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La riforma fiscale Usa: scudo sui soldi offshore delle multinazionali e vantaggi ai più ricchi

Dic 20, 2017

MILANO – Una riforma in grado di dare una spinta da 4 punti di Pil alla prima economia del mondo. Un testo scritto per favorire le multinazionali che potranno far rientrare i soldi fin qui tenuti in caldo all’estero, con uno scudo fiscale che farà loro pagare tasse irrisorie rispetto al normale, e le famiglie più ricche. Non ci sono scale di grigio nel giudizio che gli americani esprimono sulla riforma fiscale che Donald Trump si appresta a firmare, una volta che il testo sarà ripassato – per un dettaglio procedurale – dall’approvazione della Camera. Ieri infatti la stessa Camera dei Rappresentanti ha dato il via libera al testo con 227 voti a favore e 203 contrari. Decisione bissata a stretto giro dal Senato, con 51 voti a 48. E’ necessario ora un ritorno alla Camera.

Il piatto forte della riforma fiscale è la riduzione della tassazione sugli utili delle imprese, con aliquota per le Spa sforbiciata dal 35 al 21% medio. Oltre a questo si apre un vero e proprio scudo fiscale per le multinazionali che si calcola abbiano oltre 2mila miliardi e 400 milioni di dollari di liquidità parcheggiata all’estero, al riparo dal Fisco Usa. Costoro – da Apple a Microsoft – potranno riportarli nei confini nazionali pagando versando una tantum dell’8% (o del 15,5% se si tratta di liquidi/contanti) rispetto al 35% medio imposto a livello federale (e in via di abbattimento). Se si considera che Apple è accreditata di circa 250 miliardi di dollari custoditi offshore, si capisce chiaramente quanto venti o più punti percentuali di imposizione in meno facciano la differenza per decine di miliardi. L’idea di una “transition tax” era stata accarezzata anche da Barack Obama, poi era uscita dalla discussione per entrare nella campagna elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca.

Il testo rivede poi molti altri aspetti fiscali per le imprese e le persone, rendendo strutturali i benefici per le prime e temporanei – nell’orizzonte di un decennio – per le seconde. Oltre a favorire ammortamenti (immediatamente eseguibili quelli in macchinari, fino al 2022) e investimenti delle società, i ltesto prevede che le società semplici restino tassate come le persone fisiche, ma con una detrazione del 20% del reddito che porta l’aliquota effettiva scenderebbe al 26,5%, appena al di sotto della media europea (26,9%) e ben al di sotto della media pesata dei paesi Ocse.

Per le famiglie, sintetizzano gli economisti di Intesa Sanpaolo, restano le sette aliquote fiscali ma a livelli più bassi fino al 2025 (quella marginale più alta scende dal 39,6 al 37%). Si eliminano molte detrazioni – soprattutto per le imposte statali e locali – a fronte del raddoppiamento di quella standard e del credito d’imposta sui figli a carico. E’ poi eliminato l’obbligo di avere un’assicurazione sanitaria è eliminato, “future conseguenze negative sul numero degli assicurati e sui premi delle polizze”. Tra le ultime norme approvate c’è la possibilità di dedurre gli interessi sui finanziamenti ricevuti per pagarsi gli studi universitari.

Ci sono ovviamente i (molti) scontenti del testo, inclusi i senatori repubblicani che l’hanno osteggiato perché provenienti dagli Stati che soffriranno maggiormente il peso del Fisco. Tra New York e California lamentano che le alte imposte locali potranno essere portate in deduzione sul conto del Fisco federale con un tetto di soli 10mila dollari, mentre alcune categorie professionali si vedono ridurre i benefici fiscali ritagliati ad hoc su di loro. Sforbiciata in arrivo anche alle detrazioni fisse per i lavoratori dipendenti.

Citizens for Tax Justice, gruppo che si batte per un fisco equo, ha criticato aspramente la manovra fiscale di Trump, denunciandola come estremamente sbilanciata verso le famiglie più ricche e gli investitori esteri piuttosto che come supporto ai nuclei realmente bisognosi. Nell’ultima analisi prodotta, sul testo che era uscito dal Senato alla fine di novembre, denunciava al 5% più ricco della popolazione sarebbero andati la metà dei benefici del piano, mentre da qui al 2027 il 60% più povero della popolazione si ritroverà a far fronte a un incremento netto della tassazione (con ben 19 Stati colpiti dl peggioramento della situazione), mentre ai super-ricchi (incluso Trump) si aprono possibilità di veder ridurre il loro conto con l’Erario. Nel complesso, i 1.500 miliardi del piano comporteranno una crescita del deficit o un necessario taglio ad altre voci come l’educazione, la sanità, la ricerca e le infrastrutture.

Secondo il Tax Policy Center, che ha aggiornato lo studio al testo concordato tra Camera e Senato a metà dicembre, più dell’80% delle famiglie americane avrà un taglio fiscale nel 2018 e il 5% vedrà salire il conto. “In linea di massima – dicono gli esperti – le famiglie con i redditi più alti riceveranno i benefici maggiori – in termini di percentuale sul redddito netto”. In media, nel 2027 le tasse saranno poco diverse da ora per i gruppi di reddito basso e medio e scenderanno per i ricchi. Rispetto alla legge attuale, dice il Centro di ricerca, il 5% dei contribuenti pagherà più tasse il prossimo anno, ma si salirà al 9% nel 2025 e al 53% nel 2027. Concorda Intesa: “Nel complesso, le misure sono espansive, ma regressive: le classi medie e basse hanno riduzioni di imposte transitorie, le classi alte hanno un trattamento più favorevole per l’imposta di successione e per il reddito delle società semplici, un ampio taglio (transitorio) dell’aliquota massima. In media tutte le classi di reddito avranno imposte ridotte fino al 2025, ma ci potranno essere casi di aumento delle imposte, per via dei cambiamenti derivanti dall’abolizione di molte detrazioni, in particolare quella relativa alle imposte statali e locali”.

La riforma è ovviamente il piatto forte anche per i mercati finanziari. Soltanto un paio di settimane fa, quando si era ancora in attesa dei dettagli ma i capisaldi del testo erano fissati, gli economisti di BofA Merrill Lynch hanno iniziato a scontare i possibili impatti del cambiamento delle norme. Che si vedrebbero soprattutto sul breve termine e, con un’economia già in crescita al livello se non oltre il potenziale, potrebbero anche portare al rischio di un “fiscal sugar high”, una sbornia fiscale che rischia di surriscaldare l’economia e causare postumi diffili da assorbire. Quanto ai numeri della riforma, l’espansione del deficit Usa da 1.500 miliardi di dollari dovrebbe portare a un supplemento di crescita da 0,3-0,4 punti percentuali di Pil nel prossimo biennio: il costo della riforma potrebbe scendere a mille miliardi considerando la risposta positiva dell’economia. Ecco perché la crescita media del prossimo anno potrebbe schizzare al 2,6-2,7% e poi mantenersi ancora ben sostenuta al 2,2-2,3% nel 2019. State Street è in linea con un +2,7% previsto per l’anno prossimo. A sostenere la crescita, dice BofA, ci dovrebbero essere i consumi privati, dati dai tagli alle imposte sulle persone fisiche, e gli investimenti fissi delle aziende incentivate dagli sgravi sulle spese in conto capitale. La disoccupazione dovrebbe calare al 3,7-2,8%.

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