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Titoli di Stato, i tre paradossi che fanno comodo al Tesoro. Ma l’Italia pagherà un conto salato

Mar 2, 2019

Anche dopo la tregua siglata con Bruxelles, il “rischio Italia” è il fantasma che viene evocato con più regolarità nel mondo della finanza. Del resto, gli ingredienti della miscela esplosiva sono sempre lì, pronti ad innescarsi a vicenda: se i mercati punissero i titoli di Stato italiani, le banche italiane farebbero crack, in una spirale autodistruttiva. Ma, dopo la tempesta dell’autunno, è arrivata la bonaccia dell’inverno: febbraio era un mese temuto, perché si accumulavano le emissioni da collocare sul mercato. Sono anche le prime settimane, in cui si sente l’assenza di un compratore sicuro, costante e massiccio: la Banca centrale europea di Draghi. Invece, gli investitori si sono affollati alle aste e il Tesoro si è rifinanziato sempre problemi. Durerà? La situazione è fragile e paradossale. Il dato negativo, infatti, è che la bonaccia attuale si regge su due paradossi. Il dato positivo è che i due paradossi stanno in piedi, grazie ad una scommessa che è, a sua volta, un terzo paradosso, ma che potrebbe anche – salvo cataclismi politici – riuscire, almeno per un po’.

Il primo paradosso è che l’appetito degli investitori per i titoli italiani si basa sul fatto – per noi negativo – che i rendimenti offerti sono alti rispetto a quanto offre altrove il mercato e ai rendimenti di un anno fa: Bankitalia ha già calcolato che, entro il 2020, avremo speso 9 miliardi di euro in più in interessi, rispetto a quanto avremmo pagato se i rendimenti fossero rimasti quelli di inizio 2018. La tranquillità che ci stiamo comprando oggi, ci costerà cara in futuro. Il secondo paradosso è che, a comprare titoli in questi mesi sono, in prima fila, proprio le banche. Invece di alleggerire i propri bilanci, li stanno appesantendo di titoli, i cui prezzi potrebbero facilmente crollare. Dallo scorso aprile, hanno messo in cassaforte 45 miliardi di euro in Btp, 11 miliardi solo questo gennaio. C’è chi compra i titoli, insomma, ma sono le mani meno sicure. Il primo e il secondo paradosso sono resi possibili dal terzo e cioè che l’economia europea va male: questo rende più probabile la recessione, ma convince la Bce a tenere bassi i tassi d’interesse e rende più appetibili e facilmente comprabili i titoli italiani. La scommessa che riassume i tre paradossi e su cui si regge la tregua attuale per il Tesoro è che, contrariamente alle attese di qualche tempo fa, la banca centrale europea lascerà le cose come stanno ora.

Il rumore più assordante, in questo momento, a Francoforte, è, infatti, il silenzio dei falchi. Dopo aver battuto per mesi sulla necessità di riportare al più presto la politica monetaria alla normalità, rialzando i tassi di interesse, né il tedesco Jens Weidmann, né l’olandese Klaas Knot sembrano intenzionati a continuare la campagna. Nessuno si aspetta che alla riunione del vertice Bc di giovedì prossimo, Weidmann o Knot ricordino agli altri l’idea di rialzare i tassi di interesse a partire da questa estate. Knot ha ufficialmente detto che ora bisogna “aspettare e vedere”. Weidmann si è limitato a notare che le prospettive per l’economia tedesca 2019 sono poco incoraggianti. Il risultato è che, ora, i mercati sono convinti che i tassi d’interesse in Europa non riprenderanno a salire prima di metà 2020. E il 2,7 per cento offerto, oggi, dai Btp decennali italiani fa gola.

I maligni sostengono che la moderazione di Weidmann e Knot è figlia dell’ambizione di succedere – questo autunno – a Draghi e questo comporta un riavvicinamento verso le colombe. Più realisticamente, Weidmann e Knot, che rappresentano due paesi votati alle esportazioni, avvertono il peso delle incertezze attuali e non temono più un surriscaldamento dell’economia. Già giovedì prossimo, i due potrebbero dare via libera ad un’altra misura caldeggiata dalle colombe: il rinnovo del programma di prestiti a basso costo della Bce. Ci sono 700 miliardi di euro che le banche dovrebbero restituire a Francoforte entro l’anno prossimo. Prolungare il prestito sarebbe una boccata d’ossigeno. In primo luogo per le banche italiane, che avrebbero altre munizioni da spendere sul mercato dei Btp. Nella speranza che il castello dei paradossi non crolli tutto insieme.

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