La Germania ha annunciato che ritirerà alcune delle sue truppe schierate in Iraq nell’ambito della della coalizione anti Isis. Lo ha annunciato il ministero della Difesa, a quattro giorni all’uccisione da parte degli Stati Uniti del comandante del Qods iraniano, il generale Qassem Soleimani. Circa 30 soldati, attualmente di stanza a Baghdad e Taji, saranno trasferiti in Giordania e in Kuwait, ha detto un portavoce del ministero della Difesa intervistato dall’Afp, aggiungendo che il ritiro “inizierà presto”. Secondo La Stampa invece, i soldati italiani hanno lasciato, nel corso della notte, la base americana a Baghdad, da due giorni sotto il tiro dei mortai. Secondo quanto si legge sul quotidiaino, il trasferimento dal compound “Union 3” ha riguardato tutti gli uomini italiani impegnati nell’operazione di addestramento delle forze di sicurezza irachene – un cinquantina di carabinieri – ed è stato deciso dallo Stato maggiore della Difesa in accordo con i vertici della Nato. I soldati, che partecipano alla “Nato Mission Iraq“, non sono stati riportati in Italia ma sono stati trasferiti in “un un’altra zona, sicura e non lontana”.
Il Pentagono intanto smentisce le parole del Presidente Donald Trump su un possibile bombardamento dei siti culturali. “Rispetteremo le leggi di un conflitto armato“, ha detto il capo del Pentagono Mark Esper. L’inquilino della Casa Bianca aveva minacciato di colpirli – anche se si tratterebbe di un crimine di guerra – tramite un tweet del 4 gennaio.
….targeted 52 Iranian sites (representing the 52 American hostages taken by Iran many years ago), some at a very high level & important to Iran & the Iranian culture, and those targets, and Iran itself, WILL BE HIT VERY FAST AND VERY HARD. The USA wants no more threats!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 4, 2020
Esper ha inoltre smentito le notizie circolate ieri sul ritiro delle truppe americane dall’Iraq: l’ipotesi era nata da una lettera scritta da un generale americano, il capo della task force Usa in Irq William Seely. Il testo, diffuso su Twitter e poi ripreso dai media, faceva riferimento a un “riposizionamento delle forze (Usa, ndr) nei prossimi giorni e nelle prossime settimane”. Il capo del Pentagono ha negato che ci sia un piano del genere: “Non è stata presa alcuna decisione di andarsene dall’Iraq. Non abbiamo elaborato alcun piano”.
A Teheran, invece, il segretario del Consiglio, contrammiraglio Ali Shamkhani ha annunciato che “13 scenari sono stati valutati nel Supremo consiglio di sicurezza nazionale per la vendetta dell’Iran dopo l’assassinio del generale Soleimani, e anche il più debole di questi sarà un incubo storico per gli Usa. Prometto alla nazione eroica che la rappresaglia non avrà luogo in una sola operazione, perché sulla base delle dichiarazioni della nostra Guida tutte le forze di resistenza sono pronte a vendicare l’azione degli Stati Uniti”, ha sottolineato Shamkhani. Oggi a Kerman, nel sudest dell’Iran, è prevista la sepoltura di Soleimani. Il comandante in capo dei Guardiani della Rivoluzione iraniana (i Pasdaran), il generale Hossein Salami ha lanciato un appello, parlando davanti a una folla di centinaia di migliaia di persone nella piazza della città: “Bisogna dare alle fiamme i luoghi sostenuti dagli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti faranno una benché minima mossa contro l’Iran, daremo fuoco a qualunque luogo, dove ci piace”.
L’Iraq nel frattempo si è appellata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere una condanna formale del raid aereo americano di venerdì a Baghdad che ha portato all’uccisione del generale Soleimani, e del numero due delle milizie sciite delle Unità di protezione popolare Abu Mahdi al-Muhandis. Si tratta di una “evidente violazione” rispetto alla presenza delle forze americane nel Paese e di una “pericolosa escalation che potrebbe portare a una guerra devastante in Iraq, nella regione e nel mondo”, ha detto l’ambasciatore iracheno presso le Nazioni Unite, Mohammed Hussein Bahr Aluloom. Per il 9 gennaio è prevista riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma al Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif è stato impedito di partecipare, riferisce l’emittente al-Arabiya: Washington avrebbe negato il visto per entrare nel Paese. “La stabilità della regione potrà essere raggiunta solamente attraverso il dialogo e la comprensione reciproca”, ha commentato il capo della diplomazia iraniana. Il parlamento iraniano, in risposta al raid, ha votato una mozione che inserisce l’esercito Usa e il Pentagono nella lista delle organizzazioni terroristiche.
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