Donald Trump insiste: vuole riportare negli Stati Uniti le aziende nazionali che attualmente producono i propri prodotti all’estero, Apple in testa. E ha ribadito l’idea al CEO Tim Cook durante una telefonata recente, come dichiarato da Trump stesso in una lunga intervista al New York Times.
Trump avrebbe proposto al CEO Apple di tornare a produrre i propri dispositivi su suolo statunitense, in cambio di forti incentivi fiscali, sotto forma di un consistente taglio delle tasse. Proposta che Cook si sarebbe laconicamente limitato a registrare con un semplice “capisco la sua posizione”, anche se in realtà la casa californiana ha già chiesto uno studio di fattibilità sull’argomento al proprio partner storico Foxconn.
L’argomento non è nuovo ed è stato un cavallo di battaglia di Trump già durante la campagna elettorale, ma al di là della propaganda verso il proprio elettorato bisogna chiedersi se la cosa sia effettivamente fattibile. Alcuni mesi fa abbiamo analizzato i tre possibili scenari di una scelta del genere, con Apple che riporta negli USA solo l’assemblaggio, la produzione anche dei singoli componenti o addirittura l’approvvigionamento delle materie prime necessarie.
Escludendo a priori questa terza possibilità, inattuabile per motivi “naturali” (molti degli elementi necessari sono semplicemente assenti sul territorio nazionale), entrambi gli altri scenari portavano inevitabilmente a un aumento del prezzo finale del prodotto, in un range compreso tra i 30 e i 100 dollari, aumento che potrebbe essere effettivamente compensato da un sostanzioso taglio delle tasse.
Ma questo non significa automaticamente che il progetto di Trump sia realizzabile. Si è detto infatti più volte che ci sono diverse altre difficoltà. Attualmente mancano ad esempio strutture produttive adeguate negli USA e personale specializzato (necessario non tanto per assemblare lo smartphone, quanto per produrre la componentistica). Certo, con i giusti investimenti le strutture possono essere realizzate e il personale formato, ma si tratta di operazioni che richiederebbero alcuni anni.
Questo sarebbe il minore dei problemi. Solo per assemblare l’iPhone sono infatti attualmente utilizzati in Cina circa 230mila lavoratori, supervisionati da 8700 ingegneri, mentre Foxconn ne impiega in totale 690mila, una commessa dai numeri esorbitanti, che negli USA nessuna città sarebbe in grado di assorbire.
Insomma la sensazione è che l’idea di Trump di riportare la produzione Hi-Tech entro i confini nazionali sia realizzabile da un punto di vista prettamente teorico, ma che la sua messa in pratica è ardua e i tempi piuttosto lunghi. Servirebbero infatti non soltanto tagli delle tasse, ma anche investimenti ingenti e forse riforme strutturali, per consentire di produrre le professionalità richieste a partire dalla scuola e dall’Università. In pratica gli Stati Uniti dovrebbero mettere in campo un tipo di sforzo assai simile a quello compiuto diversi anni fa o ancora in atto in economie emergenti come Cina e India appunto.
È possibile? Forse sì, forse no, i fattori in gioco sono molti e disparati, non tutti nel diretto controllo di Apple e del Governo degli Stati Uniti.