Nella sua rete di usuraio erano finiti in tanti a Palermo. Dall’impiegata al negoziante, dall’albergatore alle casalinghe, e poi molti imprenditori. Francesco Abbate, 66anni, detto il “monaco” per la religiosità che ostentava, aveva messo in piedi una grande sistema di prestiti e ricatti. Imponeva tassi fino al 250 per cento. E in tanti non riuscivano a pagare. Così il “monaco” aveva costruito un impero economico da 17 milioni di euro, che adesso la sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo ha confiscato.
Le indagini del nucleo di polizia economico finanziaria diretto dal colonnello Gianluca Angelini raccontano di un meccanismo che stritolava i clienti dello strozzino più famoso di Palermo. E solo in pochi hanno avuto la forza e il coraggio di denunciare, grazie al sostegno di alcune associazioni. Quelle denunce sono state importanti, perché hanno consentito agli investigatori del Gico, il gruppo antimafia della Guardia di finanza, di ricostruire la mappa degli affari di un manager criminale che era sempre molto prudente nelle sue comunicazioni e negli spostamenti.
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