Dalla Puglia, e in particolare da Bari, nel 2019 si è levata un’onda di ricorsi all’Arbitro per le consulenze finanziarie, l’organo che dirime le controversie tra clienti (investitori) e intermediari (che possono essere banche o altre società). Lo scorso anno le cause stragiudiziali nate in Puglia sono state 400: quasi una su quattro a livello nazionale. Un boom che non è difficile attribuire al crac della Banca Popolare di Bari, commissariata a dicembre ( e i cui amministratori sono stati arrestati con l’accusa di falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza. Il 20% dei ricorsi di tutto il 2019 si riferivano proprio a questa casistica.
Il dato è contenuto nella relazione annuale 2019 dell’Arbitro per le consulenze finanziarie. I ricorsi ricevuti sono calati di oltre il 20% rispetto al 2019, ma se si considera l’ultimo triennio sono il doppio rispetto alla stima iniziale, soprattutto a causa “dalle vicende che hanno interessato Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, i cui azionisti si sono fatti promotori di oltre il 40% dei ricorsi pervenuti durante il 2017”, spiega Consob nell’abstract. I ricorsi accolti sono oltre la metà (il 55%), in diminuzione rispetto agli anni precedenti (77,3% nel 2018; 61,6% nel 2017). Uno dei principali motivi di rigetto è l’inammissibilità: moltissimi risparmiatori si rivolgono all’Arbitro per le consulenze finanziarie per problemi con la cessione del quinto. In questi casi, però, l’ente al quale rivolgersi è l’Arbitro bancario che si occupa di controversie puramente bancarie e non finanziarie. Non a caso circa la metà dei ricorsi ad Abf ha a che fare con la cessione del quinto.
Dal 2017 a oggi è profondamente cambiata la geografia delle liti tra investitori e banche. Se all’inizio il nord assorbiva quasi il 60% dei ricorsi, il 23% al centro e 18% al sud, due anni più tardi il rapporto si è ribaltato: oltre 43% al sud, 30% al centro e 25,4% al nord che è finito in fondo al podio. Continuano a crescere le controversie nate per investimenti fatti sul web.Sempre gli stessi problemi
Cambia la geografia, ma non i vizi di banche e intermediari che nel corso degli ultimi tre anni sono rimasti sempre gli stessi: in prima linea c’è la scarsa comunicazione al cliente riguardo ai rischi negli investimenti che viene convinto a fare.
Il problema è che le banche – spiega l’Acf – continuano ad assolvere all’obbligo di informazione in modo formale, facendo firmare al cliente moduli incomprensibili senza illustrarli. E così, se l’investimento – ad esempio in obbligazioni o azioni – si rivela poco fruttifero o in perdita, il cliente cade dalle nuvole e accusa la banca. Altre criticità sono la profilatura della clientela e la valutazione di appropriatezza e adeguatezza, tutte attività importanti per inquadrare il cliente nel modo corretto e non esporlo a rischi finanziari. Ma che, dice ancora Acf, “troppo spesso risultano svolte in modo sbrigativo e superficiale”.
Oltre 30.000 euro a testa
Secondo i calcoli dell’Acf nel 2019 sono stati ottenuti risarcimenti per 16 milioni di euro, vale a dire 33.586 euro a risparmiatore. Nel corso del triennio la cifra totale sale a 55 milioni di euro; 30 sono finiti a quasi mille azionisti coinvolti dai crac delle banche Etruria, Marche, Cassa Ferrara e Carichieti.
L’identikit del ricorrente medio è uomo (65% del totale) tra i 45 e i 74 anni. A conferma del fatto che il capitale, in Italia, è principalmente in mano a investitori di mezza età e che i più giovani faticano a risparmiare abbastanza per potersi permettere di investire. E nonostante i ricorsi ad Acf possano essere fatti in autonomia, senza l’aiuto di un legale, nel 70% dei casi ci si continua a far assistere da un avvocato