Di Federico Aldrovandi ricordiamo due fotografie: una lo ritrae, probabilmente ancora più giovane, mentre sorride di profilo. Anche nell’altra è quasi di profilo, ma è una fotografia agghiacciante: lui, steso sul lettino dell’obitorio, una tremenda aureola di sangue che racconta la violenza subita. “Un’immagine orribile che mai nessun genitore vorrebbe vedere”, scrive oggi Lino, il papà di Federico, uomo mite, la cui esistenza è stata devastata dalla morte del figlio, così come quella di mamma Patrizia e del caro Stefano. La foto di Federico ricorda altre foto simili, che riguardano processi ancora in corso per altre esistenze spezzate. Federico, che, ricorda Lino, non aveva commesso alcun reato, “fu ucciso senza una ragione. Anche se di ragioni per uccidere non potranno mai essercene. E di ingiustizie in questa nostra Italia, sia ben chiaro, non esiste solo quella di Federico e tutte meriterebbero eguale attenzione”, avverte il padre.
La giustizia ha fatto il suo corso. Sono stati individuati i responsabili, sono stati condannati in via definitiva. Hanno pagato, scontando la loro pena, anche se in gran parte cancellata dall’indulto. Ma resta il dolore, la rabbia non si prescrive. Non c’è rimedio, in particolar modo per papà Lino, vigile urbano, al senso di sgomento e smarrimento nel sapere responsabili della morte del figlio quattro persone che indossano la divisa, e che il procuratore generale in Cassazione ha definito “schegge impazzite”. “Hanno già scontato la loro pena, così secondo la legge degli uomini, ma sono convinto, anche se è difficile crederlo dopo tutti questi anni di silenzi, che il giudice più severo rimarrà la loro coscienza di uomini e soprattutto di genitori, che in un’alba assurda di una domenica mattina di 14 anni fa, non riuscirono ad ascoltare quelle grida di ‘basta e aiuto’ che un ragazzo di 18 anni, solo e disarmato, stava loro proferendo, nel tentativo disperato di farli desistere da quell’azione di morte. Quelle grida le sentirono a centinaia di metri da quella via che definirei del silenzio, ma furono smentite da chi intervenne su di lui (4 agenti) adducendo in udienza, riferendosi a Federico: ‘non proferì parola’. Chissà perché”.Quegli agenti, ricorda Lino, indossano “assurdamente” ancora una divisa, “sono ancora in servizio. Per me invece fino alla fine dei miei giorni sarà un ergastolo senza appello, con la sola speranza che ciò che è accaduto a Federico non accada mai più a nessun figlio”.