MILANO – A dieci anni dal crac di Lehman Brothers, le banche etiche – quelle che si caratterizzano per concedere presti “all’economia reale” e farsi guidare nei criteri d’investimento dalla sostenibilità ambientale e sociale – rivendicano la vittoria nella maratona del rendimento rispetto a quelle sistemiche.
Lo fanno portando in sede europea, il prossimo 6 febbraio, un documento sulla finanza sostenibile in Europa che analizza le performance delle 23 banche etiche presenti nel Vecchio continente – quelle che aderiscono alla Federazione delle banche etiche e alternative e alla Global Alliance – in confronto con le 15 banche sistemiche dell’Eba. Un report, firmato dalla Fondazione culturale del gruppo Banca Etica e messo a disposizione del Parlamento Ue, a partire dal quale si chiede alla Commissione uno scatto normativo per riconoscere la differenza strutturale di questi istituti. La madre di tutte le richieste è una definizione universale per gli “investimenti responsabili”, che non si limiti ai criteri ambientali – come sembra volersi orientare Bruxelles – ma guardi anche agli aspetti sociali.
I numeri sciorinati, a sostegno dell’unicità delle banche etiche, partono dall’analisi dei rendimenti offerti in termini di return on equity. “Negli ultimi dieci anni”, dice il rapporto guardando al periodo 2007-2017, “le banche etiche e sostenibili hanno reso oltre il triplo rispetto alle banche tradizionali, con una redditività media annua del
3,98% contro l’1,23%”. La Fondazione usa la metafora podistica per spiegare cosa è accaduto: “Le banche sistemiche hanno vinto i 100 metri”, avendo goduto degli effetti della speculazione finanziaria sulla moltiplicazione dei loro profitti fino al 2006/2007, “ma le banche etiche continuano a vincere la maratona”.
Non è questa l’unica stelletta che le banche etiche si appuntano al petto. Sostenibilità della crescita ed erogazioni all’economia reale sono gli altri due aspetti indagati. Sul primo punto, il rapporto nota come gli attivi di questa famiglia di istituti siano cresciuti intorno al 10% annuo nel periodo analizzato, mentre la crisi ha portato a un contraccolpo medio annuo del -1% sugli operatori sistemici. Il documento vuole mostrare il solco esistente anche per quanto riguarda la composizione del business, che è “tradizionale” nel caso delle banche etiche (raccogliere depositi e prestare a famiglie e imprese), mentre vive molto di investimenti in titoli e servizi finanziari nell’altro emisfero del credito. Infatti, si dice, nel 2017 l’erogazione di prestiti pesava per il 77% delle attività delle banche sostenibili, contro il 40,52% delle altre.
“Il rapporto mette in evidenza due modelli bancari molto diversi, mostrando che le banche etiche e sostenibili si comportino meglio sia dal punto di vista sociale e ambientale, sia dal punto di vista economico”, dice il presidente della Fondazione Finanza Etica, Andrea Baranes. “L’indicatore individuato mette in relazione i volumi di prestiti erogati a famiglie e imprese (la così detta economia reale) con i volumi di risparmio raccolto: ebbene questo indicatore è quasi il doppio per le banche etiche rispetto alle “too big to fail”, e sul lungo periodo anche la redditività appare migliore”, aggiunge.
Nel documento lo sguardo si posa poi su altri fenomeni che rispondono alla crescente fame di sostenibilità da parte degli investitori. Ne sono un esempio i fondi socialmente responsabili, che investono in azioni e obbligazioni di imprese quotate in borsa o in titoli di Stato, selezionandole in base una serie di criteri ambientali e sociali. In Europa, dal 2015 al 2017, i patrimoni investiti in fondi etici “best in class” (quelli che adottano i criteri più rigorosi) sono saliti in media del 9% all’anno, sfiorando i 600 miliardi di euro.
Se cresce anche l’azionariato attivo, un aspetto degli investimenti responsabili che sta diventando sempre più centrale riguarda l’uscita dagli investimenti nel settore fossile, responsabile del gas serra che accelera i cambiamenti climatici. “Ormai sono oltre 1.000 a livello globale le banche, le fondazioni, gli ordini religiosi, le università, i comuni, le assicurazioni e i fondi pensione che si sono liberati, con varie modalità, dagli investimenti nel fossile, per un totale di quasi 7.200 miliardi di dollari”.
L’Italia non sfugge a questo trend d’innamoramento per gli investimenti sostenibili. Nel documento si cita ad esempio la crescita dei veicoli che escludono titoli controversi di emittenti attivi nei settori armi, tabacco e gioco d’azzardo: ammontava a 1.500 miliardi di euro il valore investito alla fine del 2017, quasi il triplo rispetto a due anni prima (570 miliardi).