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Reggio Calabria, arrestati otto manager: aprirono alla ‘Ndrangheta le porte delle municipalizzate

Ott 3, 2019

Per tutti sono professionisti noti e stimati, ma in realtà sono i colletti bianchi che hanno permesso alla ‘Ndrangheta di mettere le mani sulle società del Comune di Reggio Calabria. Otto manager che in passato hanno gestito la Multiservizi, la più grande partecipata del Comune reggino, poi sciolta per mafia, sono stati arrestati oggi dalla Guardia di Finanza per bancarotta fraudolenta.

In manette su richiesta della Dda di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, sono finiti i professionisti che negli anni si sono avvicendati all’interno della società mista Multiservizi, della Gst, il socio privato che ne deteneva il 49%, e delle tre controllate che lo componevano. Approfondimento dell’inchiesta che già in passato ha raccontato e provato l’infiltrazione mafiosa all’interno della municipalizzata, l’indagine “Mala Gestio” oggi dà un volto ai manager responsabili di quelle manovre.

Per i magistrati, sono stati loro ad aver tecnicamente permesso alla ‘Ndrangheta di entrare e nascondersi all’interno della Multiservizi. E dall’interno sono stati loro a progettare le manovre per dirottare l’enorme mole di fondi pubblici destinati alla manutenzione cittadina nelle casse dei Tegano e del loro entourage. Una manovra finanziaria sofisticata, possibile solo grazie a professionisti del settore. “È un’operazione importante per la città perché si dà conto di quello che è successo in quegli anni. C’era un sistema creato per predare le casse di Reggio Calabria” ha spiegato il procuratore Bombardieri.

Sebbene nel tempo le società abbiano formalmente cambiato nomi e proprietari, identica è rimasta – è già emerso in passato – l’identità economica e gestionale. La Multiservizi era cosa del clan Tegano, che se ne occupava per conto delle famiglie di Archi, espressione dell’élite della ‘Ndrangheta cittadina. Nel corso degli anni, i Tegano hanno continuato ad attingere dai fondi del Comune di Reggio Calabria, che già avanzava a grandi passi verso il cratere di bilancio, che oggi costa alla città un piano di rientro trentennale.

Tutto possibile grazie alle manovre dei manager finiti oggi in manette che hanno regolarmente distratto e dissipato i fondi comunali, mentre i clan crescevano, ingrassavano, costruivano il loro consenso sociale anche grazie a centinaia di assunzioni pilotate. Un piano di cannibalizzazione studiato in dettaglio dai massimi vertici dei clan di Reggio Calabria e portato avanti – hanno svelato inchieste del passato – grazie ai politici che la ‘Ndrangheta ha scelto, forgiato e poi sostenuto all’interno delle istituzioni locali.

Pietra angolare degli accordi fra le famiglie mafiose di Reggio Calabria, che proprio sulle società miste hanno costruito il proprio impero economico, finanziario e di consenso, “la spartizione da parte della ‘Ndrangheta delle cosiddette società miste – si legge nella sentenza Gotha – è stata in primo luogo attuata attraverso la penetrazione nel tessuto politico locale (che ha in primo luogo creato le condizioni di esistenza delle predette società a partecipazione prevalentemente pubblica) e, successivamente, realizzata per mezzo dell’indebita azione di gestione delle cosiddette aziende municipalizzate da parte di singoli esponenti politici locali, per scopi apparentemente elettorali, ma in realtà utili a soddisfare gli interessi criminali delle cosche di cui, spesso, il singolo esponente politico era espressione”.

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