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Palermo, il pentito Pipitone parla di tre omicidi e scatta il blitz: fermati due boss e un imprenditore

Nov 29, 2016

Parla l’ultimo pentito di Cosa nostra, Nino Pipitone, e scatta il blitz dei carabinieri del nucleo Investigativo. La procura diretta da Francesco Lo Voi ha disposto il fermo di quattro mafiosi per l’omicidio di tre persone. In manette sono finiti i boss Giovanbattista Pipitone, Antonino Di Maggio e l’imprenditore Salvatore Cataldo. Il quarto destinatario del provvedimento, Ferdinando Freddy Gallina, è da qualche tempo negli Stati Uniti, dove è stato già individuato. Le rivelazioni di Pipitone, che collabora con la magistratura da circa tre mesi, hanno consentito di fare luce sulla scomparsa di Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, scomparsi nel 1999. Il provvedimento di fermo, firmato dai sostituti procuratori Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi, Amelia Luise e dall’aggiunto Vittorio Teresi, svela anche i retroscena della morte di Francesco Giambanco. Omicidi ordinati dal boss Salvatore Lo Piccolo, per ribadire il suo potere mafioso nel mandamento di Tommaso Natale, che all’epoca si estendeva dalla città fino a Cinisi.

Failla e Mazzamuto pagarono la loro fedeltà al capomafia di Carini Battista Passalacqua, passato nella schiera dei “perdenti”, Lo Piccolo sospettava che avessero avuto un ruolo nella scomparsa di un suo parente, Luigi Mannino, ucciso una settimana prima. Furono attirati con un tranello in una riunione. E furono storditi a colpi di mazzuolo. Poi, i due uomini furono giustiziati. Failla con un colpo di pistola alla testa. Mazzamuto fu strangolato.

“C’ero anche io quel giorno”, racconta Pipitone. “I corpi furono poi rinchiusi in sacchi di plastica e sistemati dentro l’auto con cui erano arrivati”. L’auto, una Fiat Uno, fu sotterrata. Pipitone non sa esattamente dove. I carabinieri del comando provinciale, diretto dal colonnello Antonio Di Stasio, la stanno cercando.

Intanto, il neo pentito riempie pagine e pagine di verbali. Giambanco fu ucciso perché sospettato di intrattenere una relazione extraconiugale con la moglie di un mafioso. Venne rapito il 16 dicembre 2000, fu ritrovato carbonizzato pochi giorni dopo. Dei retroscena di questi omicidi aveva già parlato il pentito Gaspare Pulizzi, ma le sue dichiarazioni non erano bastate per arrivare a un processo, anche perché mancavano vari tasselli nella ricostruzione, quelli che ha offerto Pipitone, testimone privilegiato di una lunga stagione di sangue e mafia..

GLI ARRESTATI

Giovanbattista Pipitone, 67 anni, è lo zio del collaboratore di giustizia. Di lui parlava già il pentito Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone. “Lui e i suoi fratelli – spiegava Vincenzo e Angelo Antonino hanno giurisdizione nella zona di Villagrazia di Carini”. Sembra cambiato poco, nonostante le condanne al maxiprocesso e tutte le altre arrivate dopo.

Di Maggio, 62 anni, di Torretta, è cognato dei Pipitone, inserito anche lui nel clan. Cataldo è un imprenditore edile, già

condannato per essere stato attivissimo nell’ambito della famiglia di Carini. I pentiti lo avevano già accusato di aver messo a disposizione un suo terreno per nascondere il cadavere del boss Giovanni Bonanno, assassinato nel 2008. Due anni fa, a Cataldo sono stati sequestrati beni per 13 milioni di euro: nel suo patrimonio c’erano 27 immobili, fra cui due sontuose ville, poi aziende impegnate nella realizzazione di edifici, conti correnti e 17 fra autovetture e camion.

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