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Cascate di sangue in Antartide, studiosi svelano il mistero -Guarda il Video – News Italiane

Apr 29, 2017

Con i suoi -96° centigradi di certo l’Antartide non è la meta preferita di turisti e vacanzieri, che tra le altre difficoltà dovrebbero anche difendersi dall’attacco di pinguini, ormai cittadini onorari del continente glaciale. Per fortuna però, non solo loro possono godere di alcuni incredibili panorami ghiacciati, o essere testimone di un mistero quasi del tutto sconosciuto come le cascate di sangue. Sì, avete capito bene, il suggestivo nome per questo eccezionale spettacolo della natura deriva da uno dei coraggiosi esploratori che nel 1911 raggiunge l’Antartide trovandosi di fronte ad un grande fiume rosso nel bel mezzo di una bianchissima distesa desertica.

Un il geologo australiano che oltre un secolo fa si avventurò tra i ghiacci per alcune ricerche, viene infatti che dal ghiaccio fuoriusciva dell’acqua rossastra, causata secondo lui dalla presenza di alcune particolari alghe. Il colore della misteriosa e inquietante cascata di sangue, è dovuto invece all’ostinazione del ferro in contatto con l’ossigeno, la spiegazione toglierà sicuramente un po’ di fascino al fenomeno antartico, ma la sua eccezionalità resta invariata.

A distanza di 106 anni, sembra essersi risolto il mistero relativo al fenomeno delle cascate di sangue, osservato dal geologo Griffith Taylor, presso il lago ghiacciato Bonney in Antartide. Una vera e propria cascata di sangue, il cui mistero è rimasto tale per circa 100 anni, ma finalmente oggi gli studiosi hanno scoperto di cosa si tratta ; questa, che si trova in Antartide, è stata scoperta esattamente nel 1911 dal geologo americano Griffith Taylor e da allora ha sempre acceso un vivo dibattito tra molti studiosi. La cosiddetta “cascata di sangue” è situata all’estremità nord dal ghiacciaio Taylor, che si estende per 100 chilometri ed è parte dei monti transartartici. Questa cascata ha sempre incuriosito per il particolare color sangue, ma come abbiamo anticipato, soltanto ai giorni nostri si è risolto il mistero e uno studio congiunto dell’University of Alaska Fire bunx e del Colorado college ha rivelato che la cascata rossa altro non è che un lago sotterraneo con alte dosi di ferro che si ossida una volta entrato in contatto con l’aria.

Che non si trattasse di sangue era più che certo ed era stato escluso nettamente dagli studiosi ai quali era balenata l’idea che il colore rosso fosse dovuto ad alcune alghe rosse; anche in questo caso, questa ipotesi venne accantonata nel 2003 e poi successivamente nei giorni nostri, quando i ricercatori hanno confermato che il color sangue è determinato dalle alte dosi di ferro contenute nell’acqua, che si ossida una volta entrata in contatto con l’aria. Secondo quanto emerso da Metro, il lago è stato intrappolato dentro un ghiacciaio per milioni di anni e i ricercatori sono riusciti a scoprire che sotto la superficie ghiacciata dell’Antartide australiano, vi è una massa di acqua il cui congelamento è scongiurato grazie ad un proprio ciclo idrico.

È stato proprio grazie all’utilizzo di un ecolocazione chiamato res, ovvero radio-eco sounding, che i ricercatori sono riusciti a scoprire che sotto la superficie di Azzola dell’Antartide australian vi è, come già abbiamo anticipato, una massa di acqua che scorre da milioni di anni grazie ad un proprio ciclo che ne scongiura il congelamento. Quando milioni di anni fa la catena montuosa ha iniziato ad estendersi, pare abbia intrappolato il lago salato al di sotto di una spessa coltre di neve e di ghiaccio, in questo modo il lago è diventato sempre più concentrato finché la brina è diventata troppo salata per ghiacciarsi alle normali temperature.

Questa brina con il tempo avrebbe cominciato a grattare il ferro dalle rocce su cui il lago poggia ed è una volta raggiunta la superficie l’acqua del lago assume il colore rosso sangue a causa del contatto tra il metallo con l’aria. “Il ghiacciaio Taylor è il più freddo tra quelli conosciuti che permette l’attraversamento dell’acqua” hanno specificato infatti i ricercatori del team di studio.

15 cose che non sai sul Antartide: 1 l’estensione. L ‘Antartide può essere considerato il più esteso deserto del mondo naturalmente si tratta di un deserto bianco fatto completamente di ghiaccio, la sua estensione si gira attorno ai 14 milioni di km quadrati. 2 il posto più freddo del mondo. In Antartide esiste il posto più freddo del mondo si tratta di un alto crinale dove le temperature possono scendere al di sotto dei -93° centigradi. 3 il primo nato. Il primo essere umano nato in questo continente è l’argentino Emilio Palma nato nel 1978. 4 la flora. Le condizioni climatiche la povertà del suolo sono fattori limitanti dello sviluppo della vegetazione che risulta costituita quasi esclusivamente da muschi e licheni. 5 la fauna. Il plancton il Krill sono l’alimento principale di balene, foche, leoni marini, pinguini e numerosi uccelli, insomma l’Antartide l’unico continente in cui non vivono rettili.

Non tutti e due i Poli si trovano su terre emerse. Il Polo Sud sta sulla terraferma, su un continente vero e proprio, l’Antartide; il Polo Nord, invece, si trova in un mare permanentemente ghiacciato. Quella che si chiama abitualmente l’Artide non è che un insieme di isole che hanno in comune il fatto di trovarsi quasi interamente entro il Circolo Polare Artico, anche se geograficamente appartengono all’America del Nord, all’Europa o all’Asia. L’Artide Tra le isole europee, le più importanti sono le Svalbard, che appartengono politicamente alla Norvegia, ma i cui giacimenti di carbone sono sfruttati insieme da Norvegia e Russia. A nord della Siberia si stende una serie di isole appartenenti alla Russia. Infine, ci sono le terre polari americane: alcuni arcipelaghi canadesi e la Groenlandia, considerata la più grande isola del mondo, che appartiene politicamente alla Danimarca (anche se dal 1979 gode di larga autonomia). Spesso si includono fra le «terre artiche» anche le zone costiere settentrionali del Canada, della Penisola Scandinava e della Russia, che stanno anch’esse a nord del Circolo Polare Artico. Al centro e chiuso da questa serie quasi ininterrotta di terre emerse, è il Mar Glaciale Artico. Il solo Stretto di Bering lo mette in comunicazione con il Pacifico; verso l’Atlantico, invece, il passaggio è più largo e più agevole. Il Mar Glaciale Artico è quasi tutto coperto, in inverno, dalla banchisa, una compatta coltre di ghiaccio. In estate, invece, i margini della banchisa si rompono, e il mare ritorna qua e là a scoprirsi, mentre lastroni di ghiaccio (il pack), staccatisi dalla banchisa, vanno alla deriva. In questa stagione, lungo le coste compaiono muschi e licheni, la vegetazione della tundra, nutrimento per i pochi grandi erbivori (buoi muschiati e caribù) che vivono nell’Artide insieme a grandi carnivori (orsi bianchi, foche, trichechi ecc.). Nei mari si trovano balene e numerose specie di pesci. Sempre in estate, grazie al fatto che i margini meridionali della banchisa si sciolgono o si rompono, è possibile navigare senza interruzioni lungo la costa siberiana fino allo Stretto di Bering: è il cosiddetto «passaggio di Nord-Est». Più difficile è invece, anche d’estate, percorrere il «passaggio di NordOvest» tra le isole e lungo le coste settentrionali del Canada, per la presenza qui di molti iceberg, bassi fondali ecc., che rendono pericolosa la navigazione. Chi abita nelle terre artiche? Gli eschimesi,con le loro caratteristiche case di ghiaccio (igloo) nelle terre artiche americane; i lapponi in quelle scandinave;samoiedi, ciukci,ostiachi in Siberia. Ma oggi si incontrano sempre più insediamenti di scienziati e tecnici che studiano la meteorologia e le possibilità di vita alle alte latitudini; pescatori di balene;geologi che predispongono lo sfruttamento delle molte risorse minerarie di queste regioni: carbone, uranio, petrolio ecc.;ancora,i tecnici che coltivano campi sperimentali nelle isole russe o quelli addetti alle stazioni radar e alle basi missilistiche americane e russe.I cambiamenti climatici, però, minacciano gravemente i ghiacci artici, che si stanno sciogliendo sempre più rapidamente: secondo alcuni scienziati, la banchisa potrebbe scomparire del tutto entro pochi decenni.

