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Le cose su cui PD e M5S non sono d’accordo – Il Post

Ago 23, 2019

Da ieri Partito Democratico e Movimento 5 Stelle stanno più o meno ufficialmente trattando per formare una nuova maggioranza parlamentare e un nuovo governo, e in molti si stanno concentrando sui temi su cui già condividono alcune posizioni. Alcuni li ha indicati lo stesso segretario del PD Nicola Zingaretti, nelle varie condizioni che ha posto per avviare una trattativa, e anche il capo politico del M5S Luigi Di Maio ha diffuso una lista di dieci priorità non apertamente ostili a quelle del PD: i giornali citano soprattutto il welfare – il “reddito di inclusione” approvato dall’ultimo governo del PD e il “reddito di cittadinanza” sono diversi, ma non così diversi – e la tutela dell’ambiente.

Eppure ci sono una serie di temi su cui i due partiti si sono divisi anche molto aspramente, negli ultimi anni, e su cui si dovrebbero concentrare i negoziati per stilare un eventuale programma di governo. Bisogna tenere conto che le identità dei due partiti sono piuttosto fragili: il PD è uscito frastornato dagli ultimi anni di governo e ha appena cambiato il proprio segretario, che però non ha un grande controllo sui gruppi parlamentari; il M5S ha conservato pochissime delle battaglie e degli approcci con cui era nato, ormai dieci anni fa, e non è chiaro quanto intenda allontanarsi da questo complicato anno che ha trascorso al governo. Insomma: questi sono i temi su cui si sono scontrati più duramente negli ultimi anni, ma non è escluso che nell’ambito di un negoziato si possa trovare un compromesso.

Politica estera

Mentre il PD è convintamente atlantista, tranne alcune frange ininfluenti, il Movimento 5 Stelle è storicamente scettico sull’appartenenza dell’Italia alle organizzazioni internazionali occidentali come la NATO e l’Unione Europea. Negli ultimi anni ha stretto rapporti amichevoli col partito del presidente russo Vladimir Putin, ben prima che lo facesse la Lega, vede di buon occhio una relazione sempre più stretta con la Cina – il controverso memorandum di intesa firmato dal governo Conte era farina del sacco del ministero dello Sviluppo economico, guidato da Luigi Di Maio – e nell’apice della crisi in Venezuela promosse il veto del governo italiano e una dichiarazione congiunta dell’Unione Europea a sostegno del leader dell’opposizione al regime di Maduro, Juan Guaidó.

Un discorso a parte va fatto sull’Europa. Il Partito Democratico fa parte della maggioranza uscente che ha gestito la legislatura in Parlamento Europeo e nel Consiglio Europeo, mentre il Movimento 5 Stelle in passato ha avuto posizioni apertamente euroscettiche – nel 2015 raccolse le firme per un proporre un referendum sull’euro – e al Parlamento Europeo al momento è nel gruppo dei non-iscritti, dopo aver passato una legislatura assieme a vari partiti di estrema destra. Non a caso, la prima condizione richiesta da Zingaretti per avviare i negoziati col M5S è «una leale appartenenza all’Unione Europea». Sia il PD che il M5S però hanno votato la nomina di Ursula von der Leyen a presidente della nuova Commissione europea.

Immigrazione

Durante il governo Conte il Movimento 5 Stelle ha appoggiato e promosso i due cosiddetti “decreti sicurezza” proposti dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che secondo gli esperti di immigrazione hanno peggiorato notevolmente il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e del soccorso in mare (oltre a essere potenzialmente incostituzionali). Più in generale, da tempo il Movimento 5 Stelle si è molto spostato a destra su questo tema: Di Maio fu il primo politico italiano a definire “taxi per migranti” le ong che soccorrono le persone nel Mediterraneo, e ancora pochi giorni fa il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha accusato di «malafede» l’ong spagnola Open Arms per aver rifiutato di sbarcare in Spagna circa 150 migranti soccorsi al largo della Libia (poi fatti sbarcare a Lampedusa per decisione del procuratore di Agrigento).

Anche il PD si era spostato a destra sull’immigrazione, soprattutto durante il governo Gentiloni e la gestione del ministro dell’Interno Marco Minniti, sebbene senza mai arrivare alle decisioni e ai toni usati dal governo Conte. Negli ultimi tempi, però, il PD sembra avere rinnegato in parte quell’approccio: poche settimane dopo l’elezione di Zingaretti, il PD non ha rinnovato il sostegno alla missione di assistenza alla cosiddetta Guardia Costiera libica, e diversi parlamentari del PD hanno fatto visita e stretto contatti con le ong che lavorano nel Mediterraneo (visite definite da Di Maio uno «show sulla pelle dei migranti»).

