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Affido, residenza o famiglia per 26mila bambini

Ago 1, 2019

In realtà l’affido – in base alla legge 184 del 1983, modificata dalla legge 149 del 2001 – è una soluzione estrema, a cui la giustizia minorile si vede costretta quando la vita e l’educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie d’origine. Non bastano motivi economici per decidere l’affido: in caso di bisogno si deve intervenire con sostegni che consentano ai genitori disagiati di occuparsi comunque dei figli.

Quali sono, allora, le ragioni per cui viene disposto l’affido? La legge 184/83 non fa un elenco. A fornire dei criteri è l’articolo 403 del Codice civile, che consente l’allontanamento dei minori dalla famiglia da parte della «pubblica autorità» quando sono in stato di abbandono morale o materiale, vivono «in locali insalubri o pericolosi» o sono allevati da persone incapaci di provvedere alla loro educazione.

La procedura

L’affido è deciso dai servizi sociali se c’è il consenso dei genitori (o di chi esercita la potestà o del tutore), ma deve essere il giudice tutelare a renderlo esecutivo. Se invece genitori o tutori non sono d’accordo, a decidere è il tribunale per i minorenni. Mentre nella procedura urgente dell’articolo 403 del Codice civile, i servizi sociali decidono da soli e poi avvisano il tribunale per i minorenni, ma a volte a distanza di mesi.

Bambini e ragazzi possono essere affidati a una famiglia, formata da una coppia sposata, convivente o da una persona singola (ma sono preferite le coppie stabili con figli minori), o a una struttura. Nei casi più gravi si ricorre all’affido “professionale”, in cui i servizi sociali incaricano una cooperativa di selezionare una famiglia affidataria con cui stipulare un contratto e prevedendo un contributo: il genitore affidatario, individuato come “referente professionale” deve avere sufficiente tempo disponibile e seguire un percorso di formazione. L’affido è una misura “a tempo”, pensata per tamponare una difficoltà momentanea: salvo proroghe nell’interesse del minore, non può superare i 24 mesi, ma nella pratica il 60% degli affidi in famiglia dura più di due anni. E l’obiettivo del rientro nella famiglia d’origine è centrato solo nel 40% dei casi.

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