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Coronavirus, spente slot e videolotterie. Allarme per i forzati del gioco d’azzardo

Apr 6, 2020

MILANO – “L’oggetto del desiderio” – come lo chiama Simone Feder, fondatore del movimento “No slot” – è spento. Niente luci di mille colori delle videolotterie né gettoni che piovono nella cassettiera delle vincite. L’emergenza sanitaria ha battuto quella finanziaria. Lo Stato – causa coronavirus – ha fermato quel gioco d’azzardo che gli regala ogni anno 14,2 miliardi di entrate fiscali, sconvolgendo dalla sera alla mattina la vita di 1,5 milioni di italiani a rischio (o già malati) di ludopatia e quella delle loro famiglie.

LE DENUNCE AL TELEFONO

Il megafono di questa crisi sociale chiusa come una matrioska dentro quella del Covid sono le help-line telefoniche del terzo settore. “C’è già un aumento della domanda di aiuto per casi di aggressività causati dalla sofferenza prodotta dall’impossibilità di giocare – dice Leopoldo Grosso, psicoterapeuta e presidente onorario del gruppo Abele -. Un problema accentuato ora dalla convivenza forzata con familiari cui spesso si è nascosta la dipendenza all’azzardo”. “E’ una situazione difficile per chi ha fragilità di questo genere – conferma Michele, operatore (sono anonimi per scelta) del servizio telefonico SostieniMi gestito dal Comune di Milano -. Ci aspettiamo nelle prossime settimane sollecitazioni importanti da persone vittime di defaillance sulla tenuta psichica”. I “clienti” potenziali sono tantissimi: nel 2019 gli italiani hanno speso per lotto, slot-machine, Gratta & Vinci (l’unica forma d’azzardo ancora disponibile in tabaccheria) 110 miliardi di euro, 1.833 a testa, neonati compresi. Un passatempo occasionale per tanti, una mania border-line per il milione di persone catalogate dal Cnr “a rischio moderato”, un droga per le 400mila vittime – secondo il Cnr – di “gioco problematico”.

TRA WEB E ILLEGALITA’

Cosa sta facendo ora e i bar e le sale di Bingo e videolotterie sono chiuse? “Molti risolvono il problema passando dal gioco fisico a quello online – dice Paolo Jarre, direttore del dipartimento Patologia delle dipendenze della Asl 3 di Torino -. Sul web il denaro dura più a lungo perchè le vincite sono il 95% della somma spesa contro il 75% di slot & C. c’è gente – ora che c’è tanto tempo a disposizione – che sta 20 ore su 24 davanti allo schermo”. “Una delle persone che ci ha chiamato in questi giorni era drogata da anni di macchinette e non sapeva più che fare – racconta Michel –. Poi ha visto il figlio che faceva lezione online, gli ha chiesto aiuto per imparare a usare il pc, ha googlato “slot machine” e ora ci ha detto che non tornerà più indietro”. Mentre qualcun altro, dice Grosso, “batte la strada dell’illegalità e delle sale clandestine”, con la polizia che in effetti ne ha già chiuse diverse in tutta Italia.

PROBLEMI E OPPORTUNITA’

“Questo momento così particolare – aggiunge però il presidente del gruppo Abele – può essere anche un’opportunità. ”Dicono che quando spegni le macchinette si passa subito ai giochi on line. Ma non è del tutto vero” sostiene Sabrina Molinaro, responsabile di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari del Cnr. La prova? I risultati sul campo dell’esperimento della Regione Piemonte, che nel 2016 ha reso più complesso il gioco d’azzardo riducendo gli orari d’apertura e allontanandolo dalle aree sensibili. Risultato: il “gioco problematico” in Piemonte è all’1,54% contro il 3,3% dell’Italia. “Noi stiamo continuando le terapie di gruppo con i nostri pazienti in disintossicazione in modo virtuale – dice Feder -. E i partecipanti sostengono che la chiusura è in effetti un’occasione da sfruttare”. “A beneficiare di più dello stop al gioco sono i ludopatici lievi della categoria “condizionati dall’offerta” – spiega Jarre – quelli che giocavano perché al bar del caffè c’era una slot accesa. E un vantaggio c’è anche per chi è in trattamento”. Terapie lunghe almeno un anno “con molti rischi di ricadute e con una percentuale di successo al 35%”, racconta Grosso. Condizionate oltretutto, e in era di pandemia è un guaio, dalla variabile economica: “Molti dei pazienti sono commercianti o lavoratori indebitatissimi, che hanno studiato piani di ammortamento con le banche nell’ambito della terapia – conclude Feder –. Gente che oggi non incassa più una lira ed è devastata dal timore che una rata non pagata blocchi il loro percorso di riscatto”. Un problema in più che il mondo del credito potrebbe aiutare a risolvere.

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