Che i gas di scarico dei motori diesel contengano IPA, cioè idrocarburi polinucleari aromatici, che sono notoriamente cancerogeni, non ci piove. Così come non ci piove che la combustione di tutti i prodotti fossili: carbone, legna, petrolio, non è mai perfettamente completa e quindi produce quantità di IPA tanto maggiore quanto incompleta è la combustione. Il particolato, o PM10, non è altro che il residuo solido (o liquido) della combustione nel quale si annidano, in proporzione dal 2 al 5%, i polinucleari aromatici.
Nel 1980 il professor Tanaka, della Università di Kyoto, aveva già dimostrato che nei gas di scarico dei diesel (allora erano quasi tutti motori per veicoli da trasporto pesante o per usi industriali)) era presente una quantità di IPA tale da poterli considerare cancerogeni. E aveva portato a termine un esperimento con cavie per dimostrarlo. Ho avuto la possibilità di chiedergli quale fosse il risultato di analoghe prove condotte con i gas di scarico dei motori a benzina. Mi rispose che non si poteva condurre test sottoponendo i ratti a respirare gas dei motori a benzina perché le cavie sarebbero morte dopo pochi minuti per asfissia, non essendo presente ossigeno nello scarico di tali motori. Mentre il diesel è così ricco di ossigeno in eccesso che le prove possono durare molte settimane, mettendo in evidenza il sorgere di patologie tumorali. Infatti, chi vuole suicidarsi non si chiude in garage con un diesel.
L’unico a condurre test con lo scarico dei motori a benzina è stato il professor Cesare Maltoni della Fondazione Ramazzini, nel 1992, nel castello di Bentivoglio, vicino a Bologna. A quei tempi, chi scrive stava conducendo da quattro anni – per conto di Quattroruote – inchieste e prove sulla pericolosità della benzina verde, quella nella quale era stato eliminato il piombo per sostituirne le funzioni con abbondanti dosi di benzene, il più potente cancerogeno presente nel petrolio. Il prof. Maltoni accettò di sottoporre i ratti a respirare aria arricchita con vapori di benzina contenenti elevate dosi di benzene. Quindi un gas di scarico ancora respirabile. Ebbene, dopo sette settimane le cavie avevano già contratto 1,78 tumori ciascuna, quasi tutti nelle vie respiratorie. In altre parole, alcuni ratti avevano contratto due o più tumori.
Nel 1988, lo IARC, organizzazione mondiale per lo studio dei tumori, iniziò a studiare l’effetto – in un lasso di tempo di 15 anni – dei gas di scarico dei diesel su migliaia di minatori che avevano trascorso almeno 5 anni nelle miniere americane, ove funzionano ininterrottamente compressori d’aria mossi da motori diesel. Il risultato fu un aumento del 13% nei tumori al polmone rispetto al resto della popolazione. Questo studio venne reso noto nel 2012 quando i diesel europei avevano adottato il common rail, l’iniezione ad alta pressione, il gasolio a basso tenore di zolfo e il filtro antiparticolato, tutte caratteristiche che i motori a gasolio americani ancora non conoscevano. Suscitò perplessità in quegli anni la diffusione pilotata di uno studio datato e non attribuibile alle vetture europee che iniziavano a diffondersi sul mercato Usa.
Detto questo, veniamo alla notizia che è esplosa alla radio e sui giornali, nei giorni scorsi. Cavie umane sottoposte allo scarico dei diesel, scimmie imprigionate per settimane a respirare gli inquinanti, esperimenti condotti da un ente finanziato dalle tedesche BMW Mercedes e Volkswagen. Facciamo poi uscire le notizie nel giorno in cui si celebra la fine dell’olocausto e delle camere a gas nei campi di Auschwitz e Birkenau. Sommiamo questa notizia con lo scandalo del Dieselgate e la condiamo con le contrite espressioni di condanna della cancelliera Merkel. E la polpetta avvelenata è servita.
Non si è detto subito che lo studio risale a 4 anni fa, che l’ente che lo ha promosso per le tre Case tedesche ha cessato da tre anni di operare; che la notizia non è partita dalla Germania ma, neppure a farlo apposta, dagli USA, Paese nel quale il diesel (e l’industria tedesca) vengono visti con la stessa simpatia con cui il gatto guarda il topo. E neppure che non si trattava dei gas di scarico dei motori diesel, ma solo di un’atmosfera respirabile contenente dosi di biossido di azoto alle concentrazioni simili a quelle degli ambienti di lavoro, che sono stati reclutati e pagati 25 volontari resi edotti di quanto avveniva e cioè che gli ossidi di azoto non sono tossici né cancerogeni, ma sono un irritante per le vie respiratorie, innocui per l’uomo se non vengono combinati con altre sostanze. Non si è chiarito che tutte le sperimentazioni dell’industria farmaceutica vengono usate cavie umane e che per dimostrare l’efficacia delle creme di bellezza da immettere sul mercato vengono, anche in Italia, reclutate decine di ragazze che si offrono come volontarie, o come cavie, se preferite.
Sovrapponete tutto questo all’incidente giornalistico che ha portato radio e televisioni a confondere il termine scientifico “morti premature“ con “morti”. Tout court. Il primo è quello usato dall’Agenzia Europea per l’ambiente il cui recente comunicato indica 50.000 morti premature in Italia a causa dell’inquinamento atmosferico. Il secondo è quello mistificato che fa passare per defunti quelli che invece possono subire la riduzione del periodo di vita di un anno rispetto alla durata della vita media. E quindi vale ottanta volte meno del primo. Come poi si faccia a stabilire che alcuni individui vedano accorciarsi di un anno la loro vita, mentre in tutto il Paese la vita media si allunga per tutti, di diversi mesi all’anno, questo è un mistero. Ma il terrorismo ambientale e le fake news (chiamiamole bufale, che è meglio) ci tengono svegli e fanno vendere giornali. Mi aspetto commenti infuocati su quanto ho scritto, ma 40 anni di battaglie – anche controcorrente – per l’ambiente e per i consumatori me lo consentono.