MILANO – Double Irish e Dutch Sandwich non sono nomi di bevande e panini, ma le strategie fiscali e societarie grazie alle quali Alphabet, la holding di Google, ha mosso anche nel 2016 una ingente fetta di utili in una compagnia delle Bermuda. Si tratta, riporta Bloomberg, di 15,9 miliardi di euro che hanno preso la direzione del paradiso fiscale, secondo quanto depositato alla Camera di Commercio olandese, e che per l’agenzia finanziaria Usa hanno permesso al gigante tecnologico di risparmiare miliardi di dollari di tasse per quell’anno fiscale.
Le due strutture fiscali impiegate permettono di fatto alla società di sottrarre alla tassazione la maggior parte dei suoi profitti internazionali. Da una filiale irlandese, questi vengono infatti trasferiti a una scatola finanziaria senza impiegati e sede olandese, quindi tornano a una società delle Bermuda (letteralmente una cassetta postale) di proprietà a sua volta di un’altra società registrata in Irlanda. Attraverso questo giro fiscale, nel 2016 Google ha mosso una cifra superiore del 7% rispetto a quanto registrato l’anno prima. Il documento societario risulta depositato in data 22 dicembre e per la prima volta ne è stata data notizia dal quotidiano olandese Het Financieele Dagblad.
“Paghiamo tutte le tasse dovute e siamo in regola rispetto alle norme fiscali di ciascun Paese nel quale operiamo”, ha spiegato in una nota un portavoce del motore di ricerca. “Il nostro impegno rimane quello di aiutare la crescita dell’ecostistema online”, ha aggiunto.
Dalla Francia alla Commissione europea, passando per l’attivissima Autorità fiscale e giudiziaria italiana, Google come le altre società del web sono nel mirino per cercare di ridurre le distorsioni della tassazione nei loro confronti. Anche la riforma fiscale americana, con l’ampio scudo dedicato alle società che hanno la cassa custodita all’estero e potranno farla rientrare con i saldi sulle tasse, è disegnata proprio per favorire il rientro di ingenti capitali ammucchiati da questi colossi fuori dai confini americani. Le imprese che hanno soldi fuori pagheranno il 15,5% per i contanti o equivalenti, o l’8% per gli asset più illiquidi. Il tutto invece dell’aliquota al 35% standard, che la stessa riforma porta al 21%. Per gli anni a venire, la riforma fiscale di Trump prevede che le società che hanno un tax rate complessivo basso (e che quindi si servono dei paradisi fiscali) dovranno pagare una imposta minima agli Stati Uniti del 10,5%, che però non si applica qualora l’imposizione media globale subita dalla compagnia sia del 13,125% o superiore.
Secondo i documenti depositati negli Stati Uniti, spiega di nuovo Bloomberg, il livello d’imposizione fiscale globale ed effettivo su Google è ammontato al 19,3% nel corso del 2016. Considerando questo livello di imposizione sulla massa di denari spostata alle Bermuda, l’operazione sarebbe fruttata 3,7 miliardi di risparmi. Se invece gli si appliccasse il 12,5% di tax rate dell’Irlanda, il risparmio scenderebbe alla pur considerevole cifra di 2,4 miliardi di dollari. La cassa estera della società americana superava in quell’anno i 60 miliardi di dollari.
Il governo irlandese ha formalmente tappato il buco che ha consentito di far nascere strutture quali il Double Irish nel corso del 2015, con una finestra aperta però fino alla fine del 2020 per le società che già utilizzavano quella struttura: un paracadute per adeguarsi.