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L’impatto del coronavirus sull’Italia spa: possibile un danno da 641 miliardi

Mar 16, 2020

MILANO – Gli scenari sono due. Il primo è durissimo ma lascia spazio a una ripresa, che arriverebbe comunque l’anno prossimo. Il secondo è una catastrofe. Il primo ipotizza che l’emergenza del Coronavirus finisca a maggio e dice che, mettendo insieme il 2020 e il 2021, per le imprese italiane verrà bruciato un giro d’affari complessivo di 275 miliardi di euro, rispetto all’evoluzione che era prevedibile fino all’arrivo dell’epidemia.

Le stime del secondo scenario sono ovviamente più drammatiche: mostrano che, se l’emergenza durerà fino a dicembre, si arriverà a una completa chiusura delle frontiere dei mercati europei e il ritorno alla normalità richiederà altri sei mesi, la botta sarà pesantissima. Nel biennio se ne andranno in fumo ricavi complessivi per 641 miliardi, tra gli oltre 469 miliardi di questo 2020 e i quasi 172 dell’anno prossimo. “Quale dei due scenari si concretizzerà? Non siamo epidemiologi, non è facile rispondere. Fino a qualche giorno fa avremmo detto il primo. Adesso, per ogni settimana che passa senza miglioramenti, è innegabile che guadagni spazio il secondo”.

Fabbriche in difficoltà

A rispondere in questo modo è Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, la società che da quarant’anni analizza i bilanci di tutte le imprese italiane e raccoglie un’ampia gamma di altre informazioni, dal numero dei dipendenti di ognuna ai pagamenti delle fatture, dalle compravendite di immobili e altre attività alle notizie dei media. Nei giorni scorsi Cerved ha diffuso una prima ricerca, nella quale calcolava che, se si verificherà lo scenario pessimistico, rischia di fallire il 10,4 per cento delle imprese italiane, un tasso doppio del normale.

Ora, in una nuova analisi che Repubblica Affari&Finanza pubblica in anteprima, ha fatto diversi passi in più, delineando le stime su quali saranno le regioni e i settori più colpiti. Lo studio si basa sui dati di 750 mila imprese italiane, elaborati e integrati con i modelli statistici e econometrici utilizzati da Cerved per tenere conto delle variabili macroeconomiche e giungere a formulare previsioni relative a 233 diversi settori produttivi.

La prima cosa che balza all’occhio è il fatto che, se l’emergenza finisse a maggio, le imprese italiane riuscirebbero già dal prossimo anno a recuperare un livello di fatturato superiore dell’1,5% rispetto a quello ottenuto nel 2019, pari secondo le stime di Cerved a 2.410 miliardi di euro. “Questo dato è interessante perché, dopo le crisi del 2008 e del 2011, l’economia italiana non ce l’aveva fatta a tornare ai livelli precedenti, in parte perché il fallimento di molte aziende aveva ridotto la base produttiva. Il fatto che adesso sia possibile aspettarsi un rimbalzo completo riflette il miglioramento dal punto di vista economico e patrimoniale delle aziende che sono sopravvissute alle difficoltà, diventando più forti di prima”, dice Mignanelli.

Anche in questo caso, però, il costo reale del Covid-19 sarebbe altissimo. Per stimare il giro d’affari bruciato dal virus bisogna infatti tenere conto dei progressi che molte aziende avrebbero compiuto quest’anno e il prossimo, se non fosse scoppiata l’epidemia: il fatturato, erano le aspettative fino a poche settimane fa, era atteso crescere dell’1,7 per cento quest’anno e del 2 il prossimo, più di quanto avessero fatto nel 2019 (più 0,8). È così che Cerved arriva a mettere nero su bianco la cifra di 275 miliardi che fotografa i ricavi che saranno persi dalle aziende nel biennio 2020-2021, anche se si verificasse lo scenario più benevolo. Una voragine che diventerebbe ancora più profonda – arrivando fino a 641 miliardi – se le cose si mettessero male davvero, e l’emergenza si protraesse fino a dicembre.

