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Rimini, gettò in mare il corpo della figlia nascosto in una valigia: patteggia 14 mesi

Nov 21, 2017

RIMINI – Era sembrata una vicenda di mostri, di aggressori senza pietà, di straordinaria violenza su una donna fragile come il cristallo. E’ risultata invece una incredibile storia di disperazione, di un lutto inaccettabile che ha preso la forma di un thriller ma dal finale inatteso e ancora più sconvolgente. Oggi col patteggiamento cade la parola fine anche dal punto di vista giudiziario sul “giallo del trolley” di Rimini. Tutto aveva avuto inizio quando una mattina – era il 25 marzo scorso – era stata vista galleggiare nel porto canale una valigia: all’interno il corpo di una giovane donna, raggomitolato. Un corpo inverosimilmente esile, indice di una grave sofferenza, di una malattia chiamata anoressia.

E’ stata proprio l’anoressia, e non la mano di un bruto, a uccidere Katerina Laktionova, 27 anni. La magrezza oltre ogni limite concepibile (35 chili disseminati come briciole su 173 cm d’altezza) aveva messo sull’avviso gli investigatori, che avevano contattato le strutture della zona che affrontano e combattono questa patologia, mentre in città e sulle pagine dei giornali teneva banco il giallo del trolley.

Katerina non era stata uccisa, non era annegata. Quella valigia era diventata la sua cassa mortuaria, le acque dell’Adriatico il suo camposanto. Ma proprio quelle acque hanno deciso un destino diverso per quel corpo fragile, e hanno permesso che venisse ritrovato, seppur in circostanze da telefilm poliziesco.

Ma non c’era finzione alcuna, e quel corpo parlava. Andavano solo collegati gli indizi. E gli indizi, escludendo una mano feroce, hanno portato alla madre di Katerina, Gulnara Laktionova, 48 anni, originaria di Mosca e badante in Italia. Era partita per il suo Paese il giorno prima del ritrovamento della valigia, è stata fermata dalla polizia al suo rientro in Italia, all’aeroporto Marconi di Bologna, una decina di giorni dopo.

Nella sua confessione ha dipinto un quadro cupo difficile da comprendere e da accettare: la lunga veglia, cinque giorni, di quel corpo che si era consumato da solo, e poi il tentativo di portare Katerina a casa, in Russia, per la sepoltura. Di fronte all’impossibilità

di farlo, la decisione di chiudere le spoglie della figlia in una valigia, e lasciarla cadere in acqua. Oggi per quella madre disperata è arrivato il patteggiamento: un anno e due mesi di reclusione, con la sospensione della pena, per morte conseguente a maltrattamenti e dispersione di cadavere. Un gesto che lei stessa non ha saputo motivare agli inquirenti, se non con l’indicibile dolore per la perdita più assurda. Per il quale esiste solo un fine pena mai.

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