MILANO – Il petrolio è stato protagonista di una recente ripresa dei prezzi, spinto dalla buona salute dell’economia mondiale e soprattutto dalla convinzione che a fine mese, quando si ritroveranno a Vienna, i Paesi del cartello Opec e quelli affini (Russia in primis) rinnoveranno i loro tagli alla produzione, architettati proprio per cercare di risollevare i corsi del barile. E c’è chi già scommette su una nuova corsa dell’oro nero, a livelli di prezzi inimmaginabili fino a poco fa.

Secondo quanto ricostrusice Bloomberg, i massimi da due anni visti in questi giorni (con il Wti che ha rivisto 60 dollari, mentre il Brent staziona sopra 65), potrebbero essere solo una tappa intermedia. L’agenzia finanziaria Usa ha registrato un picco di contratti speculativi attraverso i quali gli investitori scommettono su livelli di prezzo del future a febbraio per il greggio europeo tra i 71 e addirittura gli 85 dollari. La differenza tra chi scommette su movimenti al rialzo e al ribasso del greggio si è portata ai livelli meno “da orso” dalla fine di agosto, consolidando le prospettive di aumento dei prezzi.

Le ripercussioni si vedono anche nell’attività Usa, che era stata messa fuori gioco dalla strategia Opec di tenere alta la produzione (e bassi i prezzi) proprio per trarre giovamento rispetto all’output americano, che ha costi industriali ben maggiori. Ma recentemente il numero delle trivelle petrolifere attive negli Stati Uniti è tornato a salire. Stando al rapporto pubblicato ogni venerdì dal gruppo di servizi petroliferi Baker Hughes, i pozzi hanno registrato un aumento di 9 unità a 738. Il dato resta lontanissimo dal picco di 1.609 toccato a ottobre del 2014, ma è al di sopra del minimo toccato nel 2009 a 179 trivelle attive.