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Ilva come Fincantieri, la città si mobilita un’altra volta

Nov 6, 2019

Sono passati otto anni, ma la battaglia per la difesa del lavoro a Genova potrebbe ripetersi, passando questa volta dalle navi all’acciaio. Era il 2011 e lo slogan di quella stagione industriale declinata in città era ” Sestri non si tocca”. Lo urlavano gli operai dello storico stabilimento Fincantieri di Sestri Ponente con le loro famiglie, lo ripetevano i commercianti, lo trasformavano in un adesivo incollato sulle proprie macchine i tassisti della città. Fu l’azione corale di tutta la comunità genovese, unita nella difesa della sua fabbrica-simbolo, che alla fine incassò la condivisione del gruppo, a dare continuità al rumore della fabbrica.

Nel pieno di una crisi globale che aveva travolto economia e finanza, anche la cantieristica navale si era trovata a fare i conti la recessione. Fincantieri, con otto stabilimenti soltanto in Italia, aveva ipotizzato una serie di scenari, il primo dei quali, all’epoca svelato da Repubblica, prevedeva la chiusura di alcuni cantieri, due dei quali in Liguria, Sestri Ponente e Riva Trigoso. Iniziò allora una battaglia che si protrasse per mesi, dentro e fuori la fabbrica, che portò a un confronto serrato con i vertici del gruppo guidato da Giuseppe Bono. Alla fine, la scelta del manager che ha guidato Fincantieri fino alla leadership mondiale nella costruzione di navi da crociera, fu il mantenimento di tutti i presidi. Decisione coraggiosa che si tradusse negli anni successivi nella migliore delle strategie possibili, tenuto conto che la ripartenza del mercato delle costruzioni si è presto trasformata in carichi tali da garantire il lavoro per i prossimi anni.

Parte da questo precedente la battaglia per la difesa dell’acciaio e dello stabilimento di Cornigliano che prenderà il via oggi, con un tavolo condiviso fra le istituzioni e i rappresentanti delle categorie economiche, commerciali e dei lavoratori. Il primo passaggio sarà in Regione, alle 11, nell’ufficio del governatore Giovanni Toti. Fuori, davanti al palazzo di piazza de Ferrari, ci sarà anche un gruppo di lavoratori dell’ex Ilva, oggi ArcelorMittal Italia. Per il momento, comunque, non ci saranno scioperi o proteste. Si attenderà prima l’esito dell’incontro fra la proprietà del gruppo e il governo, che in queste ore sta valutando l’ipotesi di rimettere in campo quello ” scudo legale” cancellato nei giorni scorsi e che ha indotto ArcelorMittal a restituire le chiavi della fabbrica. Al di là dello scontro sulle reali cause dell’addio (la cancellazione dello scudo arriva in un momento di difficoltà del mercato siderurgico e con la chiusura dell’altoforno 2 di Taranto), serve infatti ora una mobilitazione che metta al centro il lavoro di Cornigliano, hanno spiegato nuovamente ieri i sindacati. Potrà essere sempre con ArcelorMittal, se si ritroverà l’accordo perduto, oppure con la gestione commissariale, o ancora con un nuovo azionista privato interessato a rilevare tutto il gruppo o parti di esse. Fino ad allora, la battaglia di Cornigliano ricalcherà il “modello Sestri”, all’epoca rivelatosi vincente.

Aspetto davvero particolare, in questa vicenda, il filo d’acciaio che lega il destino dell’ex Ilva agli scenari globali in cui si muove proprio Fincantieri. Il gruppo, infatti, acquista l’acciaio necessario a costruire le sue navi in una sorta di ” Borsa” del prodotto, attraverso il mercato del “trading”, puntando sulla qualità dei prodotti, così come avviene per l’energia. È un fatto, però, che Fincantieri ha sempre utilizzato l’acciaio prodotto a Taranto e lavorato a Cornigliano e a Novi Ligure e intenderebbe ovviamente continuare a farlo. L’esclusione di un soggetto come l’ex Ilva, infatti, imporrebbe l’acquisto all’estero (Francia e Spagna) di gran parte del prodotto necessario a tradursi in navi, con il rischio di avere costi più alti e tempi più lunghi. Un altro motivo in più per scongiurare l’abbandono dell’acciaio.

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