L’Antartide L’Antartide è un continente più esteso dell’Europa, quasi interamente coperto da una spessa coltre di ghiaccio, che tiene unita alla massa continentale una serie di isole. L’altitudine media è molto elevata (2600 m), e alcune cime superano i 4000 m. C’è anche un alto vulcano attivo, l’Erebus. L’Antartide è la regione più fredda della Terra, molto più delle terre artiche. Flora e fauna sono quasi assenti, se si eccettuano gli animali marini (foche, balene, pinguini). Esistono nell’Antartide grandi giacimenti minerari (carbone, ferro, cobalto, oro, rame, cromo, petrolio e metano) sepolti sotto decine o centinaia di metri di ghiaccio, cosa che rende per ora difficile e poco economico il loro sfruttamento. Tuttavia, numerosi paesi guardano con interesse a queste ricchezze e accampano diritti per il futuro.In virtù di un accordo internazionale del 1959, l’Antartide è riservata a base per ricerche scientifiche a scopi pacifici,a cui partecipa anche l’Italia, con una base permanente.Tuttavia il continente è teoricamente diviso in una serie di «sfere di influenza» tra diversi paesi: l’Argentina, la Francia, la Nuova Zelanda, il Cile. Altri paesi (Belgio, Giappone, Sudafrica e Russia) non riconoscono alcuna rivendicazione. Stati Uniti e Russia si riservano di difendere i propri diritti. Nel 1988 è stata firmata da 33 paesi una convenzione per la regolamentazione delle attività minerarie, che potrebbe preludere a uno sfruttamento delle ricchezze dell’Antartide, specie dei giacimenti petroliferi off-shore di più facile accesso. Gli ambientalisti propongono invece che l’intero continente antartico divenga un parco naturale, così da preservarne l’equilibrio ecologico e le poche specie animali che vi abitano. Antartide: Baia di McMurdo e il Monte Erebus. In primo piano, il mare libero da ghiacci della Baia di McMurdo, un’insenatura del Mare di Ross. Si vede poi il margine della banchisa, strato di ghiaccio galleggiante che ricopre la parte più interna della baia. In fondo, il Monte Erebus, vulcano attivo, con il pennacchio dei vapori che costantemente emette. L’Erebus sorge sull’Isola Ross, che non ha l’aspetto di un’isola: è saldata al continente antartico dalla distesa permanente di ghiaccio che costituisce il Tavolato di Ross, che abbraccia metà del suo perimetro (la parte opposta a quella che si vede nella fotografia); l’altra metà si affaccia sul mare della Baia di McMurdo, anch’esso gelato per gran parte dell’anno. L’Erebus è oggi l’unico vulcano attivo dell’Antartide; ma è l’ultimo di una catena di vulcani, attivi in tempi geologicamente recenti, che corre sul margine dell’Antartide Occidentale e poi nella Terra di Graham: è un prolungamento, verso l’estremo sud, della catena delle Ande, con la quale sembra formare un unico sistema. Questo fa pensare che l’Antartide non vada considerata come un pezzo di crosta terrestre isolato e inerte: anch’essa ha avuto una storia geologica, un’attività vulcanica, una connessione con altre terre, e certamente non è stata sempre sepolta sotto il ghiaccio.

Geografia fisica Con una superficie di 13 milioni di km², ai quali si aggiungono 1,5 milioni di km² di barriere l’Antartide è il quinto continente del mondo per estensione. Il continente è attraversato dalla Catena Transantartica lunga 3 500 km che si estende da Cape Adare (Terra Vittoria affacciato sul Mare di Ross) alla Terra di Coats (sul Mare di Weddell). Il meridiano di Greenwich (0° di longitudine) divide l’Antartide in due parti: a) l’Antartide Occidentale, o Antartide Minore che comprende grossomodo il territorio situato a ovest del meridiano di Greenwich e a est dei 180° di longitudine (Penisola Antartica, Terra di Mary Bird e Terra di Ellsworth) b) l’Antartide Orientale o Antartide Maggiore, un altopiano di circa 10 milioni km² (anticamente unito all’Australia e situato nell’area a est del meridiano di Greenwich e a ovest dei 180° di longitudine. L’elevazione maggiore si ha in corrispondenza del Massiccio Vinson (4 897 m s.l.m. ) che fa parte dei Monti Ellsworth nella Penisola Antartica mentre la depressione maggiore è la Fossa subglaciale di Bentley a 2 538 m sotto il livello del mare, situata nella parte orientale del continente. La calotta di ghiaccio, che ricopre l’Antartide è suddivisa in calotta orientale (con uno spessore medio di 2 500 m ) e calotta occidentale (con uno spessore medio di 1 700 m ) dalla Catena Transantartica, i massimi spessori della calotta si trovano presso la Terra di Adelia a soli 400 km dalla costa: qui vi è una profonda depressione colmata da 4776 m di ghiaccio. Se si considera la massa dei ghiacci che ricopre la superficie, l’Antartide è il continente mediamente più alto sul livello del mare. Escludendo invece il profilo dato dalle calotte glaciali e considerando esclusivamente il livello medio dello strato roccioso, questo continente è mediamente il più basso. Con un volume medio totale di 26,6 milioni di km³, essa costituisce il 92% delle riserve di acqua dolce del globo. È stato calcolato che la completa fusione dei ghiacci dell’Antartide comporterebbe un innalzamento del livello degli oceani di circa 70 metri. Gli iceberg che si staccano dalla calotta possono raggiungere e superare le dimensioni della Corsica. Lo sviluppo costiero del continente è pari a 17968 km caratterizzati dalla presenza di diverse formazioni di ghiaccio: Per convenzione il confine geografico è delimitato dalla cosiddetta convergenza antartica, la latitudine (circa 50° S) dove si inabissano le acque di superficie subtropicali. L’area compresa fra i 50° e il circolo polare antartico viene definita subantartica. In media è il luogo più freddo della Terra. Il territorio presenta la più elevata media altimetrica sul livello del mare di tutti i continenti.L’Antartide è considerata un deserto, con precipitazioni annue di soli 200 mm lungo la costa, e molto meno nelle regioni interne. L’Antartide, assieme ai suoi ghiacci, ha un importante compito nell’equilibrio climatico-ambientale del pianeta, visto che ogni variazione della calotta si ripercuote sull’equilibrio termico planetario, sulla circolazione oceanica e atmosferica nonché sul livello del mare. Il continente non è abitato permanentemente da alcuna popolazione umana; nonostante ciò si contano, durante l’anno, tra le 1000 e le 5000 persone che risiedono nelle varie stazioni di ricerca scientifica sparse in tutto l’Antartide. Nel continente vivono solo piante e animali che si sono adattati al clima rigido, tra cui pinguini, foche, muschi, licheni, e molti tipi di alghe. Dal 1959 lo status politico dell’Antartide è regolato dal Trattato Antartico, firmato a oggi da 46 Paesi. Il trattato vieta le attività militari e minerarie, sostiene la ricerca scientifica e protegge le ecozone del continente. Sono in corso esperimenti condotti da più di 4 000 scienziati di varie nazionalità e con diversi interessi di ricerca.

Geografia umana Storia L’ipotesi dell’esistenza di una Terra Australis, cioè di un vasto continente nell’estremo sud del mondo con lo scopo di “equilibrare” le terre del nord (Europa, Asia e Nord Africa), esisteva fin dai tempi di Tolomeo, che suggerì l’idea di simmetria di tutte le terre conosciute nel mondo. Rappresentazioni di una grande superficie meridionale erano comuni nelle mappe. Ancora nel tardo XVII secolo, dopo che gli esploratori avevano scoperto che il Sud America e l’Australia non erano parte del mitico “Antartide”, i geografi credevano che il continente fosse molto più vasto rispetto alla sua dimensione reale. Le mappe europee continuarono a mostrare questo ipotetico territorio fino a quando le navi del capitano James Cook, HMS Resolution e HMS Adventure, non attraversarono il Circolo polare antartico il 17 gennaio 1773, nel dicembre 1773 e nuovamente nel gennaio del 1774. Cook in realtà era arrivato a circa 75 miglia (121 km) della costa antartica, prima di essere costretto a invertire la rotta di fronte ai ghiacci nel gennaio 1773. Il primo avvistamento confermato dell’Antartide è dibattuto fra 3 diversi equipaggi. Secondo diverse organizzazioni, le navi capitanate da tre uomini avvistarono il nuovo continente nel 1820: Fabian Gottlieb von Bellingshausen (capitano della Marina Imperiale Russa), Edward Bransfield (un capitano della Royal Navy), e Nathaniel Palmer (un cacciatore di foche statunitense). Von Bellingshausen il 27 gennaio 1820, tre giorni prima dell’avvistamento di Bransfield, e dieci mesi prima di Palmer (novembre 1820). Quel giorno le due navi della spedizione guidata da Von Bellingshausen e Mikhail Petrovich Lazarev raggiunsero un punto a di 32 km (20 miglia) del continente antartico e videro i campi di ghiaccio. Il primo sbarco documentato sulla terraferma avvenne con l’americano John Davis nell’Antartide occidentale il 7 febbraio 1821, anche se questa versione è contestata da alcuni storici. Nel dicembre 1839 una spedizione salpò da Sydney, in Australia, e riferì la scoperta “di un continente antartico a ovest delle isole Balleny”. Quella parte di Antartide venne in seguito denominata “Terra di Wilkes”. Nel 1841 l’esploratore James Clark Ross passa attraverso quello che è oggi conosciuto come il Mare di Ross e scoprì l’Isola di Ross. Navigò lungo un enorme muro di ghiaccio che venne successivamente nominato Ross Ice Shelf. I monti Erebus e Terror vennero dedicati alle due navi dalla sua spedizione. Mercator Cooper sbarcò nell’Antartide orientale il 26 gennaio 1853. Durante la spedizione Nimrod guidata da Ernest Shackleton nel 1907, gli uomini guidati da T.W. Edgeworth David furono i primi a scalare il monte Erebus e a raggiungere il Polo Sud magnetico. Shackleton e altri tre membri della sua spedizione ottennero diversi primati tra il dicembre 1908 e il febbraio 1909: furono i primi uomini a percorrere la Ross Ice Shelf, i primi ad attraversare la catena dei Monti Transantartici (attraverso il ghiacciaio Beardmore). Il 14 dicembre 1911, una spedizione guidata dall’esploratore polare norvegese Roald Amundsen fu la prima a raggiungere il Polo Sud geografico, utilizzando un percorso che partiva dalla Baia delle Balene e il Ghiacciaio Axel Heiberg. Circa un mese più tardi, anche la sfortunata spedizione di Robert Falcon Scott raggiunse il polo ma i suoi cinque membri non sopravvissero al ritorno. Richard Evelyn Byrd compì numerosi viaggi sull’Antartico in aereo negli anni 1930 e anni 1940. Condusse ampie ricerche geologiche e biologiche. Fu fino al 31 ottobre 1956 che non si rimise piede al Polo Sud; in quel giorno la US Navy group guidata da George J. Dufek vi atterrò con successo. Secondo gli studi di Drewry (1983) la struttura delle coste dell’Antardide è costituita da piattaforme di ghiaccio (ghiaccio galleggiante) per il 44%, da pareti di ghiaccio (agganciate al terreno) per 38%, da fiumi di ghiaccio/fronti di ghiacciai per 13%, da roccia per 5%.

