ROMA – Sempre meno pane sulla tavola degli italiani. Uno degli alimenti più diffusi nella cucina del Bel Paese sta perdendo terreno, registrando, negli ultimi quindici anni, un consumo dimezzato. Addirittura, secondo i dati diffusi da Coldiretti, in occasione della Giornata mondiale del pane, che si celebra il 16 ottobre, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, si è arrivati al minimo storico: ogni persona consuma in media solo 85 grammi di pane al giorno.
“Il calo – sottolinea la Coldiretti – ha avuto una accelerazione negli ultimi anni con il consumo di pane che nel 2010 era di 120 grammi a testa al giorno, nel 2000 di 180 grammi, nel 1990 a 197 grammi e nel 1980 intorno agli 230 grammi che sono valori comunque molto lontani da quelli dell’Unità d’Italia nel 1861 in cui – ricorda la Coldiretti – si mangiavano ben 1,1 chili di pane a persona al giorno. Il pane – continua la Coldiretti – ha perso addirittura il privilegio della quotidianità con quasi la metà degli italiani (46%) che mangia il pane avanzato dal giorno prima, con una crescente, positiva tendenza a contenere gli sprechi, ma si registra anche un ritorno al passato con oltre 16 milioni gli italiani che, almeno qualche volta, preparano il pane in casa, secondo il rapporto Coldiretti/Censis”.
Sempre più bio e ‘senza’. Niente più ‘scarpetta’ o pane e cioccolata. O almeno, molto meno. E cambia anche domanda e offerta. A causa di un aumento di disturbi dell’alimentazione, infatti, i consumatori sono sempre più orientati a preferire prodotti biologici: “Sono nati nuovi prodotti senza glutine e a base di cereali alternativi al frumento (kamut, farro). Sempre più apprezzate – precisa la Coldiretti – sono dunque le varianti salutistiche e ad alto valore nutrizionale (a lunga lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0 come il pane realizzato direttamente dai produttori agricoli di Campagna amica anche con varietà di grano locale spesso di varietà salvate dall’estinzione. Ad essere preferito, anche se il consumo è in costante calo, continua ad essere il pane artigianale che rappresenta l’88% del mercato, ma – sottolinea la Coldiretti – cambia la pezzatura più gettonata che scende del 50% nei dieci anni, da 1,5 chili ad un solo chilo. La spesa familiare in Italia per pane, grissini e crackers – stima la Coldiretti – ammonta a 8 miliardi all’anno ma si registra un preoccupante crollo dei prezzi riconosciuti agli agricoltori che sono scesi ben al di sotto dei costi di produzione”.
Precipitano i prezzi. “Nel giro di un anno le quotazioni del grano duro hanno perso il 43% del valore mentre si registra un calo del 19% del prezzo del grano tenero. Un crack senza precedenti – denuncia Coldiretti – con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da ‘spacciare’ come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Il risultato è che oggi il grano duro – continua la Coldiretti – viene pagato anche 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo. Sono trecentomila i posti di lavoro messi a rischio da queste le speculazioni sui prezzi dei cereali ma in pericolo – precisa la Coldiretti – c’è anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione, ben il 15% dell’intero territorio nazionale”.
Specialità a rischio. Con il calo del prezzo del grano sono in pericolo anche i pani della tradizione popolare italiana tra i quali ben 5 sono stati addirittura riconosciuti dall’Unione Europea. La Coppia ferrarese, la pagnotta del Dittaino, il pane casareccio di Genzano, il pane di Altamura e il pane di Matera sono i prodotti registrati e tutelati a livello comunitario che hanno permesso all’Italia di conquistare il primato Europeo, ma – conclude la Coldiretti – sono centinaia le specialità tradizionali censite dalle diverse regioni. Si va dal ‘Pane cafone’ della Campania, così chiamato perché con questo termine erano chiamati i contadini al tempo dei Borboni, al ‘Pan rustegh’ della Lombardia che giustifica il vecchio detto ‘pane di villano, rustico ma sano’, dal ‘Pan ner’ della Val D’Aosta ottenuto da un impasto di segale e frumento, alla ‘Lingua di Suocera’ piemontese.