Economia e lavoro

Una delle leggi del governo Renzi più criticate dal M5S fu il cosiddetto Jobs Act, che fra le altre cose modificò pesantemente l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e introdusse il contratto a tutele crescenti. Il M5S per anni fece campagna per ripristinare la versione originale dell’articolo 18, senza però fare nulla una volta al governo: e anzi il cosiddetto “decreto dignità” promosso da Di Maio, che riduce la possibilità di utilizzare contratti a tempo determinato, è stato molto criticato dal Partito Democratico, che nel frattempo si è spostato a sinistra e ha accusato il governo di scarsa attenzione nei confronti dei contratti più precari.

Il Partito Democratico è invece più a destra del M5S sia sulle nazionalizzazioni delle aziende strategiche per gli interessi nazionali – oltre ad Autostrade e Alitalia il M5S ha ipotizzato di comprare persino Tim – sia sugli accordi commerciali internazionali: più di recente il PD è stato a favore del CETA, l’enorme trattato commerciale fra Canada e Unione Europea, mentre il M5S finora è riuscito a impedire che venisse ratificato dal Parlamento italiano.

Taglio dei parlamentari (e “democrazia diretta”)

È la riforma finita al centro del dibattito politico di questi giorni, soprattutto per volere del M5S: se approvata taglierebbe in tutto 345 parlamentari, ma le manca l’ultimo passaggio alla Camera. Il M5S ha molto insistito sulla sua approvazione e potrebbe continuare a farlo anche negli eventuali negoziati ufficiali per formare una nuova maggioranza. Finora però il PD è stato fra i pochi partiti a votare contro la riforma, che secondo diversi esponenti “indebolirebbe” in maniera eccessiva il Parlamento peraltro senza ridisegnare i suoi poteri e le sue responsabilità, quindi limitandosi a ridurre la rappresentanza (anche la riforma proposta dal governo di centrosinistra nel 2016 riduceva il numero dei parlamentari, ma nell’ambito di una più ampia riforma del bicameralismo perfetto e delle funzioni delle camere).

Nei giorni scorsi Matteo Renzi, uno dei dirigenti PD più attivi nel cercare l’accordo con il Movimento, ha detto però di non avere pregiudizi nei confronti del taglio del numero dei parlamentari. I giornali scrivono comunque che il PD potrebbe chiedere una riforma diversa e complessiva, obbligando la legge costituzionale a ricominciare il suo percorso dall’inizio. PD e Movimento 5 Stelle avevano provato a lavorare assieme anche all’altra proposta di riforma delle istituzioni avanzata dal M5S, quella sull’introduzione del referendum propositivo: alcuni emendamenti presentati da parlamentari del PD erano stati effettivamente accolti, ma poi la riforma si era arenata.

Grandi opere

Ora che il M5S ha perso la battaglia politica sulla TAV fra Torino e Lione, sta provando a insistere sull’opposizione ad altre grandi opere infrastrutturali, un tema caro soprattutto agli attivisti e sostenitori storici del partito. Proprio ieri il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato da Danilo Toninelli ha pubblicato l’analisi sui costi e sui benefici della Gronda, il progetto per un’autostrada che avrebbe lo scopo di rendere più agevole il traffico autostradale che da nord e da ovest della città di Genova si muove verso est. L’analisi dà un giudizio negativo sull’opera, di fatto condividendo la tesi del Movimento 5 Stelle, da sempre una delle forze più ostili alla Gronda (ieri Toninelli ha annunciato che «la Gronda si farà», ma non è chiaro né come né quando).

Nelle ultime ore è inoltre circolato un documento, messo insieme dalla Lega, che elenca diverse altre opere “bloccate” da Toninelli e dal M5S negli ultimi mesi: dal porto commerciale di Pescara alla soluzione per il transito delle navi da crociera a Venezia, passando proprio per la Gronda di Genova e l’autostrada Asti-Cuneo. Sul tema delle infrastrutture il PD sembra più in sintonia col centrodestra, con cui per esempio a inizio agosto ha votato le mozioni parlamentari a favore della TAV.

Sanità

Ancora oggi il M5S si dice contrario alla legge Lorenzin, approvata dai governi di centrosinistra per introdurre l’obbligo di effettuare dieci vaccinazioni per bambini e ragazzi entro i 16 anni. La legge che ha introdotto le vaccinazioni obbligatorie è ancora in vigore e il governo Conte non è riuscito a modificarla, nonostante abbia già fatto diversi tentativi. In un’intervista data qualche mese fa a Repubblica, la ministra della Salute Giulia Grillo (espressa dal M5S) aveva confermato di voler rimuovere gli obblighi previsti dalla Lorenzin ad eccezione del vaccino per il morbillo, ma da allora non sono stati fatti altri passi in avanti.

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