In Antartide si trovano le due più grandi piattaforme di ghiaccio del mondo, quella di Ross e quella di FilchnerRonne Il continente è circondato da un’ampia zona ghiacciata, la banchisa (pack), nella quale si sviluppa uno dei più interessanti ecosistemi del pianeta e che rappresenta la fonte di cibo per cetacei, pinguini, pesci, foche e molti uccelli. In Antartide si trovano oltre 70 laghi situati a migliaia di metri sotto la coltre gelata. Il maggiore di questi laghi sub-glaciali è il lago Vostok, scoperto dal geografo russo Andrey Kapitsa durante una serie di spedizioni scientifiche sovietiche che si tennero fra il 1959 e il 1964 nei pressi della stazione russa Vostok. Si ritiene che il lago sia stato sigillato dai ghiacci fra i 500 000 e il milione di anni fa. Vi sono prove derivanti da carotamenti effettuati a circa 400 m sopra la superficie dell’acqua del lago che le sue acque possano contenere forme di vita (microbi). Territori e suddivisione geografica Partendo dalla sommità della Penisola Antartica e seguendo la costa verso sud si incontrano: il Mare di Bellingshausen sul quale si affaccia la Terra di Ellsworth il Mare di Amundsen che bagna la costa di Walgreen, parte più occidentale della Terra di Marie Byrd il Mare di Ross con la Barriera di Ross Terra della regina Victoria Terra di Wilkes Terra della regina Mary La barriera di Amery che fronteggia l’Altopiano Americano interrotto dalle montagne del principe Carlo la Terra di Enderby la Terra della regina Maud la Terra di Coats la barriera di Filchner-Ronne che si protende nel Mare di Weddell. Intorno al continente, soprattutto intorno alla Penisola Antartica, si trova un ampio numero di isole. Per alcune di queste (tutte quelle comprese entro i 60° di latitudine sud) il Trattato Antartico stabilisce la sospensione delle rivendicazioni da parte dei paesi. Solitamente si distinguono le: Isole antartiche ovvero quelle a ridosso del continente, comprese nella Convergenza antartica e unite al continente dal ghiaccio Isole sub-antartiche site nei pressi o esternamente alla convergenza e unite al continente dalla banchisa solo nei mesi invernali. Clima Tra le varie classificazioni proposte per il clima antartico la più valida resta quella elaborata da Paul C. Dalrymple nel 1966: essa, pur tralasciando la fascia costiera e la Penisola Antartica, suddivide l’interno del continente in quattro zone, sulla base di precisi parametri, che mettono in relazione le temperature medie ed estreme, la velocità media e la frequenza del vento, la misura delle precipitazioni annuali e l’intensità del windchill. Dalrymple, dunque, classifica: Area fredda di transizione (temperatura media annua da -25 °C a -40 °C) Area fredda catabatica (temperatura media annua da -30 °C a -40 °C) Area interiore fredda (temperatura media annua da -40 °C a -50 °C) Nucleo centrale freddo (temperatura media annua inferiore a -50 °C) A Vostok è stata registrata la temperatura più bassa: -89,2 °C. Va detto che, per quanto riguarda l’aspetto termico, esiste una precisa correlazione fra la quota, la latitudine e la distanza dal mare (continentalità). Il Plateau Antartico è un tavolato di ghiaccio con spessori che nella parte orientale possono superare i 4 000 m di quota ed è qui che si misurano le temperature più basse del mondo. Le osservazioni meteorologiche continuative sul Plateau Antartico sono cominciate con l’Anno geofisico internazionale e sono oggi condotte attraverso due principali fonti di acquisizione dei dati: le basi permanenti, gestite da personale tecnico scientifico residente, e le Aws (Automatic Weather Stations), progettate dalla Wisconsin University e impiantate a partire dagli anni ottanta. Attualmente sono tre le basi permanenti del Plateau Antartico: Amundsen-Scott (statunitense), Vostok (russa) e Concordia (italo francese). La prima, che sorge al Polo Sud geografico, secondo la classificazione di Dalrymple rientra nell’Area interiore fredda: la temperatura media annua (1957-2006) è di ?49,5 °C. A Vostok, nel Nucleo centrale freddo, la media annua (1958-2006, con interruzioni) si colloca invece a ?55,3 °C. Caratteristica del clima antartico è il cosiddetto Kernlose winter, un vistoso raffreddamento che si realizza con la scomparsa del sole sotto l’orizzonte e rimane pressoché costante per tutto l’arco del semestre: una dinamica che non ha riscontro nell’emisfero boreale, tranne forse in alcune delle aree più interne della Groenlandia. Perciò la classica suddivisione stagionale, pur mantenuta per omogeneità di confronti, nella realtà ha poco senso: nell’Area interiore fredda e nel Nucleo centrale freddo, che inglobano circa la metà della superficie continentale, si può parlare di un bimestre estivo (dicembre e gennaio), preceduto e seguito da due stagioni di transizione (seconda metà di ottobre e novembre, febbraio e prima metà di marzo), i restanti sette mesi (dalla metà di marzo a metà ottobre) sono quelli invernali. Durante l’estate la temperatura raramente supera i -20 °C. Il mese più caldo (dicembre) ad Amundsen-Scott fa registrare una media di -28,0 °C, a Vostok di -31,9 °C. Il crollo termico, che comincia con la discesa del sole sull’orizzonte, comporta che già ad aprile la media di Amundsen-Scott sia di -57,3 °C, quella di Vostok di -64,8 °C, a luglio la media di Amundsen-Scott è di -60,1 °C, ad agosto quella di Vostok di -68,0 °C. Ciò fa sì che in qualsiasi periodo dell’inverno si possano toccare i valori estremi: il record ad Amundsen-Scott si colloca a -82,8 °C (23 giugno 1982), a Vostok a -89,2 °C (21 luglio 1983); quest’ultima è la temperatura più bassa registrata sulla Terra. Altro elemento caratterizzante dell’Antartide è il vento: in particolare, le correnti catabatiche che, in estrema sintesi, si originano per via della densità dell’aria fredda che staziona sul Plateau Antartico, e che tende a “scivolare” verso le coste. Studi cominciati fin dal primo Novecento hanno dimostrato che esistono vie preferenziali in cui si incanalano i venti catabatici, che possono superare i 300 km/h. Per quanto riguarda le precipitazioni, la scarsa umidità sul continente le rende quasi assenti. Notevole è la differenza tra le isole antartiche e il plateau. Riguardo alle prime si può portare come esempio il dato della Stazione Bellingshausen (base russa sull’Isola di re George) in cui, nel periodo 1969-2005, si va da un minimo annuale di 471,8 mm (2003) a un massimo di 991,6 mm (1998), a Vostok, invece, si passa da un massimo di 66,4 mm (1958), a un minimo di 0,2 mm (1982 e 1995). L’importanza del monitoraggio climatico è giustificata anche dalle conseguenze che avrebbe uno scioglimento dei ghiacci antartici sul livello del mare planetario; inoltre bisogna considerare che la relazione tra ghiaccio e mare è interlacciata e che i due elementi si influenzano reciprocamente. In generale va detto che nella regione antartica esistono grandi differenze tra le varie zone: ad esempio le parti più a nord (come la penisola antartica) sono le zone dove in generale si realizza il passaggio del ghiaccio all’oceano mentre le parti più interne sono quelle dove si ha un accumulo e ispessimento dei ghiacci. Dall’analisi delle immagini satellitari degli ultimi trent’anni si è registrato un generale aumento dei ghiacci antartici. Flora e fauna Le condizioni climatiche e la povertà del suolo sono fattori limitanti per lo sviluppo della vegetazione che risulta costituita quasi esclusivamente da muschi, epatiche e licheni. Le uniche piante angiosperme che crescono in Antartide sono la Deschampsia antarctica e il Colobanthus quitensis; queste piante formano ciuffi erbosi tra le rocce presso il litorale sulla costa occidentale della penisola Antartica. La fascia di mare che separa le acque antartiche da quelle degli altri oceani è detta convergenza antartica; è larga dai 40 agli 80 km ed è situata a circa 1 600 km dalla costa e in essa la temperatura cala bruscamente. La convergenza antartica costituisce una barriera biologica insormontabile per gli organismi marini di piccole dimensioni e all’interno della quale si trova un ecosistema del tutto particolare. I mari sono molto ricchi di zooplancton e di krill antartico (l’Euphausia superba ne è il componente principale). Il krill, a sua volta alimentato da poche specie di alghe che compongono il fitoplancton, rappresenta l’alimento base della catena alimentare per gli animali terrestri e marini, nutre infatti i pesci, balene, foche e leoni marini, i pinguini e i numerosi uccelli marini. Sulla banchisa vivono e si riproducono due specie di pinguini: il pinguino imperatore e il pinguino di Adelia. Un’altra trentina di specie di uccelli (appartenenti alle famiglie dei procellariformi e caradriformi) si riproducono nel continente antartico, tra queste vi sono l’albatro reale, il petrello delle nevi, il fulmaro antartico, gli ultimi due nidificano nelle parti prive di neve, dette nunatak, delle montagne dell’interno, spingendosi nell’entroterra fino a 100 km dalle coste. Tra le foche sono diffuse le foche di Weddell, le foche cancrivore e la temibile foca leopardo. Nei mesi estivi oltre 100 milioni di uccelli migratori nidificano e si riproducono sulla banchisa e nelle isole prospicienti il continente. Paragonato con la ricchezza di fauna nell’oceano e sulla banchisa l’interno del continente appare, anche nelle poche aree deglaciate dette oasi, deserto e desolato. Le uniche forme di vita che vi si trovano sono batteri, microorganismi e alcuni invertebrati. Rivendicazioni territoriali Rivendicazioni territoriali sono state avanzate nel corso del Novecento da Argentina, Australia, Brasile, Cile, Francia, Nuova Zelanda, Norvegia, Regno Unito. Il Trattato Antartico mantiene congelate queste rivendicazioni e la maggioranza delle altre nazioni non le riconoscono. Brasile, Spagna, Perù e Sudafrica, che partecipano in qualità di membri al Trattato Antartico, hanno mostrato rivendicazioni territoriali nei confronti del continente, ma per le stesse disposizioni del Trattato le loro richieste restano in sospeso, finché il trattato resta valido. Anche Stati Uniti, Russia e Italia hanno avanzato rivendicazioni territoriali, ma le manterranno in sospeso finché il trattato resterà valido o altri paesi non procederanno a dare seguito alle loro rivendicazioni. Popolazione L’Antartide non ha una popolazione in senso stretto, nelle oltre 80 basi scientifiche vivono però circa 4 000 persone nei mesi estivi che si riducono a circa 1 000 durante i mesi invernali. Risorse L’Antartide è ricca di risorse minerarie. Le risorse petrolifere valutate ammontano a circa 40 miliardi di barili. Inoltre in questo continente ci sono i più grandi giacimenti di carbone e ferro con grandi quantità di nichel, manganese e uranio.

