• 26 Ottobre 2024 9:30

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Il buco del mercato nero del petrolio

Ott 2, 2019

La banda del trapano

Le forzature agli oleodotti sono ormai residuali dopo il boom del 2015 (165 tentativi, di cui quasi tutti riusciti). Secondo il nuovo censimento delle compagnie petrolifere, l’anno scorso i criminali hanno tentato 136 volte di tagliare i tubi del carburante, ma stavolta con scarso successo. Quest’anno appena una decina di attacchi alle condutture dopo che la banda più attiva, quella dei lèttoni, è stata scoperta ed è stata perfino trovata la raffineria clandestina allestita in un capannone industriale in Emilia. Da maggio a settembre sono state arrestate 16 persone, quasi tutti italiani e lèttoni. Le ultime due ordinanze di custodia cautelare hanno bloccato D.V., 37 anni, fermato in Finlandia a un posto di frontiera con la Russia, e G.I.,55 anni, arrestato in Lettonia a un posto di frontiera con la Russia. La banda è accusata di aver sottratto decine di milioni di litri di idrocarburi dagli oleodotti di aziende come l’Eni, la Sarpom e la Sigemi trapanando le tubazioni nelle province di Pavia, Milano, Lodi, Novara, Alessandria e Piacenza.

L’altro grande traffico clandestino, quello di carburanti libici via Malta scoperto nei giorni scorsi in Sicilia, è stato raccontato su questo giornale ieri.

La Slovenia e le altre

Sono centinaia i movimenti sospetti, e non solamente quelli che passano da Malta; da seguire con attenzione alcuni depositi costieri. È intenso l’andirivieni di autobotti e treni cisterna pieni (ufficialmente) di generici “oli minerali d’importazione” e “destinati all’esportazione”. La provenienza spesso è l’Albania o la Slovenia. In realtà le cisterne che entrano in Italia dalla Slovenia sono piene di gasoliacci di qualità modesta. Sdoganati, vengono cambiati i documenti e quei prodotti, rimiscelati, allungati e drogati, ricompaiono nei distributori compiacenti di carburanti.

I caroselli di carta

Il sistema usato per frodare il fisco è quello delle “frodi carosello”. Le autobotti straniere arrivano ai depositi e viene avviata una slavina di compravendite fittizie di quel carburante. È una catena infinita di società “cartiere” che vendono e comprano quel carburante senza pagare le tasse in un vorticare di passaggi di mano; queste società si dissolvono prima della fatturazione. E le autobotti ripartono con il carico — il quale senza muoversi dal piazzale ha cambiato proprietario apparente decine di volte — per le consegne ai benzinai.

Sono quasi sempre benzinai senza marchio, le cosiddette pompe bianche. Offrono prezzi appetitosi, incredibilmente convenienti. Distruggono il mercato perché i distributori onesti, la maggior parte, invece lavorano su margini limatissimi di centesimi al litro e non riescono a sostenere i prezzi impossibili.

Il presidente dell’Unione Petrolifera, Claudio Spinaci, osserva che tra i 21mila distributori italiani ci sono «5mila punti vendita con un erogato di soli 350mila litri l’anno a fronte di un erogato medio italiano di 1,3 milioni». Molti di questi non potrebbero sopravvivere se non fossero i terminali, a volte inconsapevoli, delle mafie petrolifere.

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