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Digital tax, intesa bipartisan per attuare la legge italiana: ecco le sfide e il quadro

Set 21, 2019

Si riaccende in Italia la partita della web tax, per riuscire a tassare meglio i colossi digitali di oltre Oceano. E l’appuntamento da segnarsi è quello della Legge di Bilancio, dove i circa 1,35 miliardi di euro previsti dal Paese da questa tassa potrebbero fare la differenza. La web tax sarebbe già legge in Italia da due anni, ma “come è noto non è operativa perché mancano i decreti attuativi. Sono certo che essa sarà sicuramente un tema caldo anche in questa Legge di bilancio ma è chiaro che sui desideri delle due forze politiche, la cui volontà politica è convergente, pesa l’attesa dei diversi attori UE”, spiega Niccolò Invidia (M5S), che segue da vicino questi temi alla Camera dei Deputati.

La politica vorrebbe attuarla subito ma per ora resta a guardare alla finestra il caos che, su questo tipo di legge, sta montando in Europa e in ambito Ocse.

L’ha spiegato qualche giorno fa il neo commissario europeo Paolo Gentiloni, alla Stampa: l’Ue intende procedere autonomamente nel caso in cui il progetto OCSE/G20 di una “digital tax” globale non dovesse vedere la luce nei tempi annunciati, ossia entro il 2020.

“Una posizione comprensibile”, osserva Alberto Franco, professore a contratto di diritto tributario presso l’Università di Torino e associato dello studio CBA, “perché ad oggi la strada Ocse sembra piuttosto in salita, principalmente a causa degli interessi alquanto divergenti dei singoli Paesi. Se, infatti, gli Stati Uniti sono legittimamente preoccupati del fatto che l’introduzione di una web tax possa penalizzare alcuni loro campioni nazionali, soprattutto Google, Apple, Facebook, Amazon, gli altri Paesi sono altrettanto legittimamente preoccupati della sottrazione di base imponibile che la digital economy comporta per le entrate nazionali”.

Così al momento la situazione è: tutti in ordine sparso. L’idea base della digital tax è che le tasse per le multinazionali non debbano essere basate più solo sul Paese dove quelle hanno il quartier generale, ma tenere conto anche del luogo dove si trovano i loro clienti. In Italia, la legge inattuata prevede una tassa del 3 per cento del fatturato, con soglie alte di esenzione.

In Francia la legge è molto simile alla nostra, ma è in vigore da giugno ed è attiva retroattivamente dal primo gennaio. Proprio nei giorni scorsi la Francia ha portato a casa un accordo di un miliardo di euro con Google per tasse non riscosse. L’Italia analogamente ha ottenuto 306 milioni nel 2017 da Google e 100 milioni da Amazon; 318 milioni da Apple nel 2015, 100 milioni da Facebook nel 2018. Scatta la tassa al 3 per cento anche in Spagna, dal 2019. In Gran Bretagna e Germania ci sono proposte di legge simili (2 e 3 per cento rispettivamente). “E’ evidente che è preferibile un approccio continentale sul tema (per non dire globale, non a caso se ne parla al G7 e al G20)”, dice Invidia.

È d’accordo Antonello Giacomelli (PD, alla Camera), già sottosegretario alle Comunicazioni nel precedente Governo, a conferma dell’intesa bipartisan sul tema: “Il tema non è individuare un nome suggestivo per l’imposta, il punto decisivo è che sia una decisione uniforme a livello europeo. Senza una effettiva armonizzazione fiscale non c’è una vera dimensione unitaria del mercato europeo ed imposte solo nazionali rischiano di aumentare una impropria concorrenza interna”. Il problema è che non sarà facile. “L’ideale sarebbe un accordo a livello Ocse. Uno a livello europeo sarebbe la seconda scelta, ma comunque complicata per via di interessi contrastanti da parte dei Paesi membri – dice Franco. Basti ricordare che la proposta di web tax presentata dalla Commissione Europea nel marzo 2018 è stata abbandonata perché quattro Stati membri si sono rifiutati di implementarla”. “Nella difficoltà di un accordo, è probabile che vedremo diffondersi leggi nazionali, che rischiano insieme, non armonizzate, di distorcere il mercato digitale”, aggiunge.

“Si notano le sempre più forti tendenze centripete degli Stati Membri, decisi a percorrere l’incerta strada di soluzioni a livello nazionale”, concorda Filippo Pierozzi, esperto di policy digitali a Bruxelles. “A Gentiloni il difficile compito di conciliare la modernizzazione di un sistema di tassazione equo ed efficiente che sia al passo con la trasformazione digitale dell’economia con le priorità degli Stati Membri – senza mai trascurare le reazioni, in atto e in potenza, provenienti da Washington e Pechino”, aggiunge.

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