La crescita della glaciologia italiana La ricerca glaciologica ha un ruolo rilevante in tutti i programmi scientifici nazionali e internazionali in Antartide. Le ricerche glaciologiche italiane, timidamente iniziate nelle prime spedizioni, si sono poi pienamente sviluppate, grazie anche alla partecipazione a programmi internazionali. Due sono stati gli obiettivi scientifici principali: da un lato lo studio mediante misure geofisiche e geodetiche (da satellite, da aereo, da terra) del comportamento dinamico dei ghiacciai della Terra Vittoria settentrionale e del settore della calotta antartica orientale prospiciente al Mare di Ross ed all’Oceano Pacifico meridionale, dall’altro l’analisi mediante metodi chimici e fisici del ghiaccio estratto tramite perforazioni, allo scopo di ricostruire la storia dell’atmosfera, del clima e dell’ambiente nella regione polare antartica, come contributo alla comprensione dei cambiamenti globali. La dinamica delle calotte glaciali La conoscenza del comportamento dinamico della calotta e dei ghiacciai antartici consente di valutare, tra l’altro, il loro bilancio di massa, in altre parole il loro stato di salute, se cioè i ghiacci antartici siano stabili, in aumento o in riduzione, contribuendo attivamente, in quest’ultimo caso, alla risalita del livello degli oceani. E’ noto che questo fenomeno costituisce il rischio ambientale più grave che minaccia l’immediato futuro della Terra, perché porterebbe alla scomparsa di molte isole (atolli) e di basse pianure costiere, sulle quali vivono decine di milioni di abitanti. Anche molte città italiane, si pensi ad esempio a Venezia, e ampi settori delle nostre pianure sono esposti a questo rischio. Le indagini compiute con campagne geofisiche da aereo (60.000 km di tracciati radar, una volta e mezza la circonferenza terrestre) e con misure a terra con carovane di trattori e slitte, coprendo percorsi lunghi alcune migliaia di chilometri (vedi scheda ITASE), hanno rivelato che, nel settore studiato, i dati utilizzati per la stima della risalita del livello del mare, sono largamente errati. Le nuove misure di fusione alla linea di galleggiamento sono di decine di metri all’anno, un ordine di grandezza superiore a quello che era ipotizzato fino a pochi anni fa. Analogamente, le misure dell’accumulo nevoso hanno messo in evidenza valori fino al 60% inferiori rispetto alle carte dell’accumulo nevoso precedentemente utilizzate. Anche se la complessità dei fenomeni ancora non consente una valutazione accurata, dalle indagini eseguite deriva un segnale di accresciuto allarme. Nella Penisola Antartica e nei ghiacciai che defluiscono dalla Calotta Occidentale verso il Mare di Amundsen, fra il 1989 e il 2005, si sono disintegrate e ridotte drasticamente molte piattaforme di ghiaccio galleggianti e si è osservato un aumento della fusione basale, accompagnato da un arretramento della linea di galleggiamento. Questi fenomeni sono collegati all’aumento anomalo di temperatura nella Penisola Antartica (+2,5 °C in 50 anni) e ad un probabile aumento della temperatura delle acque oceaniche. Queste piattaforme di ghiaccio galleggianti si erano formate alla fine dell’ultima glaciazione e non si erano mai ridotte fino alle dimensioni attuali negli ultimi 10.000 anni. Il collasso delle piattaforme di ghiaccio galleggianti e l’arretramento delle linee di galleggiamento ha innescato un drastico aumento della velocità dei ghiacciai, producendo quindi un più rapido afflusso di ghiaccio a mare. Le ricerche italiane hanno inoltre contribuito alla migliore conoscenza dello spessore dei ghiacci antartici (nel bacino subglaciale Aurora, Terra di Wilkes, è stato riscontrato il secondo valore massimo di spessore, di 4750 m), della morfologia del substrato roccioso sepolto, della loro velocità di scorrimento, delle variazioni nel tempo delle fronti glaciali a mare, dell’azione del vento nel trasporto e nella sublimazione della neve, ecc.

