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Il G20 in Cina. La difficile ricerca della crescita tra Brexit e instabilità

Lug 23, 2016

MILANO – Il governatore della Bce, Mario Draghi, parlando dopo l’ultima riunione dell’Eurotower ha chiesto al G20 finanziario che si riunisce in Cina di lanciare messaggi di rassicurazione in una fase delicata dell’economia mondiale. Eppure, sul tavolo dei leader finanziari delle potenze mondiali riuniti per la due giorni di Chengdu, capoluogo dello Sichuan, vanno tanti elementi di preoccupazione. A cominciare ovviamente da Brexit.

Dalla città asiatica il ministro Pier Carlo Padoan, a colloquio con Reuters, ha detto di augurarsi che il calendario e i dettagli dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione siano chiari nel più reve tempo possibile. “Brexit ha già avuto un impatto. Tutte le organizzazioni internazionali e i governi stanno rivedendo al ribasso le loro previsioni a causa di questa incertezza. Per questo è già un problema. Spero che si chiarisca presto la tempistica del divorzio: prima è, meglio è, in modo da riportare equilibrio”.

Anche il Fondo monetario internazionale, che ha recentemente tagliato le sue stime, è tornato ad ammonire: “La crescita globale rimane debole – ha scritto in una nota per il summit – e i rischi sono diventati più prominenti, indicando l’importanza essenziale di politiche forti”. “Se continueranno le incertezze politiche ed economiche dopo il voto sulla Brexit”, la crescita globale potrebbe risentire ulteriormente del nuovo quadro di incertezza che si è creato. In linea con quanto rilevato da Padoan, il Fondo annota che la mancanza di chiarezza nei rapporti tra Gran Bretagna e Unione Europea “aggiungerà incertezze” in uno scenario, in cui anche la trasformazione del modello di sviluppo della Cina, “se non gestito bene”, potrebbe contribuire ad “aumentare la volatilità” sui mercati. Ai grandi Paesi, a cominciare da Germania e Stati Uniti, l’organizzazione guidata da Christine Lagarde chiede maggiori risorse agli investimenti in infrastrutture, da cui fare ripartire la crescita globale. “Le riforme che aumentano gli investimenti in infrastrutture aiuteranno la capacità produttiva, la domanda a breve termine e serviranno a catalizzare gli investimenti privati”.

Nella bozza di documento preparato dai ministri finanziari europei per il summit si prende atto del rischio al ribasso sull’economia globale, ma si riconosce che “i nostri fondamentali economici sono solidi”. Da parte loro, i ministri cercano di mostrarsi reattivi: “Siamo pronti ad agire per mantenere la stabilità finanziaria e supportare la crescita”. Da parte europea tornerà anche la richiesta agli altri membri del G20 di metter in atto la strategia discussa a febbraio per sostenere la crescita: politiche monetarie, fiscali e riforme strutturali attivate insieme per stimolare la fiducia e la crescita senza dipendere in toto dagli stimoli delle Banche centrali. Proprio in considerazione dell’annotazione Ocse di febbraio, per la quale il ritmo delle riforme ha rallentato negli ultimi tempi, è probabile che arrivi un richiamo a riprendere sulla strada degli interventi di governo. E in effetti nella bozza di documento generale si riprende la “determinazione a usare tutti gli strumenti, individuali e collettivi, per raggiungere l’obiettivo di una crescita forte, sostenibile ed equilibrata” e si enfatizza in particolare il ruolo delle politiche macroeconomiche nel completare gli sforzi di riforma chiesti a ciascun Paese.

Certamente l’incertezza per la Brexit non è l’unico elemento di paura, a maggior ragione dopo i fatti di Monaco che seguono a stretto giro la strage di Nizza e il caos in Turchia. Proprio dal primo primo appuntamento del G20 di Chengdu, dedicato alla tassazione, il vice premier Mehmet Simsek ha rassicurato: “Da subito voglio dire che, pur con quanto accaduto una settimana fa in Turchia, continueremo ad aderire con convinzione ai principi democratici e ad applicare la legge del diritto. Non molto è veramente cambiato. So che ci sono alcuni punti interrogativi”.

Sullo sfondo, restano i temi che avevano messo pressione su Pechino cinque mesi fa, cioè l’economia di casa in affanno e i timori di svalutazione dello yuan. Ma questa volta i toni sembrano smorzati sul punto, con le fluttuazioni e il calo della divisa cinese accolti con maggiore accondiscendenza da parte delle altre potenze. Diverso il discorso per quanto riguarda lo spettro del protezionismo, che è entrato prepotentemente nell’agenda delle presidenziali Usa per la retorica del candidato repubblicano Donald Trump, che sarà sul tavolo delle discussioni in una fase di forte contrazione del commercio mondiale.

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