MILANO – Banca d’Italia interviene per la prima volta alla Commissione d’inchiesta parlamentare sulle crisi bancarie e, attraverso il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo, difende il suo ruolo nella gestione delle crisi. A cominciare da quella delle venete.
Barbagallo ha sostenuto la linea che gli amministratori abbiano “ripetutamente occultato importanti informazioni alla vigilanza, di cui hanno deliberatamente disatteso le richieste”. Nonostante ciò e “malgrado l’indisponibilità di poteri investigativi commisurati alla gravità dei comportamenti”, ha aggiunto, “è stata la Vigilanza della Banca d’Italia ad aver rilevato le criticità che connotavano le due banche: crediti erogati con modalità anomale, non di rado in conflitto di interessi; inadeguate modalità di determinazione del prezzo delle azioni; operazioni di ricapitalizzazione cosiddette ‘baciate’ non dedotte dal patrimonio”, ha sostenuto Barbagallo in audizione a Palazzo San Macuto.
Barbagallo ha sciorinato gli interventi fatti: “L’azione di vigilanza è stata intensa e costante. Nel periodo 2007-2017 sono state condotte nove ispezioni presso Banca Popolare di Vicenza e sette presso Veneto Banca”, ha detto, sottolineando che le crisi emerse per la cattiva gestione “sono riconducibili, in ultima istanza, all’inadeguatezza del loro governo societario e, in tale ambito, all’autoreferenzialita del management”. Ripercorrendo le ispezioni che si sono susseguite, per esemplificare l’opacità interna Barbagallo ha fatto riferimento – tra le altre cose – al caso di Veneto Banca e al venire a galla della “carente gestione dei crediti in conflitto di interessi a esponenti aziendali e loro congiunti (oltre 70 milioni di euro), sovente finalizzati a investimenti in attività speculative e, in alcuni casi, affetti da irregolarità”.
Il responsabile della vigilanza ha altresì spiegato che se i comportamenti opachi hanno contribuito alla crisi, l’elemento scatenante è stata la cattiva qualità dei prestiti: “Alla fine del 2016 i deteriorati delle due banche superavano i 18 miliardi ed erano pari per Bpvi al 35% dei prestiti e per Veneto banca al 39% dei prestiti, contro una media di sistema del 17 per cento”. Da parte di Palazzo Koch, ha sostenuto, non sono mai state suggerite acquisizioni alla Popolare di Vicenza che ha “autonomamente valutato 10 ipotesi”. Quanto alla possibile fusione nel 2013 fra Veneto Banca e Popolare di Vicenza, per Barbagallo andò a monte “per dissidi insanabili” fra le due parti. Sarebbe poi stato “molto complicato per una quotata comprare una delle due e in particolare Veneto Banca, perché il differenziale di prezzo era grande e l’assemblea soci da cui si doveva passare non avrebbe mai approvato”. Alle domande della Commissione ha risposto che “non è vero” che Bankitalia abbia fatto pressione perché Veneto Banca fosse acquisita da Vicenza.
Un passaggio del suo intervento è stato dedicato alla polemica sulle “porte girevoli”, il passaggio di ex funzionari dell’Autorità alle dipendenze degli istituti. Sul punto, Barbagallo ha spiegato: “La Banca d’Italia non incoraggia né auspica che propri dipendenti siano assunti dai soggetti vigilati; in ogni caso anche quando questo accade, ciò non influisce – né per quanto a mia conoscenza ha mai influito – sul corretto espletamento delle funzioni di vigilanza”. In aggiunta dei tre nomi riconosciuti nei giorni passati da Palazzo Koch, Barbagallo ha parlato delle vicende di altri funzionari, tra i quali gli ex Bankitalia Menestrina e Romito. Ha sottilienato che si tratta di “passaggi inopportuni”, ma è una valutazione personale e un “consiglio”. Oggi, ha chiosato, le “norme sono restrittive” e i passaggi verificatisi in passato “sarebbero illegali. Quando sono avvenuti, erano legali. Ma inopportuni”. Ha in ogni caso rimarcato di “poter escludere che ciò abbia influito sulle ispezioni”.