Le indagini radar da aereo nel settore di Dome C hanno portato alla scoperta di rilievi montuosi sepolti con oltre 2000 m di dislivello e di 24 nuovi laghi subglaciali, il maggiore dei quali (Lago Concordia) è grande più di due volte il Lago di Garda ed è uno dei possibili obiettivi internazionali per la ricerca di forme di vita in questi ambienti estremi. Il ghiaccio come archivio della storia climatica e ambientale della Terra Le perforazioni in ghiaccio, condotte dapprima con strumentazione leggera capace di penetrare un centinaio di metri, quindi, nell’ambito del programma internazionale EPICA (vedi scheda), con strumentazione più complessa, capace di perforare alcune migliaia di metri, hanno fornito informazioni nuove sulle variazioni climatiche in Antartide e, in generale, nell’emisfero meridionale. Con la perforazione EPICA a Dome C sono stati documentati 9 cicli glaciali/interglaciali maggiori, raggiungendo ghiaccio più antico di 800 mila anni. Nelle carote di ghiaccio è contenuta la storia dettagliata del clima (temperatura, precipitazioni, circolazione atmosferica, ecc.) e dell’atmosfera nell’emisfero meridionale. E’ stato mostrato che nei grandi cicli climatici glaciali/interglaciali CO2 e metano sono variati in fase e proporzionalmente con le variazioni di temperatura, e che a tali cicli si sono sovrapposte variazioni climatiche di breve durata (da poche migliaia di anni ad alcuni secoli). E‘ stata prodotta anche una ricostruzione dettagliata dell’attività vulcanica esplosiva, nonché di altri aspetti ambientali che indirettamente hanno lasciato la propria traccia nei ghiacci polari, quali l’estensione dei ghiacci marini, la temperatura superficiale delle acque oceaniche, i percorsi seguiti dalle perturbazioni cicloniche e la loro intensità, ecc. Il paesaggio glaciale antartico e la sua storia L’analisi delle forme del rilievo ha contribuito a decifrare la storia glaciale dell’Antartide e si è, fra l’altro, concretizzata nella compilazione di carte glaciologiche e geomorfologiche alla scala di 1:250.000. Basate su mosaici di immagini da satellite, queste carte riportano una sintesi delle misure e delle osservazioni condotte e costituiscono una documentazione assai valida della ricerca italiana per la caratterizzazione e lo studio dell’evoluzione del paesaggio antartico. Sono stati ricostruiti i limiti raggiunti dai ghiacciai nell’Ultimo Massimo Glaciale (ca. 20.000 anni fa). La datazione mediante radiocarbonio di colonie di pinguini relitte, di resti di elefanti marini (oggi non più presenti nel Mare di Ross) e di conchiglie marine ha consentito di caratterizzare le fasi di ritiro dei ghiacciai pleistocenici e di ricostruire curve di sollevamento relativo del livello del mare negli ultimi 8000 anni. Sono state individuate e datate morene tardiglaciali e oloceniche, evidenze di variazioni glaciali recenti della calotta e dei ghiacciai minori.

Durante l’inverno australe 2005 è stata per la prima volta abitata la nuova stazione permanente italo-francese Concordia. La stazione è stata costruita a partire dal 1995 nel cuore della calotta antartica, presso la culminazione di Dome C, a 3233 metri di quota (Antartide Orientale, 75° 06’ di latitudine Sud e 123° 21’ di longitudine Est). Dome C dista oltre 1000 km in linea d’aria dalle stazioni costiere italiana e francese (Stazione Mario Zucchelli a Baia Terra Nova e Dumont d’Urville nella Terra Adélie, rispettivamente). La costruzione è avvenuta in parallelo con la perforazione in ghiaccio EPICA, nel corso dell’estate australe (da novembre a febbraio), utilizzando le comuni attrezzature del campo di tende e containers allestito a questo scopo. La Stazione Concordia e il campo di montaggio hanno già ospitato attività scientifica nei mesi estivi a partire dal 1995 e – per la prima volta – anche nel corso dell’inverno australe 2005. Concordia è una località privilegiata per ricerche in molti campi scientifici.

Medicina e psicologia L’isolamento e l’ostilità ambientale fanno di Concordia un luogo particolarmente adatto allo studio del comportamento umano in ambiente ristretto ed estremo, in condizioni fisiologiche e, soprattutto, psicologiche molto simili a quelle che si ritrovano nei voli spaziali e sulle stazioni orbitanti.

Fisica dell’atmosfera Collocata all’interno del vortice polare che regola la circolazione stratosferica, Concordia è uno dei siti ideali per lo studio dell’evoluzione del “buco dell’ozono”. Inoltre, i dati rilevati a Concordia (in connessione con le osservazioni meteorologiche e gli studi di fisica dell’atmosfera effettuati nelle stazioni costiere), essendo raccolti in un sito chiave per il monitoraggio e lo studio della struttura e della circolazione nella bassa atmosfera (troposfera), colmano un vuoto nella rete di osservatori che si occupano di monitorare il clima del nostro pianeta e i cambiamenti globali in atto. Sono stati installati anche strumenti per lo studio della circolazione dei venti catabatici.

Sismologia e Geomagnetismo Molto distante dagli altri osservatori e lontana dalle perturbazioni marine, Concordia è un sito perfetto per il monitoraggio remoto e lo studio dei sismi e delle variazioni del campo magnetico terrestre, anche in questo caso colmando una lacuna nella rete di monitoraggio dell’intero pianeta.

Astronomia e astrofisica Per la sua elevata altitudine e le caratteristiche dell’atmosfera (basse temperatura e umidità assoluta, precipitazioni ridottissime, scarsa turbolenza) Concordia è un sito ideale per osservazioni astronomiche e studi di cosmologia, nonché per studi sull’alta atmosfera e la meteorologia spaziale. Nel campo dell’astrofisica e della cosmologia sono particolarmente favorevoli le osservazioni nelle frequenze dell’infrarosso e del millimetrico/submillimetrico. Concordia è una località privilegiata anche per la raccolta di micrometeoriti, polveri di origine extraterrestre: sul nostro pianeta ne cadrebbero fra 15.000 e 20.000 tonnellate all’anno che, in gran parte, verrebbero sepolte dalle nevi antartiche e inglobate nella calotta. Conclusa la complessa e impegnativa perforazione del programma EPICA, Concordia si apre ora a nuove ricerche, coinvolgendo risorse e programmi nazionali e internazionali, per sfruttare appieno le opportunità che le condizioni ambientali eccezionali e, per alcuni aspetti, uniche sulla Terra offrono alla ricerca scientifica. Glaciologia, paleoclima e chimica dell’atmosfera La stazione è collocata su una coltre di ghiaccio dello spessore di 3300 m, che offre grandi opportunità non solo per studi paleoclimatici, ma anche sulla dinamica della calotta e la sua stabilità. Inoltre, le condizioni uniformi e incontaminate ne fanno un luogo ideale per la verifica a terra e la calibratura delle osservazioni da satellite, nonché per misure di contaminazione chimica in un sito remoto e ancora vergine. Nel Dicembre 2004 si è conclusa con successo la perforazione profonda in ghiaccio del programma EPICA (v. scheda) che, alla base, ha prelevato il ghiaccio più antico finora raggiunto con una perforazione. Per lo studio della storia climatica recente, per la valutazione del tasso di accumulo annuo della neve e per lo studio dei processi di scambio chimico neve-atmosfera, sono state eseguite numerose perforazioni e trincee superficiali ed è stata sistematicamente campionata la neve appena deposta. Misure geodetiche delle deformazioni e degli spostamenti del duomo di ghiaccio (dell’entità di alcuni millimetri all’anno) sono state eseguite su una rete di paline impiantate attorno a Dome C. Sono state condotte campagne a terra a da aereo nell’area tra Dome C e Vostok per lo studio dello spessore e della struttura interna della calotta, per la definizione della morfologia del substrato roccioso, per l’individuazione di laghi e del sistema di corsi d’acqua subglaciali.

International Trans-Antarctic Scientific Expedition (ITASE)

