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Rilasciato l’aggiornamento WhatsApp: dallo spot allo sticker, ora l’evoluzione è completa – La Repubblica

Ott 31, 2018

A GUARDARLA oggi, quell’applicazione, quasi non si riconosce. Il colpo fatale agli amanti dell’essenzialità l’ha dato l’ultimo aggiornamento che ha rilasciato per tutti gli sticker. Cioè le raccolte di adesivi (irresistibili, c’è da dirlo) con cui rallegrare le conversazioni. Come se le gif animate o le onnipresenti emoji – proprio in queste settimane ne stanno arrivando di nuove su tutti i sistemi operativi – non bastassero. La mutazione di WhatsApp è ormai (quasi) completa. Quasi perché manca un tassello essenziale per Facebook, il gruppo che la controlla dal febbraio 2014: la pubblicità. È ufficiale: arriverà dal prossimo anno e anche se non si vedrà ovunque (via messaggio diretto e fra gli stati, cioè l’equivalente delle storie) segna un punto di non ritorno in quella piattaforma fondata quasi dieci anni fa da due ex ingegneri di Yahoo, l’ucraino Jan Koum e lo statunitense Brian Acton.

Entrambi – un anno fa Acton, poi a maggio Koum – hanno lasciato in polemica la guida della loro creatura, fagocitata dai progetti di Mark Zuckerberg. Come, d’altronde, la compagna Instagram che ha da poco perso i propri punti di riferimento, i cofondatori Kevin Systrom e Mike Krieger. Per Facebook – che proprio ieri ha presentato i dati trimestrali pur sempre faraonici ma con utenti e ricavi sotto le attese degli analisti – si apre una nuova fase. Quella che passa dalle galline dalle uova d’oro di casa, finora fortemente sottostimate in termini di ricavi pubblicitari e, come nel caso di WhatsApp, del tutto escluse dalla faccenda. Almeno finora.

“Gli sforzi per spingere i ricavi” si sono trasformati in scelte “a scapito della bontà del prodotto” ha spiegato di recente un amareggiato Acton a Forbes. Un atteggiamento che “mi ha lasciato con l’amaro in bocca”. Il cofondatore ha fatto poi mea culpa, abitudine a quanto pare sempre più frequente fra gli ex top manager dei colossi tecnologici californiani: “Alla fine dei conti, ho venduto la mia compagnia. Ho venduto la privacy dei miei utenti. Ho fatto una scelta e accettato un compromesso. E ci convivo ogni giorno”. La risposta dei vertici del social blu non si è fatta attendere: “Ditemi pure che sono vecchio stile – ha scritto David Marcus, già capo di Messenger e ora in un altro ruolo – ma credo che attaccare le persone e la compagnia che ti hanno reso miliardario e che ti hanno protetto per anni, sia un colpo basso”. Ipocrisia colpita e affondata. In fondo la strana coppia che inventò il programmino dopo un viaggio sabbatico in Sudamerica incassò la bellezza di 19 miliardi di dollari appena quattro anni fa. Proprio dalla società che, curiosità, alcuni anni prima non li volle fra i propri dipendenti.

Negli ultimi mesi la piattaforma di messaggistica – rimasta coinvolta negli anni da una serie di incroci di dati con la casa madre costati anche una maximulta europea da 110 milioni di euro – si è arricchita a ritmi inconcepibili appena tre o quattro anni fa di funzionalità che l’hanno trasformata in un hub di comunicazione a tutto tondo. Non solo gli stati in cui 450 milioni di persone fanno vedere ai loro contatti cosa stanno facendo ma anche le videochiamate di gruppo, il supporto all’invio di qualunque tipo di file, la memoria illimitata grazie all’accordo con Google attivo dal 12 novembre (a proposito, occhio perché tutti i backup non aggiornati per oltre un anno saranno automaticamente eliminati). E ancora: i maggiori poteri assegnati agli amministratori dei gruppi, la condivisione della posizione in tempo reale, la riproduzione incorporata dei video da YouTube e, ovviamente, lo spin off per le aziende. Cioè WhatsApp Business, per comunicare più efficacemente con i clienti e gestire l’assistenza, già utilizzato da oltre 3 milioni di organizzazioni di ogni dimensione.

Con l’arrivo della pubblicità – e il continuo rilascio di “feature”, le ultime proprio in questi giorni con la versione 2.18.101 che appunto introduce gli adesivi, migliora la ricerca delle gif animate e riproduce in sequenza i messaggi vocali spediti uno dietro l’altro – la natura della piattaforma ne uscirà dunque definitivamente ribaltata. Nata come un sistema essenziale, gratuito e lontano dalle logiche pubblicitarie che i suoi fondatori tanto detestavanoella, WhatsApp fa parte da quattro anni di un ecosistema troppo famelico per non corromperne le radici. L’universo Zuckerberg coinvolge ogni mese – lo ha spiegato lo stesso fondatore di Facebook commentando l’ultima trimestrale – 2,6 miliardi di utenti considerando tutte le piattaforme. Oltre due miliardi usano ogni giorno almeno uno servizio della grande famiglia di Menlo Park.

E sempre Zuck è tornato a insistere pesantemente sul futuro del programma di messaggistica usato da oltre un miliardo e mezzo di persone. Prima per sottolineare gli aspetti legati alla sicurezza dell’app, come la crittografia end-to-end introdotta nel 2016 per file e messaggi (con vari “buchi” scoperti negli anni, come la backdoor scoperta all’inizio del 2017). Poi per delinearne appunto gli sviluppi e confermare l’arrivo degli strumenti pubblicitari. Gli annunci nelle storie e i messaggi a pagamento: “La nostra roadmap consiste nel continuare a trasformare WhatsApp e Messenger in strumenti sempre più semplici, veloci e aggiungendo funzionalità di base come i pagamenti – ha scritto il Ceo di Facebook – continueremo anche a rendere i nostri servizi di messaggistica più riservati e sicuri. Sul lato del business, invece, se il primo passo è stato quello di consentire alle persone di collegarsi con negozi e aziende, il secondo sarà quello di fornire loro meccanismi a pagamento per aumentare queste interazioni”. Se ti stai scrivendo con un’amica su un certo paio di scarpe, insomma, potrebbe arrivarti un messaggino della catena più vicina che ti offre esattamente quel modello. Curiosamente, dice Zuck, “non abbiamo in programma di trarne direttamente dei profitti”. Rimane da capire cosa intenda.

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