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Riace, i giudici: “L’esilio continui, Lucano può tornare a commettere reati”

Mag 17, 2019

REGGIO CALABRIA. Non è più sindaco da quasi otto mesi, le indagini a suo carico sono chiuse, è stato rinviato a giudizio e a breve inizierà il processo, ma per i giudici di Reggio Calabria “è attuale e concreto il pericolo che Domenico Lucano possa ripetere reati della stessa specie di quelli già compiuti”. Motivo? Perché si è candidato al consiglio comunale. E per i giudici che sia “sindaco o comunque componente a qualsiasi titolo del civico consesso” è pericoloso, alla luce dell’asserita “protervia nel piegare le sue funzioni al perseguimento di interessi tutt’altro che pubblici e nella sua evidente capacità di dominare e farla da padrone all’interno dell’ente pubblico”.

Traduzione, Lucano a Riace non ci deve stare perché che sia sindaco o meno, la sua influenza pesa. E a detta dei giudici sarebbe addirittura pericolosa per l’intera amministrazione. Per altro, sostengono, Maria Spanò, aspirante sindaco della lista in cui Lucano è candidato, non sarebbe che una sua marionetta.

Questo emerge dalla sentenza con cui i giudici del Riesame di Reggio Calabria hanno motivato il prolungamento dell’esilio di Mimmo Lucano, ignorando le chiare indicazioni date al riguardo dalla Cassazione.

Meno di un mese fa, la Suprema Corte aveva ordinato loro di riesaminare il caso, demolendo quanto meno una delle due contestazioni a carico del sindaco sospeso, accusato di irregolarità nella gestione della differenziata e di aver aiutato la compagna dell’epoca nel fallito tentativo di farsi raggiungere in Italia dal fratello. Per gli ermellini, l’affidamento diretto del servizio a due cooperative sociali era perfettamente lecito e regolare, e l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina era da valutare «alla luce della relazione affettiva fra i due». Indicazioni completamente ignorate da Reggio, che non solo ha continuato a ritenere illegittima la procedura, ma dipinge il sindaco sospeso come una sorta di padre padrone dell’amministrazione, che “si muove ed agisce nel Comune di Riace con disinvoltura e abilità sorprendenti, raggiungendo scopi che persegue in spregio assoluto della legge”.

Per contestare la Cassazione, che aveva sottolineato come l’affidamento della differenziata alle cooperative fosse una decisione collegiale, sostenuta da pareri tecnici e contabili dei funzionari, il Riesame sostiene che Lucano si sarebbe “impegnato in prima persona per costruire una vera e propria tela di ragno tanto da trarre in inganno funzionari tecnici ed organi collegiali dell’Ente pubblico”. E sulla seconda accusa, insistono. Non si è trattato di un singolo caso, sostengono solo sulla base di una serie di conversazioni intercettate, è un metodo. “Le modalità con le quali Lucano ha proceduto alla falsificazione delle carte d’identità sono allarmanti perché espressioni del potere assoluto dallo stesso esercitato nella sua veste di sindaco del Comune di Riace e della sua straordinaria capacità di fare ed ottenere qualsiasi cosa decidesse di fare, imponendo la sua capacità a tecnici e funzionari”.

Tutti reati che avrebbe commesso in qualità di amministratore, carica che da otto mesi non riveste e per la quale non si può ricandidare. Ma poco importa per il Riesame, perché candidato “nella lista guidata da Maria Spanò, già assessore del Comune” e sebbene non sia né indagata, né imputata, per i giudici “longa manus di Lucano all’epoca di concretizzazione delle condotte delittuose”. Un ragionamento pericoloso – commentano gli addetti ai lavori – che sembra quasi mettere in discussione la possibilità di Lucano di godere dei propri diritti politici. Ne sembra cosciente anche il Riesame, che per questo pare quasi mettere le mani avanti.

“Quel che preoccupa – si legge nelle motivazioni – non è la volontà di Lucano di far politica, sostenere una lista elettorale, candidarsi come consigliere comunale nel pieno e sacrosanto godimento ed esercizio dei diritti politici”, ma che il sindaco sospeso “avesse assunto la veste di vero e proprio dominatore all’interno del Comune”. Per i giudici, era un vero e proprio burattinaio “che muoveva le fila di tutto e consumava condotte illecite, forte della sua funzione e del suo ruolo, da lui intesi in modo distorto, nella convinzione assoluta di potersi porre sopra la legge e di poterla violare impunemente, circondandosi di persone supine ai suoi comandi ed ai suoi dettami ed eliminando immediatamente chi non gli obbediva”. Un metodo che per i giudici sarebbe stato utilizzato per un “progetto politico”, che Lucano “senza soluzione di continuità persegue con la Spanò candidata a sindaco del Comune di Riace”.

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