Attraverso lo sforzo coordinato di numerosi programmi di ricerca nazionali e multinazionali, il progetto ITASE ha lo scopo di raccogliere ed interpretare informazioni climatiche e ambientali nelle aree più remote e sconosciute del continente. Le attività del progetto ITASE sono multidisciplinari e comprendono essenzialmente perforazioni della neve/nevato, rilievi geofisici, raccolta di campioni di neve (in superficie e in trincee), campioni di aria (a varie quote) e misure delle proprietà fisiche dell’atmosfera; i dati e i campioni vengono raccolti e archiviati utilizzando laboratori mobili di ricerca, montati su slitte e trainati da veicoli cingolati. In gergo polare queste carovane sono chiamate traverse: la carovana italiana è formata da 4 veicoli cingolati che trainano 5 moduli montati su slitte (modulo abitazione, modulo generazione ed officina, modulo perforazione, modulo magazzino) e tre cisterne di carburante. L’obiettivo principale del progetto ITASE è di determinare la variabilità spaziale del clima in Antartide (precipitazione nevosa, temperatura dell’aria, circolazione atmosferica) negli ultimi 200 anni e, dove possibile, negli ultimi 1000 anni. Di particolare interesse risultano le interazioni con fenomeni di interesse globale come El Niño. Le informazioni scientifiche raccolte nell’ambito di ITASE sono essenziali per interpretare i dati derivanti dalle perforazioni profonde (per esempio EPICA), per monitorare le condizioni climatiche e la composizione dell’atmosfera nelle aree più remote del continente, per valutare l’attuale contributo dell’Antartide alle variazioni del livello del mare e per interpretare i dati telerilevati da satellite. Le attività scientifiche si svolgono lungo transetti che congiungono le basi costiere con i siti più remoti dell’interno del continente, sede anche di perforazioni profonde (EPICA Dome C e Dronning Maud Land, Vostok, Dome Fuji ecc.). Al programma di traverse nazionali o multinazionali hanno partecipato 20 nazioni (Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Russia, Svezia, Sud Corea, USA). Finora il progetto ITASE ha raccolto oltre 20.000 km di stratigrafie della superficie nevosa, ha perforato più di 240 carote di neve e ghiaccio (per un totale di oltre 7.000 m), ha esplorato parte delle aree più remote del continente antartico raggiungendo la culminazione della calotta Orientale a più di 4.000 metri di quota, ha raccolto campioni di atmosfera fino a quote superiori a 20.000 m. Il PNRA ha iniziato le sue attività di ricerca nell’ambito del progetto ITASE durante la IX spedizione (1993-94). In quella occasione venne esplorata la possibilità di accedere con mezzi cingolati alla calotta antartica dalla stazione Mario Zucchelli, percorrendo circa 270 km in un’area estremamente pericolosa a causa dei crepacci. Nel 1996-97 sono stati esplorati circa 600 km di calotta raggiungendo la culminazione di Talos Dome, dove è stata effettuata una prima perforazione di 90 m in neve e ghiaccio. Durante le campagne 1997-98 e 1998-99 è stata esplorata la calotta est-antartica fino alla culminazione di Dome C, percorrendo circa 1300 km. Nella campagna 2001-02 sono state esplorate le Terre di Adelie, Oates e Vittoria. I dati raccolti dai ricercatori italiani hanno permesso per la prima volta di esplorare un’area di un milione di km2 (circa 3 volte la superficie dell’Italia) e di determinare le caratteristiche climatico-ambientali degli ultimi 200-800 anni dell’area di drenaggio nord-occidentale di Dome C. Fra i risultati più significativi possiamo citare: la ricostruzione paleoclimatica degli ultimi 800 anni nel sito di Talos Dome, la scoperta e lo studio di “megadune” di ghiaccio (ondulazioni di dimensioni chilometriche della superficie glaciale) che gettano nuova luce sui processi di accumulo nevoso, lo studio dei processi di sublimazione indotti dai venti catabatici, lo studio del contributo dell’Antartide alle presenti e future variazioni del livello marino, la ricostruzione della distribuzione geografica dell’accumulo nevoso, la scoperta della mobilità dei duomi e delle linee spartighiaccio dovuta a fenomeni di accumulo nevoso e la ricostruzione della struttura geologica del bacino subglaciale di Wilkes.

European Project for Ice Coring in Antarctica (EPICA)

EPICA è un programma di ricerca pluriennale, finanziato dall’Unione Europea (UE) e da 10 stati europei, per effettuare due

perforazioni profonde nei ghiacci antartici, la prima a Dome C (DC), nel settore della calotta rivolto verso l’Oceano Pacifico, la

seconda nella Dronning Maud Land (DML), in quello prospiciente l’Oceano Atlantico.

Preceduta da una campagna di indagini geofisiche – condotte dagli italiani – per la scelta del sito e per la valutazione dello

spessore del ghiaccio, la perforazione a Dome C è iniziata nel dicembre 1996 e si è conclusa nel dicembre 2004 alla profondità

di 3270 metri. Italia e Francia, dalle cui stazioni costiere partivano i rifornimenti per la perforazione EPICA e per la costruzione

di Concordia, hanno svolto un ruolo logistico e scientifico preponderante.

I risultati scientifici della perforazione a Dome C, già pubblicati in parte su prestigiose riviste internazionali, rappresentano un

progresso importantissimo nello studio delle variazioni climatiche nel passato perchè risalgono due volte più lontano nel tempo

rispetto alle conoscenze precedenti.

Le carote di ghiaccio estratte da Dome C rappresentano un archivio climatico degli ultimi 800.000 anni almeno: nell’arco di

questo periodo si sono succeduti 9 principali cicli climatici glaciali/interglaciali, innescati dalle variazioni di insolazione dovute a

cause astronomiche. I quattro cicli più recenti erano già noti dagli studi sulle carote di ghiaccio di Vostok, mentre i precedenti

erano conosciuti solamente dagli studi sui sedimenti oceanici, che riflettono più che la storia dell’atmosfera e del clima, quella

degli oceani e dei ghiacciai. EPICA‑DC ha permesso di documentare un cambiamento nella variabilità climatica intorno a

430.000 anni fa: a quell’epoca, si è passati da cicli con interglaciali poco caldi e di lunga durata a cicli con interglaciali molto

caldi e di breve durata.

Gli studi sulle carote di EPICA-DC, a cui hanno contribuito significativamente i ricercatori italiani, hanno inoltre mostrato che

le variazioni climatiche di più breve durata (circa un millennio), che iniziano e terminano bruscamente, sono rilevabili anche

nell’emisfero meridionale, anche se più attenuate e quasi in opposizione di fase rispetto a quelle dell’emisfero settentrionale.

Sembra che – nel sistema climatico – sia esistita una sorta di “altalena polare”: quando l’emisfero meridionale si raffreddava,

quello settentrionale si riscaldava e viceversa, a causa di un trasferimento del calore da un emisfero all’altro, tramite le correnti

oceaniche termoaline.

La perforazione EPICA-DML, iniziatasi nel 2000, si è conclusa nel corso della campagna 2005-06 alla profondità di 2774 m e

riguarda la storia climatica degli ultimi 150.000 anni circa, ricostruita con maggiore dettaglio, a causa del maggiore accumulo

annuo di neve, rispetto a EPICA-DC. Obiettivo di questa perforazione è un più accurato confronto con la storia climatica

ricostruita all’altra estremità dell’Atlantico, nei ghiacci della Groenlandia.

La perforazione EPICA DC ha campionato in continuità ghiaccio formatosi a partire da oltre 800 mila anni fino al presente. Le analisi

fin qui condotte hanno mostrato che la temperatura media annua (curva azzurra) negli ultimi 750 mila anni è ciclicamente variata da

condizioni “calde” (interglaciali, numerati con numeri dispari) a condizioni molto fredde (glaciali). Ogni ciclo climatico ha avuto una

durata di circa 100 mila anni ma, mentre i tre più antichi hanno avuto interglaciali meno caldi e più lunghi (13,15,17), gli ultimi quattro

cicli hanno avuto interglaciali più caldi e di breve durata (5,7,9,11). Il presente interglaciale (1), ancora in corso, è un poco meno caldo

dei precedenti e dura da circa 12 mila anni. Mostra analogie con l’interglaciale 11 che è durato oltre 20 mila anni.

La curva sottostante mostra la variazione di CO2

da 650 mila anni al presente: in rosso i dati della perforazione EPICA DC, in verde quelli

della perforazione Vostok. Il biossido di carbonio in questo intervallo di tempo è variato in fase e proporzionalmente alle variazioni di

temperatura, con valori minimi di 180 ppmv (parti per milione in volume) nelle fasi glaciali più fredde, e valori massimi di 300 ppmv

nelle fasi interglaciali più calde. Le linee tratteggiate e la doppia freccia indicano il campo naturale di variabilità di questo gas-serra.

Negli ultimi due secoli, a causa delle attività umane, in primo luogo tutti i processi di combustione, il valore di CO2

è salito a 380 ppmv

(2006), ben al di sopra del limite naturale di variabilità, con un aumento di oltre il 35%.

L’Antartide è un’area geografica privilegiata per monitorare lo stato dell’ambiente dell’intero pianeta, per studiare i processi di trasporto e diffusione di sostanze chimiche a livello globale e per valutarne le possibili correlazioni con i cambiamenti climatici. La lettura della “registrazione” delle variazioni della composizione chimica dell’atmosfera negli strati di neve e ghiaccio accumulati nel corso degli anni e lo studio delle interazioni ghiaccio/acqua/atmosfera, fanno di questo continente il luogo ideale per lo sviluppo e l’applicazione di una nuova disciplina, denominata polar chemistry, che si è affermata nella comunità scientifica internazionale impegnata nelle ricerche in Antartide, grazie al continuo e consistente impegno del PNRA. La contaminazione ambientale Sulla base dei dati oggi disponibili, siamo in grado di costruire una carta dettagliata della contaminazione ambientale di una vasta area del continente bianco, relativamente a varie classi di inquinanti, di composti organici solforati, di sostanze umiche, di numerosi metalli pesanti e micronutrienti e di radionuclidi. Alcuni dei risultati più significativi hanno permesso di evidenziare aspetti di notevole interesse a livello globale, come ad esempio: – la recente diminuzione del piombo nel nevato e nei ghiacci rilevato per la prima volta in Antartide, correlabile con l’introduzione delle benzine verdi; e la tendenza all’aumento dei metalli del gruppo del platino e degli idrocarburi policiclici aromatici (PAH) nelle nevi superficiali, evidenza negativa dell’impiego delle marmitte catalitiche; – l’appiattimento della curva di crescita dei clorofluorocarburi (CFC) nell’atmosfera, osservata negli ultimi anni, correlabile alle limitazioni imposte a livello internazionale all’uso di questi composti; – la variazione stagionale del contenuto di metalli (tossici ed essenziali) nelle acque marine, che può contribuire ad una migliore comprensione degli effetti dei cambiamenti climatici; – l’apporto di polveri cosmiche sulla Terra e la loro influenza sul ciclo dell’ozono e sul clima.

