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Quindicenne ucciso a Napoli, l’educatrice “La sua morte è una sconfitta di tutti”

Mar 4, 2020

“La morte di Ugo è stata una mazzata per noi educatori, c’è un’ondata emotiva molto forte. Un gran dolore. Veniva spesso nella sede dell’associazione a 11 anni e poi di nuovo 2 anni dopo durante un progetto contro la dispersione scolastica. Era un ragazzino come tanti, neanche di quelli più agitati. Li chiamiamo “mullechelle” (mollichine) perché sono fragili, facili da soffiare via dal tavolo quando “non servono più”. La sua morte ha scatenato commenti feroci, ma dovrebbe suscitare tristezza più che odio. Il timore è che Ugo diventi una bandiera “contro” un quartiere, che questa storia produca rabbia e non soluzioni. Ci sono tanti ragazzi che crescono e muoiono nel niente: si dovrebbe parlare ora di come dare loro opportunità reali”. Eleonora è un’educatrice dell’associazione Quartieri spagnoli onlus, che si occupa con impegno e passione da anni delle fasce sociali più deboli.

Ogni pomeriggio svolge attività didattiche e ludiche, realizza con i colleghi progetti per bambini e ragazzi della zona, laboratori anche in piazza Montecalvario per avvicinare tutti. Dopo la morte del 15enne che ha tentato di rapinare un carabiniere puntandogli alla testa una pistola giocattolo mentre era in auto con la fidanzata, la onlus ha salutato il ragazzo ucciso con una frase di Dietrich Bonhoeffer: “Oh, se sapessi dov’è la strada che torna indietro, la lunga strada per il paese dei bambini. Ciao Ugo”

Chi era Ugo?

“Era molto timido, stava sempre sulle sue, aveva pochi rapporti stretti. Era affascinato dalla Madonna dell’Arco e partecipava a laboratori di attività manuali: lavorava la cartapesta. Abitava proprio di fronte all’associazione e la frequentava anche con suo fratello. Era un ragazzo di quartiere con tutte le difficoltà che questo comporta: viveva in una famiglia con 4 figli e in disagio economico, aveva una situazione complessa alle spalle. Ma Ugo non era come lo dipingono, non faceva il criminale per vivere”.

Ma ha tentato di rapinare quel carabiniere…

“Non era la sua indole, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere.

Forse viveva uno sbandamento, 15 anni sono un’età difficile, “fetente”, di sfida al mondo per tutti. I miei li ho vissuti in un contesto protetto, per lui è andata diversamente. So che aveva una pistola giocattolo e questo forse insinua il dubbio che non facesse rapine nella vita: mostra la sua ingenuità. Ho letto tanto odio verso di lui, abbiamo dimenticato l’umanità”.

È una vicenda che ha sconvolto, ci sono vite distrutte.

“Un dramma. Per tutti. Anche per il carabiniere che ha solo 23 anni, è terribile quello che è successo. Il mio lavoro abitua a non giudicare, le cose le osservo da vicino, le vivo. Mi conceda una citazione: non c’è giustizia, solo diversi gradi di ingiustizia”.

Lo vive come un fallimento?

“La nostra è una scommessa su centinaia di ragazzi, i frutti si raccolgono dopo anni. Non posso sapere come va finire perché il futuro di un bambino non dipende solo da noi ma da quello che succede nella vita dopo di noi, dalle possibilità di accedere a una formazione reale, di trovare un lavoro.

Tutto questo clamore è faticoso: si parla tanto ma bisognerebbe allargare lo sguardo al welfare, trovare misure per sostenere le famiglie davvero. Cosa c’è per i ragazzi di un intero quartiere? Niente. Dietro Ugo ci sono Genny, Emanuele, Gianni e tanti che stanno cercando un motivo, una strada, e che forse non hanno tutti gli strumenti che dovrebbero avere”.

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