Soprattutto quando l’esito della partita si annuncia molto incerto, le campagne elettorali vivono la folle kermesse delle pi varie e acrobatiche promesse, poi quasi sempre disattese. In Italia per questa volta confusione, contraddizioni, spregiudicatezza e scarso realismo su euro, tasse, pensioni e spese varie da parte di troppi candidati protagonisti hanno sconcertato e allarmato l’Europa. Se ieri il socialista francese Pierre Moscovici, il commissario Ue agli Affari economici che distribuisce le pagelle di stabilit pi o meno flessibile ai Paesi del club, ha suonato l’allarme parlando di “rischio politico” per l’Unione, non stato per indebita intrusione nella mischia nostrana ma per legittima preoccupazione di salvaguardare la stabilit dentro le mura della casa europea che sostenuta anche da muri italiani.
Naturalmente nessuno pu impedire a nessuno di sognare nuove praterie verdi n di promettere licenze di deficit, debito e spesa fuori dai criteri di Maastricht, patto di stabilit e fiscal compact. Inevitabilmente per deve anche incassare i timori dei partner seduti sulla sua stessa barca. E deve anche spiegare ai cittadini-elettori-contribuenti rischi e prezzo da pagare se, in piena libert, faranno una scelta dirompente. I rischi che l’Italia potrebbe correre sono molteplici. Non sono solo quelli ovvi di instabilit economica e finanziaria e relativi attacchi speculativi con un debito al 133% del Pil che si stabilizza ma non cala, con la politica monetaria accomodante della Bce prossima a una graduale ritirata, la prospettiva del rialzo dei tassi di interesse e di un pi problematico collocamento dei Titoli del Tesoro, con un sistema bancario che migliora un po’ ma resta fragile, con la crescita che riparte ma resta la pi modesta in un’eurozona effervescente.
rischi ancora pi insidiosi sono politici: nascerebbero dalla sempre pi profonda divaricazione dell’Italia, terza economia dell’euro, dal resto del convoglio, dalla lenta deriva verso un auto-isolamento di fatto, in mancanza di sponde europee.
Il decennio della grande crisi finanziaria e recessiva, dell’euro-rigore anche scriteriato alle spalle. Per la prima volta tutti i Paesi euro crescono. Quelli della fascia Sud, a suo tempo commissariati in cambio degli aiuti europei, sono oggi tra i pi dinamici. Non c’ solo la clamorosa success-story del Portogallo. Tutti sono in forte ripresa: Spagna (pur malata della questione catalana), Cipro e Grecia. L’Irlanda ha ritrovato il suo miracolo tanto da aspirare oggi alla presidenza della Bce nel 2019, quando scadr Mario Draghi.
La Francia corre e per la prima volta in 10 anni vede il deficit sotto il 3%: dimostra cos a Berlino la credibilit dell’impegno del presidente Emmanuel Macron di rispettare le regole di bilancio Ue, premessa indispensabile per un accordo con il cancelliere tedesco su un’ambiziosa riforma dell’eurozona. E per non perdere troppo il passo con la Germania, tornata indiscussa locomotiva dell’area, con produzione industriale, export e surplus commerciale alle stelle, mentre l’attivo del bilancio pubblico una costante ormai da tre anni.
Le crescenti virt degli altri mettono l’Italia sotto pressione: perch in un’unione monetaria le divergenze economiche alla lunga sono insostenibili e perch oggi si incrociano con il dinamismo altrui che ne favorisce la convergenza e quindi la coesione anche politica.
Se alla fine Angela Merkel riuscir a fare un nuovo Governo di grande coalizione con i socialdemocratici su un programma mirato anche alla rifondazione dell’Unione, l’intesa franco-tedesca diventer il traino dell’avventura. Che si vuole per selettiva, tarata sul modello multi-speed: integrazioni pi avanzate con chi ci sta ma ha anche le carte in regola. Naturalmente n l’Europa dei 27 n l’eurozona dei 19 condividono le stesse ambizioni. Qualsiasi riforma, anche a Trattati costanti, sar dunque frutto di un travaglio difficile
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