SANITA’ alla sbarra. “Ogni anno in Italia si aprono 35.600 nuove azioni legali, mentre ne giacciono 300 mila nei tribunali contro medici e strutture sanitarie pubbliche”. Cause che nella maggior parte dei casi si traducono in un nulla di fatto, considerando che “il 95% nel penale e il 70% nel civile si concludono con il proscioglimento”. Lancia un grido d’allarme sul tema Pierluigi Marini, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani, alla vigilia del 38° Congresso nazionale Acoi in programma a Matera dal 9 al 12 giugno. A preoccupare sono anche i costi del fenomeno per lo Stato, legati al “buco nero” della medicina difensiva, che arrivano a sfiorare i 12 miliardi di euro all’anno (11,87 mld nel 2018): 1 miliardo al mese, 1.543 euro a persona l’anno.
Secondo un report messo a punto dall’associazione, “i contenziosi sono in buona parte attivati nelle regioni del Sud e nelle Isole (44,5%), mentre al Nord siamo al 32,2% e nelle regioni del Centro al 23%. L’area professionale a maggior rischio è la chirurgia con il 45,1% dei sinistri. L’errore chirurgico (presunto tale) è l’evento che viene denunciato con maggiore frequenza (34,9%), seguito da errori diagnostici (18,5%) e terapeutici (9,4%)”.
“Se si raffrontano il procedimento penale e quello civile – continua il rapporto – si nota un andamento divergente e una più lenta risoluzione nel civile. Entro il primo anno si chiudono il 9,4% dei sinistri nel penale e il 25,9% nel civile. L’andamento più rapido nel penale, e l’esiguità o totale mancanza di esborsi da parte del paziente per avviarlo, fa sì che il ricorso al processo penale sia ancora prescelto. In teoria il paziente potrebbe limitarsi a presentare una denuncia-querela e attendere che le indagini siano svolte dalla procura, poiché il pm nominerà un consulente, sequestrerà le cartelle cliniche, sentirà le persone informate dei fatti” e così via. “Inoltre, poiché la responsabilità penale è personale, la pressione a carico del chirurgo che si vede esposto in prima persona spesso favorisce l’attivazione dell’assicurazione e trattative stragiudiziali”.
“Il numero di processi civili appare maggiore (17,7%) – analizza l’Acoi – perché include le azioni contro le strutture. Preoccupante è la richiesta di risarcimento danni in via stragiudiziale (74,8%), che evidenzia la forte esigenza di assistere i chirurghi in questa fase, con una consulenza preventiva e precoci e fondamentali step difensivi che dissuadano il paziente dall’intraprendere la via giudiziaria e l’azienda da erogare risarcimenti in via transattiva con successive azioni di rivalsa verso il chirurgo, esponendolo al processo alla Corte dei conti”.
Infine il capitolo costi, sintetizzato dai chirurghi Acoi in “due numeri che rappresentano il buco nero della sanità italiana che va sotto il nome di medicina difensiva: 1 miliardo di euro al mese, 1.543 euro a persona l’anno”. Ammonta infatti a “12 miliardi l’anno, per l’esattezza 11,87 mld soltanto nel 2018, il costo – che non possiamo in alcun modo chiamare investimento – di un fenomeno che ha un trend in crescita e che è la diretta conseguenza dell’aggressività del contenzioso medico legale nel nostro Paese”.
Per medicina difensiva si intende “il totale delle prestazioni sanitarie che hanno, prima ancora che curare, lo scopo di attenuare il rischio di subire una causa”. E producono “un impatto enorme, straordinario – ammonisce l’Associazione – Basti pensare che il costo pro capite supera i 165 euro, su un totale di spesa sanitaria pro capite di 1.847 euro. Gli operatori sanitari sono spinti alla medicina difensiva dalla legislazione non favorevole (risponde così il 31% dei medici), seguita dal rischio di essere citato in giudizio (28% delle risposte)”.