I processi di scambio tra atmosfera e oceano Nell’ambito delle indagini riguardanti i cambiamenti globali, sono stati studiati i processi di scambio tra atmosfera e superficie del mare ed il ruolo giocato dal microstrato superficiale marino nei meccanismi di formazione dell’aerosol marino, un vettore primario di diffusione e trasporto a livello globale degli inquinanti. E’ stato evidenziato che il microstrato superficiale marino, prelevato mediante un prototipo di sistema di campionamento, realizzato nell’ambito del PNRA, è caratterizzato da un contenuto di varie classi di microinquinanti organici, sino a centomila volte superiore rispetto all’acqua di mare sottostante. L’analisi chimica delle carote di ghiaccio ha consentito di studiare le variazioni nella produttività oceanica nel corso delle ere passate, mediante la ricostruzione dell’input atmosferico di ferro e di altri elementi chimici bioessenziali. Le variazioni nell’input oceanico di questi elementi influenzano sensibilmente i cambiamenti climatici. I risultati più significativi hanno permesso di evidenziare processi di notevole interesse a livello globale, come ad esempio: – la variazione stagionale del contenuto di composti organici solforati nelle acque marine, che contribuisce ad una migliore comprensione dei meccanismi che regolano i cambiamenti climatici; – la distribuzione di microinquinanti organici tra acque subsuperficiali, microstrato ed aerosol, che ha permesso di chiarire i processi di scambio acqua-atmosfera ed il trasporto di microcomponenti attraverso l’aerosol marino. I materiali di riferimento e la banca campioni Di rilievo è stata anche la preparazione di materiali di riferimento certificati antartici ottenuti mediante circuiti internazionali. I materiali già prodotti sono attualmente distribuiti in Italia dall’ENEA, dall’Istituto Superiore di Sanità, e da due prestigiose istituzioni internazionali: l’IRMM della Comunità Europea ed il NIST degli USA. La realizzazione della Banca Campioni Ambientali Antartici (BCAA) rappresenta già oggi uno strumento unico a livello mondiale per la verifica, anche retrospettiva, della validità dei dati sperimentali acquisiti e consentirà in futuro di indagare su nuove problematiche che dovessero emergere con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche. Il contributo alla gestione politica dell’ambiente In conclusione, si può affermare che l’Italia, attraverso queste ricerche, non solo consolida il proprio prestigio internazionale nel settore della polar chemistry, ma soprattutto porta un decisivo contributo allo sviluppo delle nuove politiche ambientali, fornendo i valori di riferimento della contaminazione a livello planetario ed assume un ruolo di leadership e di stimolo per gli altri paesi ad avviare analoghi progetti che, integrandosi a questo, consentano di affrontare al meglio le sfide dei prossimi anni per una sempre più efficace salvaguardia dell’ambiente.

I primi osservatori atmosferici Le prime spedizioni avevano il compito di caratterizzare la climatologia dell’area di Baia Terra Nova, dove si stava sviluppando la stazione italiana. Inizialmente venne utilizzata strumentazione meteorologica convenzionale (temperatura, pressione, umidità, vento, precipitazioni, flusso radiativo). In aggiunta si realizzarono lanci di palloni sonda. Più tecnologicamente raffinato era invece il sistema di sondaggio acustico per la misura del vento (Sodar Doppler). Già dai primi anni si iniziò la progettazione e la graduale realizzazione dei Lidar troposferici più semplici, adatti alla misura della trasparenza atmosferica nei bassi strati, necessari per la valutazione del bilancio energetico. Venne sviluppato anche un sistema Lidar con caratteristiche più avanzate, idoneo alla misura di aerosol troposferici e successivamente di ozono. Parallelamente, si avviarono contatti con la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration, USA) e la NSF (National Science Foundation, USA) per l’installazione di un Lidar presso la stazione americana Amundsen Scott, ove ne sarebbe stato garantito il funzionamento anche nel periodo invernale. A Baia Terra Nova, vennero altresì installati un Sodar triassiale e una rete di sensori meteorologici automatici per fornire la stazione di un nucleo strumentale di base. Alla fine del 1993 il network di osservatori atmosferici era ormai maturo. La rete meteorologica di Baia Terra Nova consta oggi di 12 stazioni automatiche collocate in un raggio di 150 km di distanza dalla stazione Mario Zucchelli, che rappresentano le strutture portanti del laboratorio climatologico la cui utilità non è solo scientifica, ma anche legata alla sicurezza delle operazioni logistiche attorno alla base italiana. Il moderno sistema integrato di osservatori polari Le misure di radiazione e di trasparenza, i dati meteorologici e i sondaggi Lidar, inizialmente solo troposferici, hanno costituito il nucleo portante delle ricerche atmosferiche in Antartide, integrato e sviluppato dal punto di vista tecnologico nel corso degli anni. Oggi, il network di osservatori internazionali del PNRA include anche una collaborazione con l’Argentina per misure in continuo del contenuto colonnare di ozono e di anidride carbonica (stazioni di Jubany, Belgrano II e Ushuaia), nell’ambito di programmi internazionali quali il Global Atmospheric Watch, della WMO. Sono state recentemente sviluppate nuove metodologie di interpretazione dei dati da satellite sulle caratteristiche delle nubi, in relazione alla possibilità di previsione e di caratterizzazione degli eventi atmosferici.

L’ultimo quinquennio del PNRA è stato caratterizzato dalla sempre più ampia integrazione delle attività verso grandi network di osservatori o piattaforme integrate ed il relativo perfezionamento della strumentazione. Un esempio fra tanti è l’avvio del network

di osservatori (POLAR-AOD) per la caratterizzazione degli effetti climatici dell’aerosol atmosferico nelle regioni polari attraverso fotometria multispettrale, ma va citata anche la nuova piattaforma strumentale integrata che si sta sviluppando a Concordia. La nuova installazione per i radiosondaggi, parte della rete di 15 stazioni al suolo e 2 stazioni di radiosondaggio, ha provocato richieste di dati, anche preliminari, da una decina di istituzioni di ricerca sparse per il mondo.

Un’ulteriore linea di tendenza è l’allargamento delle attività alle aree artiche in un approccio globale allo studio del clima, tendenza che sta trovando un particolare significato con l’avvio dell’Anno Polare Internazionale. Gas serra e costituenti minori atmosferici Con l’aumento della percezione del problema dei cambiamenti globali, anche le ricerche in atmosfera si sono orientate a studiare le modificazioni delle caratteristiche chimiche dovute all’immissione di sostanze di origine naturale ed antropiche edai loro processi di trasformazione. Le specie considerate, per la loro capacità di alterare il bilancio radiativo dell’atmosfera, sono quelle contenenti zolfo, azoto, le sostanze alogenate, fra cui i clorofluorocarburi ed i composti del bromo di interesse per la distruzione dell’ozono, e quelle organiche, fra cui gli aerosol contenenti carbonio.

Sono state messe a punto tecniche di campionamento per le componenti in fase gassosa e particellare utilizzando i “denuders” e trappole specifiche per componenti organici in fase di vapore. Per laclassificazione granulometrica degli aerosol è stato sviluppato un nuovo tipo di impattore a bassa pressione funzionante a fenditure. Durante i viaggi di trasferimento navale dall’Europa all’Antartide sono state effettuate misure in continuo di CO2 ed altri gas serra, polveri, ed altri elementi di interesse per lo studio dei bilanci climatici in aree remote. Radiazione e nubi Nel campo dei bilanci di energia, lo studio dei vari costituenti atmosferici minori (gas e particelle) e la caratterizzazione delle particelle di aerosol e delle reciproche interazioni hanno contribuito a definire il flusso netto di radiazione solare alla superficie ed hanno portato nuove conoscenze relative al bilancio dell’energia solare negli ambienti polari. Studi effettuati su diversi siti antartici hanno permesso di valutare l’effetto delle nubi sul bilancio netto di radiazione, mostrando, in presenza di nubi, un riscaldamento o un raffreddamento della superficie fortemente dipendente dalle caratteristiche fisiche (albedo e trasmissività) della superficie e dell’atmosfera. Accanto ad essi si collocano le ricerche sulla distribuzione, le proprietà ottiche e la microfisica delle nubi e lo studio degli aerosol, la cui presenza può essere messa in evidenza da misure di torbidità atmosferica, e la cui natura viene invece determinata attraverso analisi eseguite su campioni di particolato raccolti con

