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Rigopiano, gli sms di Paola da sotto le macerie: “Vi amo tutti, salutatemi mamma”

Apr 30, 2017

PESCARA – Un cuore nella chat di famiglia. L’ultimo emoticon spedito con Whatsapp mentre era sepolta sotto le macerie dell’Hotel Rigopiano. Quel cuore doveva valere per tutti gli abbracci e l’affetto e le carezze che Paola non avrebbe potuto più dare. Alle sorelle, ai tre nipoti, alla mamma ottantenne. Lo sentiva che stava morendo, Paola. “Vi amo tutti, salutami mamma”. Ma il 18 gennaio la valanga ha spazzato via anche il segnale per i telefonini. Non è mai arrivato quel cuore. E neanche gli altri 13 messaggi e le 15 telefonate che ha provato a fare per avvertire i soccorsi. Non è vero che al resort sono morti tutti sul colpo, quando la neve è scesa dal monte. Paola Tomassini è rimasta in vita almeno per quaranta ore e quarantasette minuti. Quasi due giorni.

Paola è viva alle 16.54, qualche minuto dopo la valanga. «Aiuto», scrive con whatsapp. E ancora, pochi secondi dopo: «Sono bloccata dalle macerie, aiutoooo». Messaggi in una bottiglia, nessuno che li può leggere. Paola è viva alle 17.20, quando prova a inviare due sms alla sua amica Rosy, implorandola di dare l’allarme. È viva alle 17.26 quando digita che «c’è stata un’esplosione». Forse è il momento in cui realizza che non sarebbe uscita più da là sotto. Subito dopo infatti non pensa più a se stessa. Pensa agli altri. La sua famiglia, i suoi cari. Quelli che stanno fuori e che non sanno cosa le è capitato. Quelli che le vogliono bene. «Vi amo tutti salutami mamma». Un cuore. L’ultimo emoticon.

Paola non scrive più, ma nelle ore successive prova a ripetizione a chiamare il 112. Si contano quindici telefonate, nessuna che poteva partire in assenza di campo. Ha spento e riacceso il telefono spesso, probabilmente per risparmiare la batteria. L’ultima volta alle 7.37 del 20 gennaio. Quando i vigili del fuoco del reparto Usar del Veneto e della Lombardia l’hanno finalmente raggiunta nel locale del bar dell’hotel, la sera del 23 gennaio, aveva il telefono nella mano. Non si sa l’esatto momento del decesso. Si sa però con certezza che quaranta ore dopo la valanga era ancora viva.

Paola Tomassini aveva 46 anni, era originaria di Montalto e lavorava all’autogrill di Campofilone sull’A14. A Rigopiano era col suo fidanzato Marco Vagnarelli, anche lui rimasto ucciso. Sui loro cellulari gli investigatori hanno trovato le tracce del panico provocato dalle scosse del terremoto e dall’impossibilità di andarsene dal resort per colpa della provinciale ricoperta di neve e non pulita dalla turbina. «Non sappiamo dove andare, siamo bloccati», scrivono prima della slavina. «Non si sa se arriva lo spazzaneve, dicono che è difficile anche per il mezzo».

La donna è stata almeno per quaranta ore e quarantasette minuti in vita sotto le macerie, i messaggi e il contenuto del suo telefono sono agli atti dell’inchiesta della procura di Pescara. Può voler dire qualcosa oppure niente. Il ritardo dei soccorsi per il pasticcio delle telefonate all’unità di crisi della Prefettura non supera le due ore: alle 17.08 c’è la prima chiamata del superstite Giampiero Parete in cui segnalava il crollo e la slavina, ma l’informazione verrà ritenuta fondata soltanto alle 19.01 quando Parete richiama per una seconda volta e finalmente si attiva la colonna dei mezzi per raggiungere l’hotel. Due ore circa, dunque, che non hanno un legame diretto di causa-effetto con il tempo impiegato dai vigili del fuoco e dal soccorso alpino per recuperare la Tomassini.

Il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini in un’intervista al quotidiano Il Centro ha fatto capire che l’indagine è in evoluzione e non si fermerà ai sei nomi (tra cui il presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta) finora iscritti sul registro degli indagati per omicidio colposo plurimo e lesioni, ma al momento non sembra che l’indagine stia virando sul ritardo con cui si sono messi in moto i soccorritori né su come è stato condotto il recupero dei superstiti e dei cadaveri sul posto. I famigliari delle vittime d’altra parte lamentano l’assenza tra gli indagati del prefetto Francesco Provolo, reo secondo loro di aver mal gestito l’emergenza e la comunicazione. I carabinieri di Pescara non hanno mai più acceso il cellulare di Paola Tomassini perché non volevano che i messaggi arrivassero a destinazione, distruggendo in quel modo l’unico conforto di una famiglia in lutto: la speranza di credere che chi è morto è morto sul colpo, senza soffrire, senza accorgersene. Per Paola però non è andata così. E, correttamente, gli inquirenti hanno comunicato personalmente alla famiglia il contenuto dei messaggi.

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