L'impatto del coronavirus sull'Italia spa: possibile un danno da 641 miliardi

Scorrendo i numeri dei settori più colpiti ci si rende conto di come la crisi cambierà il volto dell’Italia e del suo sistema di imprese. Nello scenario pessimistico, infatti, il fatturato degli alberghi scenderebbe dai 12,5 miliardi del 2019 ai 3,3 miliardi di quest’anno, un crollo del 73 per cento che sarebbe seguito a ruota da agenzie di viaggio e tour operator (meno 68 per cento), strutture ricettive extra alberghiere come agriturismi e bed & breakfast (meno 64) e aeroporti (meno 50). Ma l’ictus produttivo e il crollo dei consumi assesterebbero una mazzata anche alla manifattura, con un crollo del 45,8 per cento per la produzione di auto (da 39,5 a 21,4 miliardi), di veicoli industriali (da 12,7 a 6,7 miliardi) e del cruciale e diffusissimo settore dei componenti per l’automotive (da 23,3 a 12,6 miliardi), che i produttori italiani esportano o fabbricano direttamente in tutto il mondo.

L'impatto del coronavirus sull'Italia spa: possibile un danno da 641 miliardi

Depressione settentrionale

Un altro aspetto interessante è l’impatto sulle diverse regioni. In cima c’è la Lombardia, “l’epicentro del terremoto”, com’è stata definita sul piano sanitario e come rischia di essere anche dal punto di vista economico, data la sua stazza produttiva. Sempre nello scenario pessimistico, rispetto a quanto avrebbero fatto con le stime ante Covid-19 le imprese lombarde brucerebbero un fatturato di 182 miliardi, seguite dal Lazio (118 miliardi), dal Piemonte (60), dal Veneto e dall’Emilia Romagna (poco più di 57 per entrambe). I dati riflettono più fattori, a cominciare dal diverso peso che i vari settori di attività presentano, oppure dalla maggior o minore propensione all’export. In parte, però, riflettono anche il fatto che i gruppi più grandi o le catene commerciali hanno spesso la sede a Milano e Roma, anche se poi a vendere meno saranno i negozi diffusi in tutta Italia.

In valori assoluti, ovviamente, l’impatto della crisi sarà più contenuto nelle regioni del Sud o in quelle più piccole. In termini relativi, però, va sottolineato che al termine del biennio, tra le imprese più lontane rispetto al potenziale pre-virus ci saranno quelle con un’alta vocazione turistica, come il Trentino Alto Adige (meno 4,4 per cento, contro una media nazionale del meno 3,3), la Liguria (meno 4,3) e la Valle d’Aosta (-3,9). Le peggiori in assoluto, però, nello scenario “horribilis” sarebbero quelle dove l’auto pesa di più sul totale, ovvero Piemonte (meno 4,9 per cento) e Basilicata (-5,1).

L'impatto del coronavirus sull'Italia spa: possibile un danno da 641 miliardi

La ricerca, però, permette anche di mettere a fuoco anche altri fenomeni. Il primo è quasi scontato: esistono settori che verranno penalizzati meno dalla crisi, o che addirittura ci stanno guadagnando. Già lo scenario di base, quello nel quale l’emergenza sarà superata a maggio, è quasi da sogno per le aziende che operano nel commercio online, nella grande distribuzione alimentare e nella farmaceutica. Ma se l’epidemia continuasse a tormentare l’Italia anche dopo l’estate, il 2020 per molte di esse diventerebbe indimenticabile: nella grande distribuzione alimentare crescerebbero dai 108 miliardi del 2019 a 132 miliardi, nel commercio all’ingrosso dei prodotti farmaceutici e medicali da 33 a 38 miliardi, nel commercio online da 4,3 a 6,7 miliardi.

Occasione da non perdere

Il secondo fattore che emerge dall’analisi di Cerved è meno intuitivo e riguarda tutti i settori che hanno a che fare con la digitalizzazione: “La debolezza del nostro sistema imprenditoriale è stata, negli ultimi anni, l’esiguità degli investimenti in tecnologie, che sono più bassi rispetto agli altri Paesi europei con i quali siamo in concorrenza”, dice Mignanelli, sottolineando i dati che mostrano come i ricavi delle aziende connesse all’informatica o all’automazione non smetteranno di crescere: “La speranza è che l’epidemia, che costringe le persone a casa, possa contribuire a convincere gli imprenditori – soprattutto i più piccoli – che gli investimenti in tecnologia sono necessari per aumentare la produttività. Farlo non vuol dire necessariamente ridurre il costo del lavoro ma, al contrario, far aumentare contenuti e capacità di chi lavora”.

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