Alla Maker Faire di Roma capita a volte di fare incontri insoliti. Quest’anno ad esempio è stato possibile assistere all’esibizione della One Love Machine Band, un gruppo musicale composto interamente da automi realizzati assemblando materiali industriali di scarto. Realizzato dal berlinese Kolja Kugler, il gruppo suona un genere a metà strada tra il gothic e l’industrial ed è composto dal batterista Boom Tschak, dal bassista Afreakin Bassplayer, dal performer Sir Elton Junk e dai Flute Flock, tre uccelli appollaiati su una struttura metallica.
Kolja del resto è attivo sin dagli anni ’90 con i performer punk-anarchici Mutoid Waste Company, collettivo fondato da Joe Rush che trasformava appunto rottami in sculture creative ed ha continuato dunque su questa strada, nell’intento di dimostrare che è possibile nobilitare ciò che la cultura del consumo scarta, facendone invece arte.
Vederli in azione è surreale. La sensazione che si ha infatti è quella di essere stati catapultati sul set di qualche film post-apocalittico della saga di Mad Max o in un libro cyberpunk di William Gibson. Del resto, in un mondo in cui l’arte si fa sempre più produzione seriale, come sottolineavano già i Kraftwerk cantando The Robots e atteggiandosi ad automi, fare il percorso inverso e recuperare materiali industriali reinventandoli in un’operazione creativa può essere un atto rivoluzionario, o quantomeno di ribellione.
Certo, i risultati artistici non sempre appaiono convincenti e la One Love Machine Band non vale magari i Killing Joke o i Nine Inch Nails, per restare su un genere musicale simile, ma Afreakin Bassplayer che fa headbanging fa sempre la sua figura e il pubblico sembra gradire.