra e l’insostenibilità. Perché la condizione di Robert è quella tipica di chi si sente un pesce fuor d’acqua, o meglio una preda in un mare di squali. Non di pesci, ma di creature fantastiche e orrorifiche parla Io sono leggenda, dove un morbo ha fatto a brandelli l’anima umana e li ha trasformati in vampiri. Non quelli belli e sensuali di The Vampire Diaries o Lucifer, non quelli bianco latte della Twilight Saga, nemmeno quelli dannati e dal fascino transilvanico di Dracula Untold.

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Siamo più vicini all’immaginario di The Walking Dead, dove i padroni di casa sono esseri che di umano hanno solo l’involucro esteriore, un corpo diventato diffusore altoparlante di lamenti inarticolati e programmato per uccidere, senza logica o capacità di discernere e di raziocinio. Così, l’ultimo umano al mondo trascorre la notte nel tentativo di perdersi nel proprio rumore interiore, per allontanarsi dal fracasso esterno di coloro che lo desiderano, e di giorno pianta paletti di legno nel cuore dei vampiri che riesce ad avvicinare, per poi bruciarli al rogo come nel Medioevo si purificavano le città dal demonio.

Country roads, take me home

E’ proprio questa lontana epoca che viene citata in un passaggio del testo:

In una certa epoca, le tenebre del Medioevo per intenderci, il potere del vampiro era enorme, e incredibile era il terrore che suscitava. Era anatema e tale resta ancora oggi. […] Ma le sue esigenze sono forse più sconvolgenti di ciò che esigono altri animali e uomini?

Questo resta uno dei passaggi più riflessivi del testo, dove si strappa quel “cielo di carta” sopra il teatro inscenato dal burattinaio che porta il nome di pregiudizio e si risale all’origine oggettiva e quasi asettica del personaggio del vampiro. Il testo non è privo di passaggi come questi, le riflessioni dell’uomo sono uno dei punti cardine della narrazione, non solo per conoscere meglio il nostro compagno di viaggio e i retroscena della storia, ma anche un caldo invito rivolto al lettore per riflettere in maniera lucida, con l’astrazione lucida di chi è a un passo dal delirio.

Onestamente, dico, guarda nel profondo della tua anima e dimmi: il vampiro è poi così cattivo?

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Difficile dirlo per chi ha avuto la propria moglie di fronte agli occhi, risorta come vampiro, e doverla uccidere con le proprie mani. Virginia, il suo nome, è un costante refrain nei suoi pensieri, alternato a Kathy, la figliola, accentuando ancora di più il lato disperatamente umano di Robert in un regno di morte.

Tutto questo è dettata da una narrazione che ha a tratti un ritmo lento, è didascalica, attenta e minuziosa, per poi riprendersi e con frasi secche e brevi riprende le briglie saldamente e ritorna a scandire in maniera più veloce la descrizione di un tempo che sembra infinito, di un cerchio che non si spezza. Sappiamo però che tutto ha una fine, e ogni dolore insostenibile non può che trovare cura e sollievo in una dimensione al di là di questa terra.

Non perdiamo nemmeno un battito del cuore di Robert, ma sarà lui a perderne parecchi, come la pazienza e il senno di fronte a una massa informe di esseri che ci fanno pena e tristezza, a volte ribrezzo, come i peccatori nei gironi dell’Inferno dantesco, anche se qui siamo forse di fronte più a un limbo.

Dal libro a fumetti e cartoni

Matheson ha dalla sua un lessico incredibilmente ricco e arricchente, dipinge le scene dinanzi ai nostri occhi e le fa vivere in maniera quasi esageratamente reale, tanto da dare in pasto le proprie parole a riprese successive, non solo cinematografiche.

Parliamo di una riemersione di questo racconto da parte di due capisaldi della Cultura Pop moderna e contemporanea, a partire dalla famiglia gialla più famosa dei cartoons americani, I Simpson. Un episodio speciale del periodo di Halloween, “L’uomo Homega” racconta che il sindaco di Springfield insulta il popolo francese, che indignato scaglia la cosiddetta Bomba N sulla cittadina americana, senza distruggere alcun edificio, ma uccidendo tutti, salvo Homer e la sua famiglia, gli unici sopravvissuti in una città di zombie.

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Dai cartoons ai comics, nemmeno l’investigatore dell’incubo bonelliano è riuscito a non cedere alla tentazione del “lato oscuro”: il primo albo di fumetti dedicati a Dylan Dog si intitola proprio L’alba dei Morti Viventi, così come il numero 77 , L’ultimo uomo sulla Terra, parla di come sia sopravvissuto a un “super raffreddore” che ha sterminato l’intera popolazione. Torna anche l’idea del ciclo nella “zona del crepuscolo”, dove ogni giorno è sempre uguale e la monotonia senza fine ci riporta anche ai gironi infernali. Un’opera dunque, quella di Matheson consigliata non solo a chi ama il genere horror, ma anche agli affamati di un lessico ricco, superbo e fine, in grado di risvegliare i nostri sensi in maniera sottile ma decisa. Leggerlo a distanza di oltre sessant’anni dalla primissima edizione vale ancora la pena, assolutamente: come abbiamo ricordato con molteplici riferimenti e citazioni, i vampiri sono una presenza costantemente ripresa nei prodotti della cultura letteraria e cinematografica, fanno sempre il loro ottimo effetto e sono universalmente conosciuti. Perché non togliersi lo sfizio di scoprire una delle principali sorgenti contemporanee dell’immaginario collettivo a tema horror?

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