tecniche diverse. Un argomento originale, che si sta sviluppando anche grazie a strumentazione d’avanguardia, è lo studio del ruolo della neve come reattore nella chimica dei composti dell’azoto e la distribuzione latitudinale degli aerosol nello strato limite marino mediante Lidar troposferici in area oceanica. A partire dal 2000, infatti, lungo l’intera rotta della nave dall’Italia, sono state eseguite misure in continuo degli aerosol dello strato limite marino mediante Lidar a backscattering elastico multispettrale e scanning mobility particle sizer. Lo strato limite planetario Le ricerche sullo stato limite planetario rivestono notevole importanza per caratterizzare la fenomenologia meteorologica e la microclimatologia nella zona di Baia Terra Nova. Strettamente collegata alle ricerche sullo strato limite planetario è, infatti, l’attività meteorologica, finalizzata alla descrizione della dinamica atmosferica a varie scale. Una rete di Sodar è in attività per lo studio dello strato limite, consentendo un grande sviluppo delle ricerche nel campo del bilancio di radiazione e del contenuto colonnare di ozono e costituenti minori. Queste linee di attività aprono nuove opportunità per approfondire le conoscenze sul sistema climatico antartico, ed in particolare sul ruolo e sulle caratteristiche degli aerosol nei bilanci di radiazione, dei processi turbolenti allo strato limite, della dinamica a scala regionale e continentale, delle modificazioni nella composizione dell’atmosfera. Le misure di turbolenza al suolo, associate allo sviluppo di modelli numerici, hanno permesso recentemente di quantificare i flussi di calore e le quantità di moto nello strato limite atmosferico. La deplezione dello strato di ozono Lo sviluppo di Lidar ha permesso di studiare le nubi stratosferiche polari, ritenute i catalizzatori del processo di distruzione stagionale dell’ozono stratosferico nei vortici polari. Per affrontare questo avvincente tema di ricerca, si è operato nell’ambito di un network internazionale a grande scala, legato a grandi progetti internazionali (experimental cloud lidar pilot study, ECLIPS). Misure coordinate di nubi stratosferiche polari sono state eseguite con Lidar Ozono (Dumont d’Urville), osservazioni Lidar di aerosol stratosferici e di nubi stratosferiche polari (South Pole) e con l’associazione di Lidar e palloni (McMurdo). In particolare, i palloni hanno permesso di sondare le nubi per studiare i cristalli di ghiaccio che determinano le reazioni di chimica eterogenea. Le osservazioni sulla concentrazione dei clorofluorocarburi (CFC), responsabili della deplezione dell’ozono, hanno messo in evidenza che la diminuzione delle concentrazioni dei CFC è in realtà meno rilevante di quanto ci si aspettasse dopo l’entrata in vigore del Protocollo di Montreal, che regola la produzione di questi composti. Più recentemente, la ricerca è stata allargata ai sostituti dei CFC, anch’essi potenti gas serra, le cui concentrazioni sono invece in aumento.

Il ruolo dell’Oceano Antartico L’Oceano Antartico svolge un ruolo di primo piano nella regolazione del clima a scala globale. E’ il motore della circolazione oceanica del pianeta e interagisce direttamente sulla circolazione atmosferica, sulla formazione e sulla fusione dei ghiacci antartici. Inoltre, la crescita e l’evoluzione del ghiaccio marino hanno una profonda influenza sull’albedo (quantità di energia solare riflessa nell’atmosfera) e sul bilancio radiativo del pianeta e quindi sul bilancio termico globale. Il duraturo abbassamento della temperatura durante il periodo invernale determina il congelamento di vasti porzioni dell’Oceano Antartico – una dei più grandiosi processi della Terra. Il ghiaccio marino copre il 7% della superficie di tutti gli oceani. Nell’Oceano Antartico, durante la stagione invernale, la superficie del mare viene coperta da un sottile strato di 2 – 3 metri che si estende per 20 milioni di km2 (una superficie superiore a quella dell’intero continente antartico) spingendosi fino a 55 – 60° di latitudine sud. Nel periodo estivo la banchisa si riduce a 4 milioni di km2 , pertanto la maggior parte del ghiaccio marino non supera 1 anno di età. Questo è uno dei processi che guida la produzione di acque fredde che alimentano la circolazione termoalina profonda nota come conveyor belt e che ridistribuisce calore, nutrienti ed ossigeno a scala globale. La Corrente Circumpolare Antartica, la più imponente dell’intero pianeta con un trasporto medio di 120 – 140 Sverdrup (1 Sv = 1milione di m3 /s) è costituita da un complesso sistema di flussi ad elevata sinuosità ed è originata dai venti incessanti provenienti da Ovest, dalle notevoli differenze di densità delle diverse masse d’acqua presenti nell’Oceano Antartico, nonché dalla topografia del fondo oceanico. Il ruolo di questa corrente sul sistema climatico globale è di fondamentale importanza in termini di scambi di energia tra le fredde acque antartiche e quelle calde delle latitudini più elevate, di trasferimento delle sostanze chimiche e delle specie biologiche consentendo all’ecosistema antartico di mantenere le sue peculiari caratteristiche uniche sul nostro pianeta. Gli scambi energetici con l’atmosfera avvengono, in particolare, in corrispondenza di aree frontali, cioè aree di contatto tra masse d’acqua a diversa temperatura e salinità, che caratterizzano l’Oceano Antartico, attivando movimenti verticali che assicurano il rinnovo continuo dei contenuti di ossigeno e garantendo un ambiente favorevole alla vita anche nelle fredde acque antartiche. Di particolare rilievo in questo quadro è la zona frontale polare limitata a sud dal fronte polare e a nord dal fronte subantartico. Questa zona è fortemente variabile nel tempo e nello spazio con ondulazioni di lunghezze comprese tra 100 e 250 km.

Gli obiettivi della ricerca oceanografica Nel periodo 1986-1993, la ricerca oceanografica italiana era finalizzata alla prima caratterizzazione delle acque marine di Baia di Terra Nova. Nelle prime campagne oceanografiche stagionali è stato costituito un patrimonio strumentale ed acquisita un’esperienza basilare per l’impostazione delle successive ricerche estese a porzioni rilevanti dell’Oceano Antartico. Le successive ricerche (6 campagne oceanografiche e 7 mooring posizionati) sono state rivolte a identificare, quantificare e localizzare la formazione e la diffusione dei diversi tipi di masse d’acqua che si producono sulla piattaforma del Mare di Ross, a valutarne i tempi di residenza e a caratterizzarle anche in termini dei flussi biogeochimici. E’ stato, inoltre, studiato il bilancio radiativo del Mare di Ross ed analizzata la variabilità spazio-temporale della corrente circumpolare antartica nel settore Pacifico dell’Oceano Antartico. 12 anni di sezioni ottenute con lanci a distanza ravvicinata di sonde a perdere di temperatura denominate XBT, ripetute per ogni traversata tra la Nuova Zelanda e il Mare di Ross, hanno consentito di delineare la struttura termica dell’oceano con i relativi fronti che caratterizzano le oscillazioni dell’intero sistema antartico. E’ risultata una maggiore stabilità del fronte polare, mentre il fronte subantartico si divide in due distinti rami intorno a 58°S innescando vortici e meandri che regolano i flussi meridionali di calore e altre proprietà. Processi di polynya Un aspetto di particolare importanza nella dinamica dell’Oceano Antartico è rappresentato dai processi di polynya (aree perennemente deglaciate per l’azione dei venti catabatici che spazzano la superficie del mare allontanando il ghiaccio in formazione). L’idrodinamica verticale di queste aree è particolarmente complessa, ma fondamentale per la formazione di acque salate che caratterizzano la piattaforma continentale del settore occidentale. Nell’area di Baia Terra Nova è stata calcolata la produzione annuale di ghiaccio espressa in spessore per un valore compreso tra 11 e 22 metri. Dalla produzione di ghiaccio si ottiene un valore medio di produzione di acqua ad elevata salinità (HSSW) pari a 0.4 Sverdrup. Gli aspetti ecologici della polynya sono condizionati dalla elevata variabilità dei flussi di particellato, documentata dai campionamenti delle trappole posizionate lungo la catena di strumenti ancorata sul fondo.

La formazione di correnti fredde

Il ruolo del bilancio radiativo è di estrema importanza in un ambiente a forte interazione aria – mare – ghiaccio;

i ricercatori italiani hanno calcolato i valori settimanali medi sull’intero Mare di Ross (a partire dal 1994) di tutti i

componenti del budget totale di calore alla superficie. Esso varia da -87 W/m2

a – 102 W/m2 con un valore medio di

– 96 W/m2

, che può essere considerato come riferimento per la perdita di calore alla superficie. Questa perdita può

essere compensata soltanto dal trasporto di calore che avviene con le correnti marine profonde e con i processi di

mescolamento (mixing) in zone di scarpata tra le acque di piattaforma e la Corrente Circumpolare Antartica, quando

questa s’insinua sulla piattaforma continentale.

Questo flusso di CDW (Circumpolar Deep Water) che deve penetrare nell’area di piattaforma per compensare

la perdita di calore nel budget globale è stato valutato dai ricercatori italiani ottenendo un trasporto medio di

2.9 Sverdrup.

Le acque della piattaforma

Le acque di piattaforma, ricche di ossigeno, interagiscono con la corrente circumpolare attraverso delicati meccanismi

di convezione, a piccola scala, che sono ancora oggetto di studio nell’ambito di progetti internazionali che coinvolgono

anche i ricercatori italiani.

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