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Governale, il direttore della Dia: “Colletti bianchi si prestano al gioco affaristico della camorra”

Nov 27, 2018

Una vita a combattere la criminalità organizzata. Il numero uno della Direzione investigativa antimafia, Giuseppe Governale, sarà domani a Napoli, all’università Federico II, per un incontro con gli studenti organizzato dal rettore Gaetano Manfredi con il capocentro Dia di Napoli, Lucio Vasaturo. E parlerà della sua lunga esperienza, della lotta ai clan e dell’educazione alla legalità, tema a cui tiene particolarmente.

“Perché parte tutto da lì, inutile stare a girarci attorno, bisogna trasmettere i principi del vivere civile ai giovanissimi per sconfiggere la subcultura camorrista o mafiosa in cui si perdono tanti, troppi, giovanissmi. Certo, l’attività investigativa e gli arresti sono importanti, ma arrivano dopo. E io dico che bisogna insistere nel fare un lavoro a monte”, afferma a “Repubblica” Governale, generale dei carabinieri, natali palermitani e una felice e intensa carriera che lo ha portato sino alla attuale direzione della Dia nazionale.

Generale Governale, cosa la preoccupa di più della camorra attuale?

“Guardo con grande preoccupazione al fenomeno del gangsterismo giovanile e delle “stese”, come vengono chiamate nel gergo criminale, cioè quei colpi di pistola esplosi all’impazzata di giorno o di notte in rioni popolari della città senza un obiettivo preciso ma con lo scopo di manifestare una presenza e una sorta di leadership nella zona. Proiettili all’impazzata che possono colpire chiunque e in qualsiasi momento”.

Qual è la sua analisi?

“Siamo alle prove generali della camorra di domani. Con i boss storici in galera da tempo, giovanissimi si stanno freneticamente muovendo in questo scenario per affermarsi nel mondo criminale e poter essere quelli che prenderanno il comando. Esiste il rischio che le generazioni del futuro siano ingoiate dal crimine. Ed è per questo che vado personalmente nelle scuole e nei quartieri a rischio, qui come altrove, per diffondere il seme della legalità. Io so cosa significa vedere ragazzini perdersi così: sono cresciuto in un quartiere degradato di Palermo, Villaggio Santa Rosalia e quando ero un teen ager mi accorgevo dei miei coetanei che prendevano irrimediabilmente strade sbagliate”.

Un passo indietro: nel suo curriculum compare Napoli, generale.

“Sono stato a Napoli dal 1984 al 1987. Vivevo al rione Sanità, in piazzetta Stella, e il mio figlio maggiore è napoletano, essendo nato alla clinica Mediterranea. Questo per dire che questa città, dove ero comandante del nucleo operativo della compagnia di Napoli centro, ha rappresentato per me la più bella sede di servizio che abbia mai avuto. Napoli è unica ed è tante cose, custodisce un senso di umanità che non esito a definire unico al mondo e ancora si affollano nella mia mente tante vicende particolari. Ma è anche un luogo dove si applica tutto il codice penale: tutto succede a Napoli, dall’episodio più grave a quello che sembra trascurabile ma che in realtà non lo è perché viola comunque un principio di legalità e incide negativamente sulla vita della gente. Conoscevo la città a memoria, avevo scelto di girarla a piedi e avevo imparato a muovermi bene e a capire cosa accadeva in certe situazioni. Avevo 28 anni ed è stata una grande scuola che poi mi ha accompagnato nella carriera. Questo per dire che Napoli mi sta particolarmente a cuore. Proprio di recente sono stato in città, dove tornerò domani, dai ragazzi di don Luigi Merola perché, come ho detto, ritengo fondamenale l’incontro coi giovani”.

Spari all’impazzata e baby camorristi, come se ne esce?

“La presenza sul territorio delle divise è importante. Ma non possiamo militarizzare i quartieri. Ci vogliono indagini e attenzione massima e conto molto sulle iniziative di aggregazione attorno al tema della legalità che vedo continuano a fiorire a Napoli e dintorni. E sul ruolo della scuola, soprattutto nei primi anni di vita dei ragazzini. Il nozionismo è sì importante, ma ancora di più, nella vita moderna e in questi territori è fondamentale il senso di cittadinanza. Far crescere quest’ultimo è essenziale: cosa me ne faccio di uno studente che sa tutto di matematica ma non conosce i minimi rudimenti dell’educazione civica? Serve questo a Napoli, oltre alle investigazioni e ai blitz: fare squadra cercando di moltiplicare queste possibilità perché ci troviamo davanti a un conflitto asimmetrico, i camorristi hanno una subcultura e non riconoscono quella degli altri. Se prendiamo la fiction “Gomorra”, ad esempio, io come addetto ai lavori registro che i personaggi criminali sono credibili e l’assenza dello Stato nella fiction rappresenta esattamente il loro focus: la camorra non guarda allo Stato e alle sue regole, ma solo a se stessa e al “suo” tribunale criminale che spesso emette “sentenze” più tempestive e certe di quelle dello Stato”.

Torna sul tema, mai risolto, della certezza della pena.

“Rappresenta una difficoltà forte nel battere il fenomeno criminale: uno Stato troppo lento e intempestivo, ammalato di eccessiva burocrazia, crea sfiducia e non rende credibili né la certezza né la tempestività della pena”.

Pochi giorni fa il procuratore Giovanni Melillo è tornato sul tema della camorra-boghese, dove persino il mercato immobiliare è inquinato da un pericoloso flirt tra colletti bianchi e delinquenti.

“Melillo ha ragione; è una delle verità che circondano il mondo della camorra che in generale ha deciso di non uccidere, se non come extrema ratio, e di puntare sulla corruzione per fare affari. Imprenditori volutamente disattenti o chiaramente collusi, purtroppo, si prestano. Ma torniamo sempre lì: dove è il senso civico e di appartenenza? Ecco perché diffondere la cultura della legalità tra i giovani è una mission fondamentale”

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