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La “cabina di regia” di tutte le operazioni era ubicata in un appartamento del quartiere Japigia, dove su alcuni schermi venivano proiettate le immagini riprese da microcamere che i candidati indossavano il giorno in cui andavano a sostenere gli esami. Sui bottoni di polo e camicie (rigorosamente fornite dal sodalizio) erano montate le camere che consentivano di riprendere le schede d’esame, affinché un tecnico informatico, che si trovava nella centrale operativa, potesse cercare le risposte giuste su internet e comunicarle ai candidati via telefono. I cellulari erano abilmente occultati nei vestiti e i micro-auricolari nei padiglioni auricolari.
A capo dell’associazione c’era un pluripregiudicato sessantenne molto vicino al clan Parisi, attualmente detenuto per associazione mafiosa, che aveva messo su una vera e propria impresa familiare, a cui partecipava il fratello, due figli e due nipoti nonche alcuni intermediari, che preoccupavano di individuare le persone che erano state bocciate più volte agli esami teorici di guida e cercavano facili scorciatoie per poterli superare.