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Che cos’è il Salva Roma. Ecco su cosa litigano Lega e Movimento 5 Stelle

Apr 23, 2019

MILANO – Lega e Movimento 5 Stelle si fronteggiano su uno degli articoli del decreto crescita che oggi arriverà in consiglio dei ministri. Si tratta della cosiddetta norma “Salva Roma”. La Lega accusa il proprio alleato di volere favorire la Capitale a scapito delle altre amministrazioni e per questo chiede misure che possano essere estese anche ad altri comuni in difficoltà. Ecco cosa prevede

È vero che si “salva” il bilancio di Roma con i soldi di tutti i cittadini italiani?

Sì, ma questo accade già dal 2010, quando il governo Berlusconi ha istituito la gestione commissariale per la gestione del debito. Allora venne tracciata una sorta di linea immaginaria: il debito contratto dalla città fino al 2008 sarebbe stato gestito (e quindi rimborsato) dal commissario, quello dal 2008 in poi sarebbe stato invece affidato alla gestione ordinaria, cioè al bilancio della città di Roma. Alla gestione commissariale lo Stato dal 2010 in poi ha versato 300 milioni all’anno, integrati da altri 200 milioni assicurati da una extra tassa per i passeggeri transitati dagli aeroporti romani e da una integrazione all’addizionale comunale Irpef, che oggi è la più alta d’Italia.

Quanto vale il debito di Roma?

La quota più rilevante del debito di Roma è riferita alla gestione commissariale ed ammonta a 11,1 miliardi, quella in capo al Comune ammonta a poco più di un miliardo.

La norma “Salva Roma” aumenta i soldi dei contribuenti nazionali destinati alla capitale?

No, dal punto di vista delle spese per il resto del Paese l’operazione è praticamente a costo zero. La norma prevede che una delle quote più rilevanti del debito finanziario passi dalla gestione commissariale allo Stato. Nel dettaglio si tratta di un bond (un prestito) emesso in tre fasi dall’ex sindaco Walter Veltroni del valore di 1,4 miliardi di euro, che prevede il rimborso nel 2048, con un tasso di interesse fisso annuo del 5,345%. Per questo motivo la gestione commissariale deve versare ai possessori del bond circa 75 milioni di interesse l’anno e quindi l’esborso da qui al 2048 ammonta a 1,4 milioni di euro a scadenza più altri 2,2 miliardi di interessi. Con la norma il Tesoro diventa il nuovo titolare dell’obbligazione, di fatto facendosi carico di rimborsare il prestito contratto da Roma e i relativi interessi.

Perché se il prestito passa al Tesoro non è un costo aggiuntivo per le casse pubbliche?

Perché lo Stato già paga ogni anno 300 milioni al commissario. Così ridurrebbe il proprio contributo per un importo pari agli interessi da corrispondere ogni anno e al capitale da rimborsare alla scadenza. Per i detentori del bond cambierebbe soltanto il soggetto incaricato di restituire i soldi e pagare gli interessi. Da parte sua il Tesoro potrà, se vuole, cercare di rinegoziare con i propri creditori interessi più vantaggiosi e senz’altro – per farlo – sarà una controparte più forte rispetto alla gestione commissariale.

E il resto del debito?

La norma prevede che entro il 2021 venga chiusa la gestione commissariale e tutti i debiti, alleggeriti dal prestito di cui sopra, tornino in capo alla città. Tra questi ci sono 3 miliardi di debiti commerciali di cui una quota rilevante si riferisce a debiti per i quali è persino diffcile rintracciare i creditori. L’ultima relazione in Parlamento del commissario fornisce qualche cifra: su 1,47 miliardi di debiti, per 849 milioni “non è stato possibile acquisire documentazione idonea ad attestarne la loro effettiva sussistenza”. Altre poste riguardano contenziosi o espropri vecchi di 40 o 50 anni, che difficilmente potrebbero tradursi in esborsi per le casse comunali. La stessa relazione riferisce che, su questo fronte, ci sono 975 milioni “rispetto al quale non è stato fornito alcun tipo di documentazione”.

Se l’operazione è a costo zero perché il Comune di Roma spinge per realizzarla?

Perché la gestione commissariale senza un intervento si sarebbe trovata a gestire una crisi di liquidità dovuta al maggior peso delle uscite rispetto alle entrate, come aveva messo in guardia già l’ex commissario Silvia Scozzese in audizione in Parlamento nel 2016. La relazione del commissario documenta ad esempio che una quota delle risorse versate da Tesoro e Comune è stata già anticipata per fronteggiare altre spese: “il fondo di 500 milioni annui – si legge nella relazione – si riduce pertanto a 319,8 milioni come conseguenza di quell’impegno, che assorbe una quota di contibuto pari a 180,2 milioni annui fino all’anno 2040”.

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